“Un gruppo di criminali rapisce una ballerina di 12 anni, figlia di un boss della malavita, per chiedere un riscatto milionario. La devono tenere prigioniera per una notte in una villa isolata. Ben presto si rendono conto che la ragazzina non è una semplice bambina.”
“Abigail” aveva tutti i presupposti per essere un’esplosiva operazione di shock entertainment, uno sfrenato cult movie nel quale immergere la vostra sete di orrore grottesco e black humor truculento. Una bambina vampira ballerina che semina morte tra un gruppo di balordi rapitori? Sulla carta sarebbe un soggetto irresistibile per il pubblico amante delle trasgressioni splatterose e delle trovate orrorifiche al confine col grottesco. Purtroppo, il risultato finale defrauda qualsiasi aspettativa, sciupando clamorosamente il potenziale grazie a una sceneggiatura confusa e approssimativa.
In un cast di talentuosi caratteristi, molti provano a dare il meglio nonostante il materiale avaro di spunti. La giovane Alisha Weir, talentuosa fin da piccolissima e diventata famosa Matilda The Musical di Roald Dahl accanto ad Emma Thompson e il successivo Cattiverie a domicilio con il premio Oscar Olivia Colman, è credibile nei panni della piccola mostruosa Abigail, alternando con abilità momenti di vulnerabilità innocente a improvvisi scatti di ferocia sovrannaturale. La star Melissa Barrera si impegna nel ruolo di Joey, l’ex-tossica, ma il suo personaggio si appiattisce ben presto sui soliti cliché della “reietta redenta”. Un personaggio spogliato di ogni alone di ambiguità o trasgressione che avrebbe potuto renderlo affascinante e ruvido. Forse con una Joey più spregiudicata e cinica, “Abigail” avrebbe acquistato la scintilla di malizia che tanti film dell’orrore spregevoli ma godibili possiedono, tipo “Audition” (1999) diretto da Takashi Miike, in cui un vedovo solitario organizza un’audizione per una nuova attrice per un film inesistente, ma ben presto si ritrova intrappolato in una sadica e violenta trappola orchestrata da una misteriosa donna. Il protagonista, Aoyama, è un uomo meschino e manipolatore che si ritrova ad affrontare le conseguenze delle sue azioni in un crescendo di tensione e brutalità.
Il resto del ricco cast di noti caratteristi (da Kevin Durand a Dan Stevens, passando per Kathryn Newton) si destreggia con disinvoltura nei propri ruoli sacrificabili, riuscendo persino a strappare qualche grassa risata con le battute sempre troppo forzate della sceneggiatura. Le loro premature dipartite offrono certo il dovuto tributo di sangue al genere slasher (con dovizia di litri di sangue e budella sparse ovunque) ma le morti finiscono per risultare presto ripetitive e stanche nella loro sistematica gratuità, viziata da una regia tanto cruda quanto priva di estro. Neppure il cameo di un grande attore come Giancarlo Esposito riesce a migliorare più di tanto il suo piatto personaggio.
È proprio la mancanza di una visione coerente e graffiante a minare irrimediabilmente il potenziale del film. La regia di Radio Silence (il duo composto da Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett) alterna iniziali momenti di sottile tensione a piatte e banali sequenze comiche, senza mai riuscire a trovare un amalgama persuasiva tra i due stili. Il ritmo si fa presto discontinuo, rallentato da troppi buchi narrativi e vuoti di trama lasciati inesplicati, come se gli stessi autori stessero procedendo alla cieca senza una rotta precisa. Ad esempio, non è credibile che la villa in cui saranno prigionieri a un certo punto abbia solo la porta d’ingresso blindata e non già tutta la casa. È comprensibile che si voglia avere un effetto scenico, ma la cosa non risulta credibile.
I maggiori difetti di Abigail si palesano però nell’ultimo, sciagurato, 3°atto, quando gli svolgimenti prendono una piega sorprendentemente consolatoria e quasi didascalica, vanificando quanto di trasgressivo e irridente era sopravvissuto fino a quel punto. Un finale imbevuto di retorica sulla “forza dell’amore” e il “perdono dei peccati” che stona con l’iniziale carica splatterosa, come se il film volesse redimere sé stesso per aver osato troppo in precedenza. È questo scioglimento zuccheroso e melensamente moralista che annienta definitivamente il potenziale di Abigail come sfrontata operazione di puro shock e shock entertainment. Avrei preferito che un finale più nero e macabro.
In definitiva, nonostante un’interpretazione di buon livello da parte del ricco cast di caratteristi, Abigail rimane un’occasione drammaticamente persa per offrire al pubblico un cult movie al contempo terrificante, truculento e ironico. C’è troppo sangue a scorrere a fiumi sullo schermo, ma poca autentica suspense e nessuna vera voglia di turbare lo spettatore. È un film horror che non fa paura. Questo il suo maggior difetto. Troppe ingenuità pervadono la sceneggiatura, troppe concessioni al buonismo e al “messaggino” edificante, snaturando ogni brivido di puro orrore gratuito. Il risultato è un pasticcio narrativo modestamente gradevole a tratti, ma per lo più insignificante e destinato a un rapido oblio, incapace di lasciare un’impronta indelebile nelle menti di chi l’ha visto. Un clamoroso spreco di un potenziale da cult per il genere horror.