Discorsi Fotografici continua la serie di reportage con il recente viaggio nella capitale tedesca del fotografo pugliese Luigi Damiano Russo.
DF: Benvenuto su Discorsi Fotografici e grazie per il tuo contributo! Per iniziare parlaci un poco di te.
LDR: Sono nato a Foggia il 1° dicembre 1981, ho vissuto a Cerignola, studiato Informatica a Bari laureandomi nel 2004 con una tesi in bio-informatica. Per un po’ ho continuato all’Università l’attività di ricerca iniziata con il lavoro di tesi, sono poi approdato nel mondo delle società di consulenze informatiche che mi hanno portato, verso la fine del 2005, a Roma. Qui i toni caldi della luce e il brulicare della vita nell’infinita varietà offerta dalla Capitale mi hanno spinto a riprendere in mano una macchina fotografica e ad approfondire, con un corso finanziato dal Comune di Roma prima e un corso di reportage poi, l’uso di quello che ritengo il mezzo di comunicazione che mi è più congeniale. Mi attraggono le vite degli altri, i gesti apparentemente insignificanti; mi alleno costantemente a isolare quei dettagli, per i più marginali e periferici, che poi bloccati in un’immagine evocano storie di urbanità contemporanea.
DF: Prima di partire ti sei documentato fotograficamente?
LDR: In genere non mi documento mai. Non scelgo un viaggio per “lo spunto fotografico che offre” perchè potrebbe deludermi. Lo scelgo solo per il viaggio in sé. Anche perchè spunti fotografici se ne possono trovare ovunque. Basta calare un filtro emotivo e si può vedere tutto, anche la cosa più squallida, con occhi diversi.
DF: Che attrezzatura hai portato con te?
LDR: La solita reflex, per ora, con un solo zoom ed il 50mm che non deve mancare mai (preciso, ho una Full Frame per poter gustare in pieno tutto il 50mm 🙂 ). Spesso, però, avverto il peso dell’attrezzatura stessa. A volte la ritengo unica responsabile dello scatto, e perciò indispensabile con tutta la sua corposa presenza; altre volte la reputo un inutile ed esagerato orpello volto a catturare un rettangolo di quasi-realtà che mi distoglie dalla realtà stessa.
DF: Quali soggetti hai fotografato più frequentemente?
LDR: Fotografo spesso profili, persone, ombre o riflessi per sorreggere un contesto. Evito accuratamente panorami o palazzi o vie che non abbiano nulla di particolare o che non si trovino in una condizione di luce particolare. A volte, per renderli più interessanti, introduco (non con il fotoritocco ma con un secondo scatto) i suddetti elementi. Altre volte cancello. A volte cerco lo scoop visivo. Cancello anche queste foto perchè risultano essere, a mio avviso, le peggiori.
DF: Hai sperimentato particolari difficoltà?
LDR: Ultimamente sto sperimentando lo “scatto non guardato” ovvero l’utilizzo improvvisato e sconclusionato della macchina fotografica scattando senza guardare nell’obiettivo e senza cercare un elemento o un’inquadratura particolare… a volte i risultati sono interessanti altre volte non si possono guardare. Menomale, esiste l’amato tasto CANC (o Command + Backspace) o addirittura il tasto [cestino] sul corpo macchina.
DF: Se dovessi avere l’occasione di tornare negli stessi luoghi cosa fotograferesti ancora?
LDR: Non so. Ogni scatto, nel mio caso, dipende dall’umore e dalla relativa voglia di fotografare. Non programmo mai i contenuti: per questo mi è difficile fare foto a tema.
DF: Che cosa non sei riuscito a fotografare e avresti voluto?
LDR: Lo spirito della città, colto solo in alcune foto ma non in tutte e non come avrei voluto. Avrei voluto cogliere nella città moderna le tracce della separazione, la sensazione di benessere della Berlino dell’ovest circondata dalla desolazione dell’Est (e qui entra in campo la politica). Mi sarebbe piaciuto rendere il senso di “accerchiamento” che si provava nella parte Ovest, dove in lontananza si intravedevano i palazzi del Regime.
DF: Hai trovato la forza di spegnere la fotocamera e goderti il viaggio ogni tanto?
LDR: Molte volte. Molte volte sono uscito senza la macchina fotografica. Come ho detto prima, molte volte la considero un peso più che un terzo occhio (a ragione, visto che si aggira sui 3kg). Molte volte vorrei che fosse l’occhio a memorizzare le immagini piuttosto che la macchina fotografica. Molte volte esco SOLO per NON cercare qualcosa che potrei fotografare per dire, inevitabilmente: “eh, peccato non avere con me la macchina”… e paradossalmente so che la prossima volta riuscirò a fare qualcosa di interessante.
DF: Cosa consiglieresti a chi vuole intraprendere il tuo stesso percorso?
LDR: Quale percorso? Di tecnica ne uso ben poca, devo ammetterlo, ed il più delle volte vado a tentativi, nonostante abbia frequentato dei corsi. Improvviso. A volte memorizzo l’esperienza, altre volte è come se non l’avessi mai fatta. Altre volte decido di non farla tanto sarebbe inutile. E sono quelle volte in cui esco senza macchina e mi immagino come sarebbe stato bello se l’avessi portata. Questo mi aiuta successivamente ad apprezzare lo strumento e la sua potenza espressiva. Faccio in modo di sentirne la mancanza. Ma è un mio modo personale di essere che applico anche alla fotografia. Penso che la cosa importante sia capire cosa dobbiamo fare della macchina fotografica, a cosa ci serve, e se ci serve poi realmente. Diverse volte è un di più perchè nel momento in cui la usiamo non ci fa capire ciò che stiamo osservando in quanto non digeriamo il soggetto (qualunque esso sia), lo guardiamo in funzione di fotografarlo e perciò non lo vediamo per quello che è. Insomma, non lo rigiriamo fra le dita come fosse un anello di cui apprezzare la bellezza in sé, ma badiamo al solo risultato finale. Ritengo sia il caso, invece, di assorbire ciò che intendiamo fotografare prima di pensarlo ed infine guardarlo attraverso una lente. Mi rendo conto, però, che è un discorso non propriamente applicabile alla fotografia di azione o di reportage dove necessario è l’impulso a scattare. Anche in questo caso, però, occorre tenere distinti due tipi di reportage: quello dell’evento in corso e quello dell’ambiente circostante. Se si è in mezzo ad una guerriglia, è ovvio, non ci si può soffermare e ‘sentire’ la situazione, occorre scattare, e ferocemente. E scappare. Nei giorni di tregua si può vivere la città dilaniata dagli scontri precedenti, avvertire e registrare i segnali di un nuovo scontro e provare a trasmetterli con qualche scatto (scusate il cinismo, era solo per rendere l’idea).
DF: Cosa è per te la fotografia?
LDR: Mi aspettavo questa domanda. E’ quasi obbligatoria poichè per ognuno di noi la fotografia (per ognuno che la pratica, intendo, non solo in vacanza o ai compleanni, ad esempio) è inevitabilmente un modo per esprimere qualcosa. Come ho detto prima, la intendo come un’espressione dell’animo che ha vissuto (o subìto) una situazione e vuole mostrare la realtà così come la percepisce. In termini letterari, la mia è una visione della fotografia estremamente distante dal realismo e molto vicina, invece, al romanticismo. Almeno in questi anni.
DF: Al di là dell’aspetto puramente legato alla fotografia, hai qualcosa da aggiungere riguardo questa esperienza?
LDR: Osservare. Un mio amico elogiava la mia capacità di osservare e la sua relativa incapacità. Non ritengo ci vogliano molte abilità per osservare. Solo pazienza. La pazienza di attendere che si verifichi un evento. O la pazienza di scrutare ogni anfratto. O la pazienza che si formuli completamente l’idea “di come scrutare” ogni anfratto o posto o ombra o riflesso che abbiamo davanti a noi. Berlino è piena di luoghi della memoria, certi molto pubblicizzati, altri piuttosto comuni e poco frequentati (il quartiere Pankow, ad esempio, della borghesia dell’est). E’ stato bello vivere la città immaginandosi come poteva essere – purtroppo – negli anni del regime; negli anni in cui all’Ovest (chiamavano con questo segno cardinale quella piccola isola nella Germania dell’Est) era possibile tutto e al di la della cinta muraria c’era tutt’altra vita. Non c’era solo il muro a separare le due parti della città, c’erano anche la desolazione, le piazze distrutte, i palazzi eliminati… per far spazio a torri di guardia e ai kilometri di muro prefabbricato, oltre il quale si vedevano da una parte le luci dell’Ovest e dall’altra i palazzi dalla rigida architettura sovietica dell’Est. Vivere la città per me è stato immaginarmi come fosse prendere la metro con la città divisa in quelle condizioni, con le famose “stazioni fantasma” dove era proibito scendere (il treno non fermava), ipotizzare le lunghe file agli spacci… tutte situazioni che nessuno potrà mai fotografare più (per fortuna). Sono solo situazioni che vanno ricercate nella città attuale, e che ho tentato di rivivere, per quel che era possibile, senza e con la macchina fotografica.
Discorsi Fotografici ringrazia Luigi Damiano Russo, si augura vivamente di ricevere al più presto altri suoi contributi da condividere con i lettori e raccomanda la visione della galleria fotografica a questo indirizzo.