Giuseppe Primoli, street photography di fine ‘800

Sembra la New York di Garry Winogrand, ma siamo a Roma ed è il 1890.

Abituati come siamo alla street photography in bianco e nero che ritrae figure umane che per natura non torneranno mai più nella stessa posizione, dove il mosso non è solo concesso ma è parte integrante di ciò che si vuole raccontare e per lo stesso motivo una foto in posa sembra dipingere l’eternità, ad un primo sguardo le opere di Giuseppe Primoli ci danno la sensazione di un lavoro ben fatto, in linea con gli standard della fotografia di strada e in cui traspare la personalità dell’autore.

Ma appena ci si rende conto che i soggetti ritratti non sono figuranti di un film d’epoca, bensì veri e propri protagonisti della vita della neonata capitale italiana sul finire del XIX secolo, che ci troviamo quindi in un periodo in cui nessuno poteva parlare di standard nella street photography (termine che sarebbe apparso tra l’altro alquanto bizzarro), che la produzione fotografica del periodo non abbondava certo di dinamicità e tocco d’artista, allora gli scatti del Conte Primoli ci rivelano a tutti gli effetti il genius della fotografia, anticipando di diversi decenni quello che Eric Solomon ed Henri Cartier-Bresson delineeranno come il “momento decisivo”.

Giuseppe Napoleone Primoli era diretto discendente del più famoso Napoleone I Bonaparte, da parte del nonno Luciano, fratello amato e odiato dall’Empereur che contribuì alla di lui ascesa e al colpo di stato del 18 Brumaio, ma che non ne accettò la svolta dittatoriale e già dal 1805 si stabilì a Roma con la famiglia. La condizione agiata della nobile famiglia franco-italiana di sicuro contribuì alle disponibilità di mezzi, ma ciò che avvicino Gegé (come era affettuosamente chiamato) al mondo dell’arte e della cultura fu sicuramente l’intensa frequentazione ed amicizia con personaggi del calibro di Théophile Gauthier, Charles Baudelaire, Ernest Renan in Francia e D’Annunzio, Serao, Verga, Pascarella, Duse e Sartorio in Italia.

L’intensa attività culturale, declinata anche in altri campi, unita ad un innato senso di leggerezza espressiva utilizzata sia nel riprendere la vita del popolo che quella più “impostata” dei salotti nobiliari, ha permesso al Conte di essere annoverato fra i fotografi italiani più importanti ed originali nel corso dei primi cento anni di storia della fotografia. Tra i suoi soggetti risultano anche i grandi cantieri che trasformavano la capitale, gli eventi socio-politici (tra cui l’importante comizio del 1 maggio 1891 nei pressi di Santa Croce in Gerusalemme), quelli militari ed amava anche ritrarre in pose non sempre autoritarie i suoi amici scrittori, tra cui Dumas, Zola, Maupassant ed il già citato D’Annunzio.

Negli scritti di Italo Zannier – Giuseppe risulta un autore di grande rilievo nel panorama della fotografia ottocentesca mondiale. La sua personalità umana e la vocazione letteraria lo sottrassero alla banalità degli stereotipi consueti nell’hobby fotografico in quegli anni di incipiente massificazione, quando la fotografia sembrava veramente alla portata di tutti. […] Certamente intuì per primo alcuni caratteri specifici di questo genere narrativo, l’uso della sequenza, ad esempio, utilizzata per descrivere una scena dal “generale” al “particolare”, o la ripresa “in controcampo”, con cui ottenne quella narrazione “indiretta” che sessant’anni dopo diede fama a Cartier-Bresson.

La sua attività di fotografo si concentra soprattutto tra il 1888 e il 1905, utilizzando un Kinégraphe, apparecchio reflex a lastre di 8×9 centimetri a fuoco fisso, estendendosi non solo alla città di Roma, alla quale era comunque molto legato, ma anche all’altra capitale della sua vita, Parigi, alla città di Venezia e all’Agro Romano, di cui cercò di raccontare l’anima contadina ma anche le prime trasformazioni di un’area ai confini di una città sempre più importante nel panorama internazionale.

Quasi la totalità dell’opera fotografica di Giuseppe Primoli è disponibile per la consultazione al sito dell’archivio della Fondazione Primoli, alcune opere in stampa possono essere ammirate al Museo Napoleonico di Roma, da lui voluto ed organizzato in modo da raccontare la storia della famiglia più che del personaggio, ad ulteriore conferma della profondità culturale ed allo stesso tempo della sensibilità che caratterizzavano la vita e l’opera di Gegé.