L’isola di ghiaccio e fuoco. Un reportage di Andras Gyorosi

Discorsi Fotografici continua la serie di reportage con lo spettacolare viaggio in Islanda del fotografo ungherese Andras Gyorosi.

DFBenvenuto su Discorsi Fotografici e grazie per il tuo contributo! Per iniziare parlaci un poco di te.

AG: Nato a Debrecen (Ungheria) il 13 settembre 1978. Ho vissuto a Debrecen fino a ventitre anni, quindi sono venuto in Italia mosso dal desiderio di scoprire un nuovo Paese. In Italia, ho iniziato a fotografare (nel 2004): mi trovavo in Liguria ed il suo territorio stretto e aspro ha risvegliato la mia passione per il trekking. Nel contempo, volevo immortalare quanto vedevo durante le mie escursioni e ho comprato la mia prima macchina fotografica digitale: una semplicissima compatta Pentax. In pochi mesi, la mia passione per la fotografia è cresciuta e, cercando nuove esperienze fotografiche e maggiore qualità delle immagini, ho acquistato la mia prima macchina Reflex: una Nikon D70. Ho iniziato con il fotografare sia architetture sia paesaggi. Con il migliorare della tecnica e l’accrescersi della passione per la fotografia, ho sentito la necessità di utilizzare una macchina fotografica reflex più professionale e mi sono dotato di una Nikon D 700. Nel tempo, ho focalizzato il soggetto delle mie fotografie sui paesaggi. Sin dalle origini della mia passione, ho frequentato diversi forum fotografici e, grazie alle critiche ed alle indicazione degli utenti, ho migliorato la tecnica, ma soprattutto mi sono arricchito dal punto di vista umano: la condivisione della stessa passione ha creato importanti amicizie e, oggi, ci incontriamo spesso in giro per l’Italia per le nostre “zingarate” (riunioni organizzate in diversi luoghi dell’Italia con lo scopo di rincontrare amici lontani e vicini, vecchi e nuovi e di condividere non solo tramite forum la fortissima passione che ci lega!). Sempre grazie al confronto con gli utenti del forum, ho imparato che, per avere buone fotografie paesaggistiche, non è sufficiente avere passione, tecnica e attrezzatura adeguata: è necessario viaggiare, partire per cercare i luoghi più nascosti e saper attendere quei rari momenti in cui la Natura offre gli spunti più belli da fotografare. E’ proprio questo spirito che mi spinge alla ricerca degli “spettacoli della Natura” in luoghi selvaggi e sublimi come l’Islanda.

DFPrima di partire ti sei documentato fotograficamente?

AG: Mi piace partire già preparato, essendomi già fatto un’idea di cosa mi può aspettare alla destinazione. Nel caso del mio ultimo viaggio in Islanda, sul sentiero del Laugavegurinn, mi sono preparato consultando diversi siti e mappe satellitari, che riportavano immagini con localizzazione gps come Google Earth e Mappamondo di Flickr. In questo modo, ho memorizzato gli scorci che ritenevo più interessanti, lasciando spazio anche per l’esplorazione spontanea. Spesso ho sfogliato anche la guida di Lonely Planet, dalla quale ho ricavato ulteriori preziose informazioni. Sono stato avvantaggiato anche dal fatto di aver già visitato l’Islanda in precedenza: infatti, nel 2009, ho visitato in jeep tutta l’isola, seguendo la Ring Road n. 1, con tre miei amici, due dei quali condividono con me la passione per la fotografia. Con la ‘Terra di ghiaccio e fuoco’ è stato amore a prima vista: ho provato davvero forti emozioni immerso in paesaggi sublimi o semplicemente parlando con gli abitanti di piccoli villaggi remoti e aprendomi al senso di libertà totale che l’Islanda regala. Ho promesso che sarei tornato al più presto, mentre l’aereo decollava ed io seguivo con lo sguardo commosso lo sparire dell’isola all’orizzonte. Dopo un anno, ho ripreso il volo, questa volta da solo, per esplorare a piedi una parte del “Paese delle Meraviglie”: il sentiero del Laugavegurinn.

DFChe attrezzatura hai portato con te?

AG: L’escursione, che è durata dieci giorni e si è sviluppata su 188 km con circa undicimila metri di dislivello totale sia in salita che in discesa, avrebbe richiesto uno zaino il meno pesante possibile, ma, conoscendo la particolare luce nordica, la limpidezza dell’aria, i colori dei tramonti di Islanda e sopratutto la mia testa dura che non riesce a rinunciare, ho portato dietro la mia reflex Nikon D700 con due obiettivi luminosi: un Nikkor 14-24 f/2.8 per grandangolo e un Nikkor 24-70 f/2.8 per le riprese più ravvicinate. Al peso finale aggiungeva due kg e mezzo il mio treppiede Manfrotto 190 XDB con la testa Manfrotto 322 RC2, entrambi indispensabili per immortalare i paesaggi nelle mie adorate ore del tramonto e del crepuscolo. Inoltre, avevo con me anche accessori importanti e decisamente fondamentali per un paesaggista: i filtri digradanti grigi neutri, che mi avrebbero dato la possibilità di compensare la luminosità tra il cielo e terra.

DFQuali soggetti hai fotografato più frequentemente?

AG: La lunga escursione mi ha portato attraverso terre primordiali e desolate, campi di lava raffreddata da millenni e a volte ancora fumante, immensi deserti di detriti vulcanici, pozzi di fango ribollenti, sorgenti calde gorgoglianti, montagne colorate dai minerali depositati, vulcani attivi ed enormi calotte di ghiaccio. Nonostante l’infinita varietà del paesaggio, ho avuto difficoltà a trovare un attraente primo piano per le composizioni, quindi ho preferito sfruttare con foto panoramiche gli ampi panorami a perdita d’occhio, che caratterizzano questa parte di Islanda. Senza curarmi della stanchezza dopo le giornate faticose di cammino, ogni sera, dopo cena, sono partito dai diversi rifugi in cui alloggiavo per raggiungere le cime vicine per fotografare al tramonto e nelle mie preferite ‘ore blu’. Avrei preferito aggiungere nelle inquadrature la presenza umana, perché conferisce un tocco “in più” alle foto di paesaggi, ma raramente ho incontrato delle persone durante il cammino da un rifugio all’altro.

DFHai sperimentato particolari difficoltà?

AG: Il problema più grande era il peso dei due zaini che misuravano trentun chili e mezzo alla partenza. Anche se all’ultimo giorno avevo dieci chili di viveri in meno da portare sulle spalle, mi son dovuto fermare spesso, anche per intervalli di mezz’ora, per riposarmi e riprendermi dai dolori soprattutto alle spalle e alle gambe. A parte i dolori fisici cumulati durante la marcia, non ho incontrato grosse difficoltà. Grazie alle informazioni recuperate dai diversi siti, dai racconti e dagli avvisi di altri escursionisti, ero attrezzato adeguatamente per affrontare anche i tratti più difficili. Ho avuto la fortuna di incontrare condizioni climatiche splendide per quasi tutto il percorso: solitamente la zona del sentiero di Laugavergurinn è battuta da forti e insistenti piogge ed alcuni tratti dell’altopiano islandese sono attraversati da ampi e fitti banchi di nebbia, pertanto è necessario avere con sé un buon navigatore per non perdersi. È piovuto solo quattro o cinque ore complessivamente e non c’è mai stata nebbia durante il percorso. L’unica difficoltà, che mi ha rallentato per i primi tre giorni, è stata la presenza di un vento violentissimo fino a ottanta km orari: trovarsi sulle creste delle montagne o in vicinanza di burroni profondi con queste raffiche gelate talvolta mi ha messo ansia, costringendomi a rallentare e a procedere con la massima cautela. Le scarse precipitazioni mi hanno facilitato anche nei guadi sui cinque fiumi glaciali che ho incontrato nei dieci giorni di escursione. Con precipitazioni abbondanti, questi fiumi diventano torrenti veloci e profondi: mi sarebbe potuto capitare di tentare di guadarli con l’acqua che mi arrivava a metà coscia, ma, per fortuna, non mi sono ritrovato a fare questa esperienza!

DFSe dovessi avere l’occasione di tornare negli stessi luoghi cosa fotograferesti ancora?

AG: NLa bellezza della natura a dei paesaggi che si possono vedere solo in quest’angolo di Islanda mi hanno colpito così profondamente che rifarei, e sicuramente rifarò, tutto dal primo all’ultimo km. Mi farebbe piacere a tornare per la fioritura primaverile: nonostante le difficili condizioni di sopravvivenza e l’ostilità del terreno vulcanico, in primavera sbocciano fiori stupendi con un ciclo di vita brevissimo. Immagino sia fantastico il contrasto tra questi magnifici, quanto caduchi, fiori ed il terreno di sabbia e pietre vulcaniche. Il mio più grande sogno rimane riuscire a fotografare l’eruzione di un vulcano nella zona. Quando a Marzo 2010 ho sentito le prime notizie del risveglio dell’Eyjafjallajokull , ho desiderato di essere lì per poter vedere e riprendere di persona la sua eruzione. Verso la fine del mio cammino, sono salito sul cratere del vulcano e ho provato una fortissima emozione nel camminare sul campo di lava da poco solidificata, con l’aria che vibrava e danzava per effetto del calore rilasciato dal magma incandescente a pochi metri sotto la superficie. Stando lì sopra, ho immaginato cos’hanno potuto provare i fotografi che hanno assistito, a distanza di sicurezza, alla devastante e spettacolare potenza della natura.

DFChe cosa non sei riuscito a fotografare e avresti voluto?

AG: Sul finire dell’intero percorso, mi sono trovato per un paio di giorni sotto i pendii del ghiacciaio e del vulcano Eyjafjallajokull. Era nei miei progetti impegnare un’intera giornata per raggiungere e fotografare una laguna glaciale, nella quale galleggiano numerosi iceberg staccatisi dal ghiacciaio. È tra le più grandi attrazioni della zona, ma, mio malgrado, non sono riuscito ad arrivarci: ho incontrato un fiume in piena a sbarramento del mio cammino e guadarlo era realmente molto pericoloso. Solitamente, questo è un guado abbastanza facile, ma dopo le eruzioni del Eyjafjallajokull, il calore del magma sotto la superficie ha sciolto (e sta ancora sciogliendo) il ghiaccio e la neve nelle vicinanze del cratere, causando l’ingrossamento dei vari fiumi della zona.

DFHai trovato la forza di spegnere la fotocamera e goderti il viaggio ogni tanto?

AG: Spesso mi fermavo per quindici o venti minuti, solo per godermi gli splendidi panorami, rapito dalle ondulazioni del terreno e scoprendo tanti piccoli dettagli nascosti nell’infinità del paesaggio. Erano momenti che mi riempivano di gioia sino a commuovermi. Mi sono sentito libero, selvaggio e eternamente felice: solo io e la natura pura. Ero così incantato da dovermi costringere a riprendere il cammino. Nonostante i numerosi scatti fatti durante l’intera escursione, la macchina fotografica è rimasta più spesso a riposo che accesa e pronta all’uso.

DFCosa consiglieresti a chi vuole intraprendere il tuo stesso percorso?

AG: Di prepararsi molto bene sia fisicamente sia mentalmente. Bisogna essere consapevoli che gran parte del percorso può essere anche pericoloso. I cambiamenti climatici sono improvvisi e repentini: in poche ore, si può passare da un cielo azzurro e terso a una tempesta di neve. Un detto tipico islandese recita: “Se non ti piace il tempo islandese, aspetta cinque minuti! Peggiorerà ancora!”. Lungo il percorso, si incontrano almeno cinque fiumi, da attraversare a piedi nell’acqua gelida. Ci si può imbattere nella difficoltà a riconoscere il sentiero per via del terreno eroso dal vento e dalla pioggia. La temperatura può scendere sotto lo zero anche in estate. È necessario munirsi dei viveri perché i rifugi non offrono i pasti e la fatica fisica accompagna tutto il cammino. Si deve intraprendere questo percorso consapevoli di queste condizioni e attrezzati di conseguenza. La ricompensa è un’esperienza eccezionale, tra paesaggi e colori che lasciano estasiati.

DFAl di là dell’aspetto puramente legato alla fotografia, hai qualcosa da aggiungere riguardo questa esperienza?

AG: Non so se incontrerò un altro luogo capace di suscitare in me le emozioni provate in Islanda: emozioni forti tanto da farmi commuovere e ridere senza apparente motivo! Sinceramente, se potessi ripartirei domani stesso!

Discorsi Fotografici ringrazia Andras Gyorosi, si augura vivamente di ricevere al più presto altri suoi contributi da condividere con i lettori e raccomanda la visione della galleria fotografica a questo indirizzo.