Il Giappone fotografico: Tokihiro Sato

L’accostamento delle parole fotografia Giappone per molti di noi ha come primo effetto quello di rievocare alla mente le grandi case produttrici. Nikon, Canon, Fujifilm, Sony, Pentax, per citarne alcune, sono tra le aziende che da quasi un secolo permettono ai fotografi di tutto il mondo di esprimere la propria creatività, e sono tutte di origine giapponese; nei primi anni ’90, inizio dell’epoca Heisei e periodo di crisi e cambio favorevole nei confronti dello Yen, all’amico che si recava in Giappone molti di noi chiedevano di riportare una fotocamera, un obiettivo o quant’altro si potesse trovare in quella nazione paradiso dei fotoamatori.

Di recente la cultura giapponese sta fortunatamente ritornando anche nel nostro Paese, al di là della diffusione incontrollata di ristoranti Sushi, con conseguente presenza di opere di artisti nipponici nelle esposizioni, nelle librerie, nei documentari, e quindi l’immaginario fotografico legato al Giappone comincia a slegarsi dal prodotto tecnologico per accogliere finalmente le opere di grandi fotografi, come Daidō Moriyama, Ken Domon, Shinzo Maeda, per citare alcuni tra quelli le cui opere di recente hanno riempito i nostri musei.

Ma una nazione così pregna di tecnologia fotografica, che rispecchia in prima battuta la caratteristica attenzione nipponica quasi ossessiva alla composizione, alla cura, al fissare un momento, al fare sempre meglio, produce di sicuro un gran numero di fotografi di talento ed in questi articoli dedicati al Giappone fotografico si avrà l’occasione di conoscerne alcuni, di sfiorare la superficie di modalità espressive anche molto lontane tra loro, con lo scopo di restituire almeno in parte lo spettro delle tematiche che guidano l’interiorità di un popolo spesso considerato, a torto e a ragione, troppo lontano da noi.

Tokihiro Sato, fotografo e scultore, è venuto alla ribalta come artista nei primi anni ’90, guadagnandosi il plauso in tutto il mondo per la sua serie Photo-Respiration. Utilizzando una penna-torcia di notte e uno specchio durante il giorno, le fotografie di questa serie mostrano tracce o macchie di luce in paesaggi oscuri, il cui culmine espressivo è rappresentato da scene del centro di Tokyo. Con lunghe esposizioni fino a tre ore, le strade normalmente trafficate e la vista sulla città ospitano una moltitudine di linee fluenti o di decine di sfere che si allontanano dal primo piano in profondità in lontananza. Come effetto collaterale del metodo di Sato, sia gli spazi pubblici che quelli liminali sono mostrati privi di persone e traffico.

Una fotografia di interni di strisce di luce che riempiono un vano scala ricorda fortemente Nude Scending a Staircase No.2 di Duchamp, mentre i paesaggi rocciosi della Prefettura di Iwate sembrano esperimenti di fotografia di spirito. La formazione di Sato come scultore si nota molto dagli oggetti ridefiniti come aure luminescenti, e dagli spazi vuoti creati in massa da ragnatele di scie luminose.

La parte di Photo-Respiration dedicata ai paesaggi naturali, incentrata sulla neve e sugli alberi, come da dichiarazione dello stesso autore, lega in maniera quasi assoluta con il panteismo Shinto e con l’atto di adorare gli oggetti naturali, una pratica che non ha ancora lasciato del tutto la iper tecnologica cultura giapponese, e di cui anche il turista occidentale si accorge nel visitare il paese del Sol Levante. È difficile immaginare un artista di una cultura diversa da quella giapponese che produce questo particolare mix di precisione tecnica, intimazione del rispetto spirituale e amoroso verso il mondo naturale che si può vedere in queste immagini.

Con Gleaning Lights 1 e 2, l’autore mette insieme diverse immagini di bassa qualità ed il contrasto con l’estetismo controllato di “Photo-Respiration” è impressionante. Sato si preoccupa della composizione, della messa a fuoco e del flare fuori dalla finestra per produrre una varietà di immagini molto diverse in queste due serie, che includono grandi installazioni di diverse immagini, foto composite più piccole e panorami digitali di dimensioni murali. Il fotografo e l’apparato fotografico sono a volte visibili in queste fotografie, e anche se non possono essere così seducenti come “Photo-Respiration”, il cambiamento radicale di approccio è impressionante.

I due lavori qui presentati sono solo alcune delle opere principali di Tokihiro Sato, e sono quelle per le quali è più facile trovare fotografie in internet da mostrare. Lo studio dell’opera dell’autore vede ad esempio Sato rinunciare alla scia luminosa e alla precisione della pellicola di grande formato per la sperimentazione con macchine fotografiche a foro stenopeico e punti di vista multipli, il tutto comunque sempre volto ad un tipo di fotografia non tradizionale in cui l’attività del fotografo non si limita alla composizione ed allo scatto, ma è di coinvolgimento totale, entrando nella scena, disegnando, oppure giocando con le rifrazioni, con i ritagli, con i collage.

Sebbene la critica parli del concetto di presenza-assenza nelle opere fotografiche di questo tipo, per Sato vale forse più la prima: dopo la visione delle sue opere si ha in qualche modo la sensazione di aver conosciuto l’autore, di essere entrati in contatto con quell’intimità così protetta e raramente esternata dal popolo giapponese, di aver quindi vissuto un’esperienza preziosa.

Silvio Villa