COTM2019. Il rapporto tra gli esseri umani e il paesaggio

Il più allarmante assalto, fra tutti quelli sferrati dall’uomo contro l’ambiente, è la contaminazione dell’aria, del suolo, dei fiumi e dei mari con sostanze nocive e talvolta mortali. (Rachel Carson, Primavera Silenziosa, p. 26 – 1999)

Questo passaggio del famoso libro di Rachel Carson, di grandissima attualità, sebbene siano passati quasi sessanta anni dalla pubblicazione; rappresenta in maniera adeguata ed efficace la nona edizione del festival internazionale di fotografia Cortona On The Move. Il tema non è il cambiamento climatico, espressione che in un certo senso alleggerisce il ruolo delle persone, concentrandosi esclusivamente sugli effetti delle catastrofi; al contrario, l’intenzione di Arianna Rinaldo, a cui è affidata la direzione artistica, è quella di sottolineare il rapporto tra gli esseri umani e il paesaggio. Un rapporto, dunque, complicato che inevitabilmente finisce per raccontare la storia di un pianeta messo a dura prova, dove la trasformazione dei luoghi, nel bene e nel male, riflette il modo pensare e di agire delle persone. Il festival, infatti, è da intendersi come un intimo racconto, affidato a molte, intense e belle immagini, ospitate in luoghi suggestivi del centro storico di Cortona, come è consuetudine; dove la presenza umana è centrale nella trasformazione dei luoghi, in un arco di tempo che abbraccia il passato, il presente, anticipando gli scenari sul futuro. Il festival continua, inoltre, a mostrare una particolare attenzione a altre forme di linguaggio visivo, non solo la stampa, ma anche video installazioni e slide show su monitor. Per niente banali, perché in alcune mostre la fotografia su carta non è sufficiente, anzi è limitante.

È il caso di Simon Norfolk, un fotografo di grande intelligenza e simpatia, molto affascinato dalla stratificazione del tempo, che porta tre progetti fotografici visibili sedendosi davanti a un monitor. Una mezz’ora buona per comprendere l’uso sapiente di un output diverso dalla stampa, capace anzi di mostrarne i limiti. Crime Scenes, questo il titolo, è un racconto dove il protagonista è il tempo, che si muove veloce nella sequenza dei frame, ma più lentamente nel mostrare il progressivo cambiamento. Progetti che si propongono di mettere in relazione l’influenza che l’uomo ha sulla terra e le conseguenze sulla propria esistenza. A tal riguardo, molto suggestivo il rapporto personale di Simon Norfolk con il progressivo ritiro dei ghiacciai, la cui documentazione fotografica è affidata a una linea di fuoco posta in un punto dell’Everest, scegliendo la propria data di nascita, il 1963, come riferimento per documentare, attraverso la sovrapposizione di vecchie foto, come il ghiaccio si sia ritirato progressivamente. Il confronto tra il 1963 e oggi, è sconfortante.

Analogamente il progetto, molto intenso, di Ada Trillo, intitolato La Caravana. Partita nel 2018 da Chiapas, in Messico, insieme a una carovana di migranti, Ada Trillo mostra il dramma della fuga dalla povertà, dalla violenza delle gang, più in generale dalla criminalità e dalla cronica mancanza di lavoro. Tremila miglia, dove ha potuto imparare a conoscere i problemi, fisici e politici, che questo genere di migranti incontra. Anche in questo caso le stampe, in un bianco e nero intenso, non sono sufficienti per la narrazione, tanto che nell’allestimento le didascalie sono diventate dei veri e propri quadri, parole incorniciate, una storia dello scatto che insieme diventano la storia de La Caravana. Necessaria anche la piccola installazione video, un documento audio visivo importante, perché la fotografia da sola non rende bene il lamento di un bambino, il suo pianto, la sua paura.

Capolavoro documentaristico è il reportage di Hashem Shakeri intitolato An Elegy For The Death Of Human. La presenza umana mostrata in un contesto di totale desertificazione annichilisce. Nel sud-est dell’Iran, a confine con Pakistan e Afghanistan, c’è una provincia che un tempo era coperta da una foresta, una risorsa agricola per millenni, oggi un deserto sterile. La siccità, ben rappresentata da una diga in un bacino totalmente vuoto, ha determinato l’obbligo per la popolazione di migrare.

Infertil Crescent è il progetto ancora in corso della fotografa giordana Nadia Bseiso. Racconta la storia di un importante condotto, lungo 180km, che permetterà di portare l’acqua del Mar Rosso a quello del Mar Morto. Diviso in quattro parti, “la mezzaluna sterile”, questa la traduzione del titolo, quella che nella memoria storica era fertile; il progetto si sofferma sui luoghi che il condotto attraverserà, cercando di raccontare l’eventuale beneficio che l’acqua porterà laddove in questo momento c’è una crisi idrica. La fine del condotto è prevista per il 2020.

Alcuni ricorderanno le fotografie di Gideon Mendel in un articolo pubblicato sul numero 1224 de Internazionale intitolato La fine del mondo di David Wallace-Wells. A Cortona è possibile apprezzare quelle stesse immagini, testimonianza dell’effetto delle inondazioni. Il titolo è Drowning World, il mondo che sta annegando, dove la presenza umana, centrale nella scena, mostra cosa significa avere letteralmente l’acqua alla gola. In questo caso l’acqua diventa anche un modo per mostrare che tutte le differenze di natura geografica, culturali e economiche; sono ininfluenti.

Yan Wang Preston, un medico che ha deciso di dedicarsi alla fotografia, ha realizzato un progetto, intitolato Forest, nel corso di otto anni, che documenta la politica di rinverdimento delle nuove città cinesi, dove accade che gli alberi vengano piantati già grandi e sviluppati. Molto affascinante l’immagine che mostra l’incrocio dei piloni di cemento armato dell’autostrada su cui lentamente sta crescendo l’edera.

Senza soffermarsi su tutte le mostre, lasciando al pubblico il piacere della scoperta, tra i nomi in mostra tra gli altri: Diana Markosian, già vincitrice lo scorso anno del premio Happiness Onthemove Award 2018, Yaakov Israel, Lara Shipley, Hahn+Hartung, Nanna Heitmann, Beatriz Polo Ianez, Ryan Walker; vale la pena parlare degli italiani presenti al festival. Il più noto Paolo Verzone con un reportage, ancora in fase di realizzazione, che pone al centro dell’attenzione gli abitanti di una delle comunità più a nord del mondo, nell’artico: Artic Zero il titolo. È anche una documentazione di un centro di ricerca che monitora l’ambiente. Nell’allestimento, per sottolineare ulteriormente l’importanza della persona nel paesaggio, alcune delle immagini sono state retro illuminate, evidenziando la sola persona, per sottolineare proprio la presenza umana in un paesaggio che non offre particolari attrazioni. Di altro genere gli altri tre: quello di Andrea Botto che si concentra sulle demolizioni controllate, che, a dispetto dell’apparenza, non sono scattate con una macchina digitale sfruttando la raffica, ma usando un banco ottico con solo due possibilità. Le immagini in mostra sono molto attraenti e permettono di apprezzare come il paesaggio cambi dopo una demolizione, attraverso una ricostruzione o una riqualificazione. Marina Caneve ha realizzato una interessante indagine sul rischio idrogeologico sulle Dolomiti, non tanto per mostrare che possa accadere, quanto invece che possa ripetersi. Infine, Marco Rigamonti ha raccontato le coste italiane, evitando il turismo di massa. Spesso la bellezza di una spiaggia e del mare, contrasta con uno sfondo irrispettoso del paesaggio, come sono le fabbriche o le costruzioni abusive.

Poche parole, ma necessarie, sulla mostra Paesaggio umano: l’Italia del ‘900, con un allestimento realizzato in maniera pregevole, sia sul piano estetico, sia su quello funzionale. Le foto sono 100, tratte dall’Archivio storico di Intesa Sanpaolo, main partner del festival, selezionate da Arianna Rinaldo e con la supervisione scientifica di Barbara Costa, responsabile dell’archivio stesso. La scelta delle immagini è in funzione del tema del festival, quindi preferendo quelle che mostrano il rapporto tra persone e paesaggio, non solo attraverso i disastri ambientali, come il Vajont o l’alluvione del Polesine, ma anche con la presenza di iniziative agricole, la ricostruzione post-bellica, gli sviluppi infrastrutturali. Vale la pena ricordare, per gli amanti della fotografia di archivio, che l’Agenzia Publifoto, chiusa nel 1995, oltre alle fotografie che raccontano ottanta anni di storia italiana, conserva delle schede descrittive, allegate ai negativi, molto divertenti.

Presente anche in questa edizione Canon come Digital Imaging Partner. Al di là delle varie iniziative proposte, commerciali e didattiche, molto interessante è la mostra dedicata al Premio Canon Giovani Fotografi. La categoria progetto fotografico ha avuto come vincitore Federico Vespignani che ha documentato la vita difficile e complicata dei giovani in Honduras fatta principalmente di violenza. A seguire, Alisa Martynova e Ciro Battiloro. La categoria fotografia sportiva ha avuto un solo vincitore: Federico Guida, con il reportage Pugni Chiusi; così come quella dedicata al progetto multimediale vinto da Alberto Ferretto con About Respect. I lavori sono di altissimo livello, per nulla banali nella narrazione, dove è possibile apprezzare una precoce maturità espositiva.

Cortona On The Move continua a stimolare e a sollecitare il pubblico. Il tema è in linea con l’attualità del momento, ma con un taglio che favorisce l’approfondimento e la riflessione, non limitandosi ai soli progetti in mostra, ma permettendo di individuarne altri non presenti, magari leggendo settimanali, mensili, o andando a vedere altre mostre; ma comunque in linea con la tematica proposta. Ragionare sul rapporto tra l’umanità e il paesaggio è un esercizio che pone le persone nella condizione di relazionarsi con le proprie le scelte e le proprie azioni, perché il mondo nel quale viviamo e che tendiamo a trasformare, oramai in maniera quasi negativamente irreversibile, sta diventando invivibile.

 

Federico Emmi