Fino al ventisei febbraio 2023 è in corso alla Fondazione Stelline di Milano “Aedificante. Cantiere. Cultura. Persone. Futuro”, mostra del lecchese Giacomo Albo nata da un’idea dell’imprenditore edile Giuseppe Taramelli con la curatela di Angelo Dadda.
Trentadue immagini in bianco e nero mostrano il paesaggio di cantiere come luogo di narrazione di strutture, di persone, di saper fare. È un omaggio ai lavori in corso nei cantieri edili e un grido di allarme, infatti la manodopera specializzata sta scomparendo mettendo in difficoltà un intero settore.
Edificare deriva dal verbo latino aedifico che significa costruire, innalzare ma anche fondare, elevarsi, formarsi. Il cantiere, protagonista della mostra, è proposto come luogo in cui le “cose” prendono forma, grazie allo scrupolo, alla dedizione e all’attenzione di chi vi lavora.
Giacomo Albo si forma come architetto ma fin da ragazzo si appassiona alla fotografia grazie alle passeggiate compiute in montagna in compagnia del padre. Durante gli anni dell’università questa passione si rafforza. Per una decina d’anni continua a lavorare negli studi di architettura fino a quando i clienti iniziano a chiedergli delle foto. Si specializza così nella fotografia di architettura. Oggi collabora anche come assistente nei laboratori organizzati dal Politecnico di Milano.
L’abbiamo raggiunto dopo una mattinata trascorsa con gli studenti al Politecnico.
Qual è la genesi di questo progetto?
“Aedificante” è stato una pesca dall’ archivio. A differenza degli altri progetti autoriali che ho portato in mostra, in questa circostanza ho effettuato un lavoro d’archivio ed è stata la prima volta per me. Queste foto sono fotografie che ho scattato per il cliente, Giuseppe Taramelli, che è l’ideatore di questa mostra. Quando un anno fa mi chiese di aiutarlo a portare avanti questo progetto, ho accettato volentieri e la mattina seguente mi svegliai con il pensiero di dover mettere mano all’archivio e non generare un progetto dall’inizio. Di solito quest’ultima modalità è più complessa ma più gestibile e controllabile secondo le tue sensazioni. Queste sono invece fotografie scattate nel corso di sei anni. Ho dovuto allestire un palinsesto che avesse un senso rispetto alla proposta. All’inizio dunque ho percepito un po’ di difficoltà, dopo ho ritrovato una certa coerenza nel mio modo di vedere. Al di là delle fotografie che possono essere belle o brutte, ho avuto modo di apprezzare questa continuità come se avessi unito i puntini alla fine. Questo significa che anche in quel tipo di fotografia, quella che mi chiedono in cantiere, ci sono dei punti fermi che raccontano lo spazio andando oltre il racconto commerciale, passami il termine. “Aedificante” non è una mostra di Giacomo Albo, è un progetto ideato e sostenuto economicamente da Giuseppe Taramelli e da altri partner per sensibilizzare il mondo del lavoro sulla difficoltà di recuperare risorse nel mondo dell’edilizia del cantiere. Oggi i ragazzi non vogliono più saperne di questo tipo di lavoro, non necessariamente come manovale, anche come project manager. Le scuole fanno fatica a mandare questo messaggio anche per la difficoltà di programmi di insegnamento vetusti. Questo sarà sicuramente il primo di una serie di episodi che daranno vita ad altre mostre e laboratori didattici. Attraverso un’operazione culturale penso sia possibile portare questo messaggio. Abbiamo provato con un sistema un po’anticonvenzionale a rompere questo velo portandola in un luogo prestigioso mantenendo alta la proposta e qui torno alle difficoltà della mia pesca d’archivio.

La scenografia di quello che ho scattato non racconta grandi sventramenti o opere faraoniche come potrebbero essere gli edifici di piazza Gae Aulenti.
In quella stanza ci sono dei salti di scala, ad esempio immagini grandi che sono dei pezzi di materia, alcune in scala reale, dei dettagli 1:1. Questo mi ha permesso di introdurre dei capitoli per avvicinarmi al mondo del cantiere. C’è un rapporto dell’edificio con il paesaggio, dell’interno con l’esterno ad esempio. Il bello del cantiere è la velocità con cui accade tutto, in poche settimane o addirittura in poche ore. Ci sono tante interazioni da raccontare, non è un’architettura esistente e dunque già linguaggio.
Questo racconto che ha protagonista il cantiere, mi dicevi, è uno spunto per lanciare un grido di allarme preciso, quello della mancanza nel prossimo futuro di maestranze qualificate. Come mai nelle fotografie che hai scelto non compaiono mai persone se non nel piccolo tableau finale?
Un po’ per la mia poetica perché tendo a non fotografare mai le persone. Un po’ perché da quello che si vede, si percepisce il lavoro, l’organizzazione. Mi interessa cogliere e mostrare le relazioni che stanno in uno spazio e nel tempo. In quel frammento di realtà voglio documentare quello che succede. Il cantiere è veramente intrigante da questo punto di vista perché cambia in continuazione così pure le sue scale.
C’è la relazione con il paesaggio che corrisponde al primo atto progettuale, quella con la struttura, quella tra il dentro e fuori, quella con la luce, quella del costruire sul costruito, c’è l’anatomia fino ad arrivare alla struttura finita che è linguaggio architettonico definito.

Aggiungo che per noi in Italia il tema della ristrutturazione è molto importante perché abbiamo il patrimonio più vecchio ma anche più prestigioso. Questa capacità di intervenire sul costruito dovrà essere ulteriormente coltivata. Demograficamente da qui in avanti l’Italia andrà in picchiata, non so quanto suolo converrà ancora utilizzare e quanto invece ripristinare. Ripristinare significa ristrutturare ma anche demolire se necessario. Di queste capacità e sensibilità la scuola si deve fare carico nel proporre figure qualificate.

Rispetto agli altri tuoi lavori è possibile cogliere un fil rouge?
Potrei risponderti di no ma in realtà qualcosa c’è. Ho presentato una mostra a Bergamo sul primo lockdown a giugno e un’altra a Lecco sull’archeologia. Sono sicuramente percorsi più attinenti al mio modo di vedere, legati ai maestri che ho avuto come Basilico. Ho avuto il piacere di lavorare con Marco Introini con cui ho realizzato il lavoro su Lecco in cui c’è un accento sul rapporto tra architettura e paesaggio urbano. In realtà il fil rouge c’è perché quando mi sono trovato davanti questa selezione da effettuare ho pensato che fosse importante che ci fosse una continuità di linguaggio. Avevo il timore di allontanarmi troppo dalla mia ricerca personale. In un certo qual modo ho fatto diventare ricerca personale ciò che per me è quotidiano. Mi sono divertito e sono contento che mi abbiano offerto questa possibilità.

Valeria Valli
AEDIFICANTE. CANTIERE. CULTURA. PERSONE. FUTURO
10 – 26 febbraio 2023
Sala del Collezionista, Gallery II
martedì – domenica, 10-20 (chiuso lunedì)
ingresso gratuito
www.fondazionestelline.it
www.finearc.it