CARLO VALSECCHI photographs ACPV ARCHITECTS Antonio Citterio Patricia Viel

L’architettura è viscerale. Una fotografia è un’altra cosa, non meno avvincente, ma non è la stessa cosa. L’architettura stessa non può essere fotografata. La qualità di questa mostra, così come del libro da cui è tratta, risiede in questo paradosso. E’ una raccolta di immagini fotografiche e di storie su quelle immagini” (Patricia Viel).

Nello storico Palazzo Morando di Milano, sede di un museo dedicato alla storia della Città e alla sua collezione Costume e Moda, in occasione della Design Week e fino al 12 maggio 2024, sono esposte alcune immagini realizzate da Carlo Valsecchi che “raccontano”, con lo sguardo del fotografo, alcune tra le architetture realizzate dal 2000 al 2020 dallo studio ACPV ARCHITECTS, fondato dagli architetti Antonio Citterio e Patricia Viel.

Questo importante studio internazionale con sede a Milano, affermato nel panorama dell’architettura contemporanea, oggi costituito da oltre 180 professionisti e guidato da 11 soci, attribuisce grande valore al progetto, grazie ad un costante lavoro di ricerca ed analisi del contesto, con un approccio multidisciplinare che coniuga diverse scale di intervento, passando dalla progettazione architettonica a quella urbanistica, dall’interior design a quello urbano, dalla grafica alla comunicazione, con “progetti senza tempo che, come gli organismi viventi, possono interagire con le persone, evolversi con le loro esigenze ed esistere sempre al presente”, nei quali “la modernità tende a rimanere sullo sfondo, non prepotente, ma discreta e riservata, offre[ndo] una flessibilità inaspettata, adattandosi con facilità alle diverse situazioni” (V. P. Mosco).

Attraverso la realizzazione di residenze, uffici, edifici pubblici ed hotel, in Italia e all’estero, con un linguaggio semplice ed essenziale associato ad una grande attenzione all’innovazione e alla qualità degli interni, dei materiali e delle finiture, oltre che al tema della sostenibilità ambientale, ciascun progetto “incarna una nuova visione in cui la natura e le aspirazioni umane più nobili possono trovare una nuova centralità”, con “l’obiettivo di coltivare il benessere condiviso attraverso soluzioni architettoniche uniche e di alto profilo in tutto il mondo”.

Partendo da queste premesse la mostra offre un concentrato delle centinaia di fotografie scattate da Valsecchi in 12 anni di viaggi tra l’Italia, la Germania e Taiwan, volte a raffigurare ed esplorare, attraverso l’obiettivo della macchina fotografica, le architetture realizzate in vent’anni di attività dello studio, sviluppate nella loro interezza nel volume “ACPV ARCHITECTS Antonio Citterio Patricia Viel as seen by Carlo Valsecchi”, edito da Silvana Editoriale, in cui alle immagini si affiancano le storie dei vari progetti, dal loro concepimento all’evoluzione sino al completamento, in una specie di “diario di bordo” in cui a raccontare sono le voci dei progettisti stessi, accompagnate da contributi di personalità come il critico d’arte Francesco Bonami, l’ex-direttore del Design Museum di Londra Deyan Sudjic, il curatore e saggista Francesco Zanot e l’architetto Valerio Paolo Mosco.

Lo Studio ACPV ARCHITECTS in mostra a Palazzo Morando (foto dell’autore)

Questo progetto artistico parte dalla consapevolezza della difficoltà di catturare l’architettura con il mezzo fotografico, e lo fa attraverso lo stile di Carlo Valsecchi, fotografo e artista bresciano, milanese d’adozione, noto per il suo sguardo sugli spazi industriali, che da anni indaga le architetture e il paesaggio, reinterpretando i luoghi attraverso una visione che li trascende, quasi come in una realtà senza tempo di cui si percepisce il fascino e il mistero, traducendo uno spazio fisico in uno spazio altro.  

Il suo lavoro, iniziato nei primi anni Novanta dopo la selezione per la Biennale di Architettura di Venezia nel 1992, è stato esposto in mostre personali e collettive in Italia e all’estero, in spazi pubblici e privati. Esso nasce da un dialogo continuo e diretto con i luoghi, siano essi architettura o industria, paesaggi urbani o naturali, che vengono liberati da vincoli e osservati da angolature diverse, scomposti e ricomposti in libertà, “senza però mai mancare di rispetto alla realtà stessa”, per restituirli in una forma del tutto inedita, in una nuova collocazione all’interno di “un mondo immaginario e fantastico”, al fine di “comprenderne la natura di soggetto insita in essi”, la “luce propria” (C. Valsecchi), la sacralità della rappresentazione e la forza, alle volte coercitiva, che questi luoghi portano con sé.

Quelle di Carlo Valsecchi non sono solo fotografie “di architettura”: sono immagini di un’architettura che diventa intima, che alla pura documentazione degli spazi sostituiscono il ritratto di una possibile interiorità, anche dell’animo umano” (L.M. Barbero). Attraverso immagini di grande formato, realizzate rigorosamente in analogico attraverso il banco ottico per poter lavorare con la luce, il fotografo ricerca infatti quel rapporto intimo che può crearsi tra osservatore e opera (come Mark Rothko per la pittura: “dipingo quadri di grandi dimensioni perché desidero creare una situazione di intimità”), lasciando il suo lavoro “libero e felice di muoversi nel mondo” (C. Valsecchi).

Il fotografo “osserva lo spazio come un insieme di microcosmi e restituisce porzioni e dettagli di spazi atemporali. Lo scarto prospettico tra le diverse scale, l’individuazione di griglie e l’astrazione del soggetto sono gli elementi principali del suo linguaggio, che lavora sul disorientamento percettivo, restituendone la componente più enigmatica del reale”.       

Tutti i suoi progetti si basano infatti sulla relazione tra spazio, luce e tempo, che coesistono delicatamente nelle sue fotografie, creando atmosfere rarefatte e immaginarie, sospese nel tempo, dove la luce, che si tratti di un impianto industriale o di un ambiente naturale, “trasforma” lo spazio, con colori che si smaterializzano in toni chiari ed evanescenti. Qui il segno dell’uomo è presente solo in maniera indiretta, visto che i luoghi immortalati “hanno sempre a che fare con l’essere umano, con il suo pensiero, il suo costruire e il suo abitare” (C. Valseccchi).

In questo progetto in particolare, nella cornice di Palazzo Morando, dove ampi spazi e improvvisi contrasti cromatici evidenziano le fotografie in mostra e dove lo spazio espositivo – semplice ed essenziale quale è il linguaggio architettonico dello studio – sembra entrare a far parte della mostra stessa, immagini di grande formato raffiguranti architetture o dettagli avulsi dal contesto, quasi trasfigurati, che diventano cartoline fuori dal tempo e dallo spazio, si alternano a viste privilegiate di parti di città, stagliandosi sulle pareti senza indicazione di ciò che rappresentano (tranne il nome del luogo riportato su un flyer), lasciando all’osservatore la libertà di immaginare altro, poiché “il punto non è offrire una seduzione o una spiegazione attraverso immagini e parole”, in quanto “l’architettura esiste nel momento, è una questione di spazio, sentimenti ed emozioni. Richiede di essere vissuta in prima persona” (P. Viel).

Tra le realizzazioni in mostra, in una sequenza composta da analogie visive e “in un processo di scambio continuo fra l’ambiente costruito, il paesaggio e la complessità della città”, in cui “l’architettura si perde tra i profili delle colline e delle città, da Milano ad Amburgo, a Taichung” (P. Viel), si alternano fotografie scattate di notte, dove le luci falsano forme e colori, ad altre nelle quali il bianco fa da padrone, con immagini ovattate e astratte in un tempo indefinito, dove un silenzio quasi irreale apre un varco per nuove prospettive e punti di vista, creando un nuovo immaginario che attinge dal linguaggio pittorico futurista e metafisico, per realizzare “un viaggio nel tempo e nello spazio, inoltrandosi nella complessità contemporanea delle città, così vicine e così lontane da noi, spostando il punto di vista sempre più in là, per comprendere i meccanismi del nostro adattamento ai mutamenti che la vita in comunità pone in essere da quando abbiamo smesso di essere nomadi. Un movimento continuo per imparare a capire, un percorso di migliaia di chilometri, entrando ed uscendo, salendo e scendendo, di giorno e di notte” (C. Valsecchi).

Ed è proprio di notte che viene immortalato il Technogym Village di Cesena (2001-2010), affacciato su un verde parco ed esteso in un’area di oltre 10.000 mq a ridosso dell’autostrada A14, punto di riferimento visibile da lontano: qui un grande tetto ricurvo in legno lamellare arricchisce una struttura caratterizzata da elementi modulari in acciaio, vetro e cemento, all’interno della quale gli ambienti sono studiati secondo i principi dell’ecosostenibilità per riproporre, attraverso un linguaggio sobrio ed essenziale, la filosofia del benessere e dell’equilibrio, che è alla base del progetto e della cultura del Welness.

Acpv Architects, Technogym HQ Cesena_Ph©Carlo Valsecchi

Allo stesso modo la nuova sede per uffici e showroom di Ermenegildo Zegna (2004-2007) è raffigurata dall’alto in una visione notturna, all’interno del cuore di Porta Genova, nella vecchia Milano industriale oggi centro della moda e del design, quale esempio di riqualificazione urbana derivante dalla riconversione, in chiave moderna, della ex Riva Calzoni, attraverso la riproposizione in chiave contemporanea dell’essenzialità tipica degli edifici industriali, come è avvenuto anche per NEXXT (2015-2018), il nuovo headquarter di Fastweb realizzato nell’ambito dello sviluppo dell’area Symbiosis a Milano.       

Acpv Architects, Zegna HQ Milano_Ph©Carlo Valsecchi

Il tema della riqualificazione urbana è una costante nella progettazione dello studio, spesso intervenuto in contesti ex industriali, aree dismesse o edifici storici, cercando di lasciare un segno contemporaneo seppur con grande attenzione alle preesistenze: “non c’è nulla di burocratico in Citterio e Viel. L’importanza che attribuiscono al contesto architettonico e il loro rifiuto della creazione di forme arbitrarie hanno fornito loro le basi per un vocabolario eloquente per un’architettura contemporanea non assertiva, non dogmatica ma delicatamente sofisticata” (D. Sudjic).

Esemplare è il caso dell’edificio storico Palazzo Ferrante Aporti a Milano (2006-2011), ex sede della Poste Italiane, realizzato negli anni Venti dall’architetto Ulisse Stacchini di fronte alla Stazione Centrale: qui, al di sopra della struttura storica, è stato aggiunto un nuovo volume – costituito da una fascia vetrata rivestita da una rete metallica – che si interfaccia con le volte della stazione ferroviaria, dettaglio sapientemente enfatizzato dalla fotografia di Valsecchi, che lo estrania dall’architettura di cui fa parte, regalandoci un’immagine diafana, eterea ed astratta, che confina con il surreale, come avviene per altri particolari estrapolati da architetture più o meno riconoscibili, tra cui il ponte tra le autostrade A4 e A8, realizzato in occasione di Expo 2015 a Milano, nuovo landmark costituito da una sequenza di archi sfalsati, reso dinamico da differenze cromatiche che gli conferiscono eleganza e leggerezza.

Ad immagini quasi monocromatiche avulse dal contesto si affiancano, spesso per raffigurare un medesimo progetto, viste di porzioni di città riprese da differenti punti di vista, da e verso le architetture indagate, come per il Treasure Garden (2018), edificio nel settimo distretto di Taichung a Taiwan, in una posizione privilegiata della città in rapida crescita, con vista panoramica su di essa regalata dalla torre residenziale, le cui facciate – da cui nasce l’intero progetto – rendono omaggio alle geometrie romboidali di Gio Ponti.

Acpv Architects, Treasure Garden, Taiwan_Ph©Carlo Valsecchi
Acpv Architects, Treasure Garden, Taiwan_Ph©Carlo Valsecchi

Lo stesso avviene ad Amburgo per l’edificio multifunzione Brooktorkai 22 (2005-2010), realizzato nel cuore della HafenCity, all’interno del progetto di riqualificazione dello storico quartiere, dove a un piano terra vetrato si contrappone una torre con grandi terrazzi, così come nella nuova sede della Edel Music AG (2001): qui il porto della città nelle foto di Valsecchi diventa protagonista, riflesso nella vetrata continua dell’edificio o punto di vista privilegiato attraverso le maglie di un ponte che attraversa il fiume.

Acpv Architects, Edel HQ Amburgo_Ph©Carlo Valsecchi

In questo modo le architetture progettate dello studio, pur essendo qui immortalate, vengono rese altro, con immagini che diventano “carte di identità dei luoghi. Certificati di esistenza. Prove di realtà” (F. Zanot), cogliendo “la dimensione utopica del tempo, che lega indissolubilmente questi giganti dell’architettura alla città e alla società di cui si fanno portavoce, consegnan[doci] un senso preciso e immediato di quella relazione che storicamente esiste tra uomo e modernità, utopia e progresso” (L.M. Barbero), poiché, “se un edificio non è eterno, se ha una sua forte dimensione etica ed estetica nella storia dell’architettura, è importante che la sua storia trovi una dimensione indelebile” (F. Bonami).

  Patrizia Dellavedova

Foto di copertina: © Carlo Vasecchi. Ove non specificato le fotografie sono dell’autore.