Chiara Mazzocchi – Il visibile dell’invisibile

Chiara Mazzocchi, artista poliedrica, fotografa, videoartist, artperfomer.

Peculiarità delle sue opere è rendere manifesto attraverso autoritratti fotografici e video, il processo interiore che porta ad una condizione di ascolto dello “stato di presenza”.

Utilizzando l’emisfero destro del cervello che presiede l’istinto e la percezione riesce a riportare in uno scatto fotografico, oppure in un video, il risultato di questo lavoro mettendosi in connessione nell’Hic et Nunc, con l’anima del mondo: il vero soggetto della foto.

Nasce così, ideata da Chiara, la “Pranofotografia”.

Benvenuta. Ci racconteresti Chiara Mazzocchi? Cos’è l’arte per te?

L’arte è l’espressione dell’animo umano. È un processo interiore. È Verità che buca lo spazio. Vive nella profondità dei sentimenti, nelle cellule, poi riemerge portandoci una testimonianza del nostro mondo interiore che spesso dimentichiamo o preferiamo tenere nascosto.

Molti filosofi e pensatori hanno visto nell’arte lo strumento migliore per giungere alla Verità, quella che ci aiuta a comprendere il senso di noi stessi, del nostro sé nel mondo. L’arte è, per me, sintesi e avvicinamento fra la l’anima e la realtà esterna.

I miei autoscatti sono come “spari” in solitaria. Ho iniziato a fotografarmi perché fin da bambina gestivo con difficoltà il mio essere all’interno di un mondo esterno così banale ed effimero. Ecco perché ho trovato nella Natura il mio rifugio sacro, scoprendo infine che è sempre stata casa mia e che io stessa sono Natura. Vivo la fotografia come visione, luce, canale, porta sacra; ha unito l’invisibile della mia interiorità e l’ha reso visibile al mondo.

L’arte, proiettandomi al servizio della Luce e quindi della creazione, mi ha permesso di vivere nel fluire, nel trasformare, nel divenire.

©Chiara Mazzocchi - Human-Alienation
©Chiara Mazzocchi – Human-Alienation

L’introspezione è per te, al pari del mezzo fotografico, un elemento chiave del tuo lavoro, mi sembra di capire che senza l’una, probabilmente, non esisterebbe l’altra. In parole più immediate come nasce una tua fotografia?

La sensazione che provo nel momento precedente allo scatto non è esattamente una decisione, è istinto, spesso inaspettato e improvviso. I periodi più faticosi e oscuri sono l’innesco ideale per creare. In questi momenti trovo l’adempimento alla creazione, un bagliore di luce nell’oscurità, un nuovo scatto.

Quando mi fotografo non mi percepisco come donna, ma come vibrazione, frequenza, luce, energia, canale, flusso di coscienza, ponte, verità. Lascio che la mia immagine in abbandono buchi lo spazio del “qui e ora”, non mi sento protagonista, ma fusa nel “campo morfico”, non sento più male, non percepisco più separazione tra dentro e fuori. Riesco a essere in sintonia con tutto ciò che mi circonda. Per questo che credo fermamente che coloro che sono in sintonia con l’universo possono mutare il cuore degli uomini.

Un’esclamazione che ricevo di frequente è: “Ma allora lei è la modella!”; questa frase mi lascia amareggiata, a fatica riesco a spiegare chi sono all’interno dell’immagine. No, io non sono una modella perché non mi metto in posa e soprattutto non voglio rappresentare nulla al di fuori di quello che sto sentendo in quel momento; non sono corpo, anche se così mi manifesto, sono stato d’animo, impertinenza, onda di calore e colore. Prediligo infatti la fotografia a colori. Mi avverto come visione, contemplazione mistica, profetica, simbolica che nel mio “Sé Superiore” risuona come un’esperienza atemporale e multidimensionale.

Il mio compito di “canalizzatrice” è quello di dover tradurre tali presunte percezioni, che avvengono nel mio “Sé invisibile” in termini di concetti e di esperienze tridimensionali tramite il linguaggio dell’immagine, senza distorcere, nella realizzazione, il contenuto e la portata di tali messaggi che, in me, ho ricevuto.

L’ispirazione dell’autoscatto, iniziata nel 2004, è arrivata da una riflessione sulle paure ancestrali, quelle paure che ci portiamo dietro, e che essenzialmente avevano i nostri antenati. I nostri predecessori facevano molta fatica a sopravvivere in alcune condizioni e la paura serviva a tenerli lontani da sé stessi e dalla verità.

Nessuno ci insegna l’intelligenza emotiva. A questo tema ho dedicato due progetti “Human Alienation” e “Involution”.

Ad un certo punto si deve scegliere se continuare a salvare le cose o iniziare a salvare sé stessi. Tutt’oggi il mio messaggio è questo: «Ti auguro di avere, come me, la meravigliosa gioia di essere in Vita tanto da trovare te stesso senza sentirti minacciato dal sistema, dal pianeta e dalla precarietà dell’esistenza».

I luoghi sono sempre arrivati da soli nelle mie immagini. Ogni tanto ripeto a me stessa: «Portami dove posso sganciare l’ombra, portami dove la guarigione si compie al di là della materia».

©Chiara Mazzocchi - Involution
©Chiara Mazzocchi – Involution

Siamo abituati ad un tipo di fotografia che documenta, racconta o interpreta un ambiente esterno oppure esseri umani altri da sé. Al contrario nelle tue fotografie esprimi te stessa e inviti ad entrare nel tuo mondo. Gli elementi ricorrenti nelle tue immagini sono il tuo corpo e la natura o comunque un elemento naturale. Ci racconteresti quale concetto, quale percorso di ricerca adotti per realizzare i tuoi lavori?

Quando mi fotografo stabilisco un contatto con il mio “sé”, con il mio corpo e con lo spirito delle cose che mi circondano, fino a canalizzare la loro energia. Si, perché anche un sasso è vivo. Questa è una tecnica che mi permette di non sentirmi separata da esse o, comunque, di uscire da questo dualismo. Per “cose” non intendo solo cose visibili e materiali, ma anche quelle invisibili, come il vento, gli odori, il calore della luce o la freddezza dell’ombra, ma anche e soprattutto le sensazioni che affiorano, all’interno delle quali non c’è nessuna distinzione tra bene e male poiché tutto è lì e accade per me, per insegnarmi ad ascoltare o mettermi in questa condizione. Fermarsi è una grande arte, sentire il battito delle cose e del silenzio è un atto umile. Tutto è amplificato dall’importanza del “qui e ora”. Il presente per me è un punto eterno. È un vuoto fatto di silenzio, ed è qui che comprendo che le cose visibili e invisibili: non mi circondano, ma mi compenetrano e mi sento con loro in totale empatia, in sintonia priva di giudizio. Definisco questo stato con il termine  sciamanico “Matrimonio Mistico”.

 In queste condizioni, per me, viene favorita l’onda cerebrale theta tra i 4 e gli 8 Hz; mi apro a vivere questa frequenza che conosco bene perché sono un’operatrice Thetahealer®. In uno stato di ipnosi e poiesi porto alla luce temi che avverto intimamente e che mi destabilizzano come la precarietà dell’esistenza, la consapevolezza, la gratitudine, la connessione all’universo e alle sue leggi cosmiche, la natura, altri mondi paralleli e le infinite stringhe temporali, esistenziali, destinali.

Facendo da ponte mi apro ad essere, emanare, irradiare libertà, giustizia per il bene di tutti gli esseri, affiorano messaggi di luce o insegnamenti che io stessa ho ricevuto durante la mia esperienza.

Lo scopo è mobilitare gli animi verso la direzione del risveglio e della consapevolezza per potenziarli.

©Chiara Mazzocchi - Ecologia Profonda
©Chiara Mazzocchi – Ecologia Profonda

Le tue fotografie evocano frequentemente un immaginario onirico, quasi surreale dovuto spesso ad un intervento di post-produzione, ci racconteresti di questo aspetto del tuo lavoro?

Uso pochissimo la post-produzione data la mole di autoritratti svolti.

Come accennavo, ho iniziato a fotografarmi nel 2004, ma nella galleria immagini del mio sito sono visibili solo gli autoscatti prodotti dal 2010 ad oggi. La maggior parte sono scatti originali, non post-prodotti; provengo dalla fotografia analogica, da sviluppo e stampa in camera oscura, questa esperienza mi ha insegnato profondamente cosa significa fare una fotografia che abbia tutti parametri corretti e un taglio che sia già definitivo.

Ho iniziato a fotografare per passione a tredici anni con una fotocamera analogica Canon, per i successivi sette anni ho stampato i miei scatti in camera oscura.

Oggi utilizzo il fotoritocco digitale solo nel caso in cui il mio sentire è surreale oppure onirico, in questi casi devo avvalermi per forza della post-produzione, ma non la amo particolarmente.

Nelle mie fotografie rappresento, come dicevo, stati d’animo e di flussi di coscienza che affiorano, talvolta è complicato rendere queste sensazioni così il ritocco diventa l’unico mezzo possibile.

©Chiara Mazzocchi - conCoscienza
©Chiara Mazzocchi – conCoscienza

Tra i mezzi d’espressione che utilizzi la video art. Quali sono nella manifestazione di sé le differenze con la fotografia? Penso, per esempio, a White Metamorphosis. Qual è l’elemento che ti fa pensare ad un video piuttosto che ad una fotografia?

Utilizzo la videoarte perché il mio sogno era fare film, infatti mi sono specializzata in regia e montaggio quando ancora non esisteva il digitale, ricordo che facevo il montaggio con delle manopole, era così perfetto! Per questo motivo è venuto naturale accompagnare e arricchire con un video quasi tutti i miei progetti fotografici, anche le riprese sono sempre realizzate in autonomia.

All’inizio mi filmavo solo come un impulso fine a sé stesso, poi mi fermavo a fare qualche scatto.

Più tardi, durante le mostre ho capito che il video poteva aiutare nella comprensione e nella descrizione della fotografia che in alcuni casi è molto concettuale, non di semplice apprendimento.

Penso a “Human Alienation”  progetto menzionato prima o “conCoscienza”; entrambi i progetti sono stati pubblicati su Vogue Italia e su altre riviste di rilievo.

Con la ripresa video riesco ad utilizzare meglio l’espressione corporea perché è in movimento, quindi mi permette di spaziare in maniera libera e totale.

Sono una danzatrice, ho danzato per molti anni fin da quando ero una bambina, poi ho preferito dedicarmi alla performance art integrandola sia agli scatti che alle performance live.

©Chiara Mazzocchi - White Metamorphosi
©Chiara Mazzocchi – White Metamorphosi

Si sta sviluppando un filone di fototerapia, più nota come “PhotoTherapy Techniques”, in cui si parte dalla visione di una foto, magari anche di famiglia, da parte del paziente; lo scopo è quello di migliorare la conoscenza di sé, di ridurre per esempio l’esclusione sociale o aumentare lo stato di benessere.

Judy Weiser ne è un’esponente.

Capita a volte che durante la fototerapia sia necessario introdurre, se il caso lo richiede, la figura professionale di un terapeuta per riequilibrare l’emotività del fruitore.

Per quanto ti riguarda parlavamo nella breve introduzione a questa intervista di “Pranofotografia”, ci racconteresti a riguardo? Si basa su particolari competenze extra-fotografiche?

Io stessa ho iniziato a fotografarmi per “terapia”.

La Pranofotografia è un metodo ideato da me. Percezione e osservazione animica. Il corpo è un configurarsi continuo, un continuo svolgersi di transizioni in fase. Non va concepito come oggetto ma come flusso di significato, percezione, vibrazione, impermanenza, materia ed energia in correlazione con l’ambiente e con l’anima del mondo.

La pranofotografia mette in Luce il corpo fisico, eterico e astrale dentro un processo percettivo e di unione dinamica con la Natura e con le fluttuazioni del campo magnetico.

Il mondo vissuto come esperienza intesa attraverso il sentire, non attraverso il pensare. In quel “mettere in Luce” è compreso l’atto del fotografare, come dice la parola stessa “Scrivere con la Luce”. L’immagine come verità estratta, evocazione, specchio testimone dell’impermanenza.

La Pranofotografia si basa sulla cosmicità dell’osservazione che io definisco “visione relazionale”. Ritengo che macchina fotografica, come la meditazione, sia uno strumento celebrativo del “Qui e Ora”, luogo in cui la mente non ha potere. In Fotografia ci si connette al respiro dell’universo e all’attimo presente, al vuoto-silenzio. Un apprendimento osmotico; si entra dalla una porta aperta verso il sacro, in un rettangolo di spazi, di pieni e di vuoti, senza sapere nulla: “io so di non sapere”, vivo.

Il rettangolo fotografico come la natura diventa un contenitore di conoscenza dove tutto può accadere. La fotografia va oltre l’occhio fisico, è mentalmente muta e cerebralmente silenziosa, ponte tra il visibile e l’invisibile consente di sviluppare la capacità di cambiare il livello fisico, mentale, emozionale e spirituale, divenendo terapeutica.

Il fine è il potenziamento personale, ampliare lo stato di presenza tramite il potere delle immagini che ci fanno da specchio. Unione dell’individuo con la fonte della Luce, con la mente universale della creazione e con la sua trasformazione. Proprio come un processo alchemico.

Esistono innumerevoli forme di meditazione che ci riconducono nel “qui e ora”, ma le immagini e la visualizzazione sono il linguaggio con il quale l’universo comunica con noi e viceversa. Ogni idea, ogni pensiero si manifesta e si razionalizza con un’immagine anche nello stato di incoscienza o subconscio.

L’intento è quello di liberare l’individuo e la sua innata consapevolezza per metterla al servizio dell’umanità e quindi di sé stesso.

Divulgo questo metodo/filosofia nato sulla mia pelle perché lo considero terapeutico. In accordo con il praticante mi avvalgo anche dell’uso delle onde cerebrali Theta (ThetaHealing®) per facilitare il viaggio nella percezione, contribuendo a far raggiungere l’armonia nella mente, corpo e spirito (intento). Un’armonia e un benessere che rimane nel tempo e che permette di salvare ciò che è sacro, vero, degno.

Quali sono i prossimi progetti di Chiara Mazzocchi?

Sono al servizio della Luce da quando sono nata, forse è per questo che mi chiamo Chiara.

La mia missione è quella di diffondere il linguaggio della Luce e di quindi del risveglio facendolo con tutti i mezzi che ho a disposizione: dalla macchina fotografica, alla mia energia, al mio sapermi trasformare e spostare oltre ciò che è visibile. Lì dove tutto accade prima di essere visibile.

L’energia elettrica che ci motiva non è affatto dentro il nostro corpo. È una parte dell’approvvigionamento universale che scorre attraverso noi dalla Sorgente Universale con un’intensità imposta dai nostri desideri e dalla nostra volontà. Per questo ho scelto il termine Pranofotografia, che è l’accostamento della parola “Prāṇa”, ovvero Soffio vitale, vita, respiro, anima, spirito, energia in sanscrito e Fotografia, ovvero “Phos”, luce, fotone e “Graphis” in greco scrivere, scrivere con la luce. È importante per me la divulgazione di questo metodo sia nelle scuole, nelle accademie, nei workshop. Attualmente la introduco anche negli shooting che eseguo per altri.

Matteo Rinaldi