Vivan Meier, la tata fotografa

Tra due giorni, al Museo di Roma in Trastevere, approderà la mostra “Vivian Maier. Una fotografa ritrovata”, Filippo Orsi ci ha regalato la sua personale visione che si accomuna con lo spirito che Discorsi Fotografici ha sempre condiviso.

“Seppur scattate decenni or sono, le fotografie di Vivian Maier hanno molto da dire sul nostro presente. E in maniera profonda e inaspettata. Molti di noi condividono il suo stesso desiderio e il suo impulso di fare fotografie – e grazie alla tecnologia digitale a nostra disposizione, oggi lo possiamo fare. Se con Facebook, Flickr e Instagram oggi siamo in grado di produrre immagini e con un semplice click proiettarle in tutto il mondo, l’innegabile talento di Vivian Maier, abbinato al fermo proposito di mantenere la propria attività di fotografa come una questione privata, ci affascina e al tempo stesso ci confonde. Non può però sorprenderci: in un’epoca in cui la fotografia viene ridefinita, cambiano anche gli autori che troviamo più interessanti e stimolanti. Proprio come Maier, noi oggi non stiamo semplicemente esplorando il nostro rapporto col produrre immagini, ma, attraverso la fotografia, definiamo noi stessi” – Marvin Heifermann.

Oltre alla fotografia, il cinema è una di quelle cose in grado di regalarmi emozioni sempre uniche. Quello che mi affascina di più è sapere e scoprire le storie che stanno dietro alla realizzazione di un determinato progetto. Voglio dire, chiunque può apprezzare o meno la visione di un film o di un’immagine, ma sapere che cosa abbia spinto o come materialmente gli autori siano arrivati a quel punto, regala uno spessore decisamente maggiore. Dietro ad un’immagine o ad un video ci possono essere migliaia di cose interessanti, a volte addirittura di più di ciò che è ritratto.
Si può scoprire per caso, ad esempio, che l’intera vita di una persona del tutto comune sia stata, a sua insaputa, oggetto e scenografia di una storia incredibile. E che tale storia, suo malgrado, non abbia potuto scriversela consapevolmente.
Quella di Vivian Maier è una di queste storie.
Io, come la maggior parte, ho scoperto questa “vera” fotografa, proprio grazie all’alone di fascino e malinconia che la circonda.
Sicuramente ignara di quello che ai giorni nostri sarebbe successo, ha vissuto la sua vita facendosi accompagnare costantemente da quel forte desiderio di immortalare attimi. Spesso autoritraendosi con giochi di riflessi, trasparenze o specchi che rendono ogni scatto davvero coinvolgente. Sul suo volto e nello sguardo si possono cogliere spesso tratti di grande malinconia. Scorgere un sorriso diventa quasi impossibile. Ma allo stesso tempo si capisce la forza e la voglia che aveva nel rivolgere lo sguardo ai particolari e alle cose che aveva intorno. Poneva la sua figura al centro della vita che stava vivendo in quel momento, come se stesse affermando la sua presenza, ai più sconosciuta, in un mondo sempre vivo e in movimento come quello che si intravede negli scatti metropolitani che la contraddistinguono. Chicago, suo luogo di nascita, e New York fanno da sfondo alla sua creatività. Il suo lavoro di domestica e tata non le ha certo garantito una vita agiata, anzi. Spesso sull’orlo della povertà, anche per questo la maggior parte dei suoi rullini non è stata mai sviluppata.
Che poi, questa sua fortuna inespressa venisse acquistata ad un’asta nel 2008, proprio per far fronte a dei suoi debiti, e solo successivamente sviluppata e portata alle cronache, di certo non lo avrebbe mai potuto immaginare. Ormai postuma, il lungimirante e fortunato John Maloof è riuscito a darle la luce che meritava da sempre. Ha scoperto tra le 100.000 e 150.000 foto sviluppando le migliaia di rullini ritrovati, capendo in fretta il “tesoro” che questa persona aveva costruito in una vita.
Ora porta in giro per il mondo con una bella mostra di oltre 100 fotografie, una storia che vale la pena essere conosciuta.
Dietro ad ogni grande fotografo ci sono sicuramente storie interessanti e degne di nota. Dietro a celeberrimi scatti ci sono realtà altrettanto famose che li rendono ancor più unici. Alle volte, l’imperfezione tecnica o l’apparente banalità di uno scatto passano del tutto in secondo piano, se si dà la giusta attenzione al contesto o al background che lo incorniciano.
Che siano le immagini a rendere famoso l’autore o, viceversa, l’importanza di un autore a rendere celebre un’immagine, potrebbe essere un valido dibattito con conclusioni per nulla scontate. In questo caso, il nome di Vivian Maier si accompagna al suo talento dimostrato palesemente nei suoi scatti ritrovati. Ma è altresì vero che, una storia così affascinante e romantica, ne abbia amplificato la portata.
Personalmente mi sono innamorato della sua ombra chinata sull’amata Rolleiflex medio formato a pozzetto… quello che potrebbe essere un ostacolo alla pulizia dell’immagine, diventa suo punto caratteristico e direi fondamentale. Immagini per niente banali della vita metropolitana anni ’50 e ’60 con bianchi e neri contrastati, giochi di ombre, inquadrature e diagonali da fotografa conclamata fanno il resto. Il tutto su stampa quadrata tipica delle fotocamere medio formato.
Ma non è solo questo. Nella sua vita ha sperimentato anche il colore e i classici 35 mm.
Quanto sopra descritto non cambia. Stessa intensità delle immagini, stessa composizione professionale, stesso gioco di luci/ombre… I suoi autoritratti continuano ad essere, a mio parere, il lato principale di tutto il portfolio.
E viene da chiedersi, ma se questa “tata fotografa” avesse avuto maggiori possibilità nella sua vita, se avesse potuto sviluppare le sue foto, se avesse voluto renderle pubbliche, che effetto avrebbe avuto? Lo stesso?
Beh, ovviamente non lo potremo sapere, ma a me piace pensare che tutta questa storia non sia dovuta ad un solo fatto fortuito. Anzi, io voglio pensare che fosse tutta una sua volontà.

Filippo Orsi