Invito alla lettura de “Il tempo non esiste. L’uomo nell’eterno presente”, di Rossano Baronciani

“Il tempo non esiste. L’uomo nell’eterno presente” edito da Effequ è un interessantissimo saggio scritto da Rossano Baronciani, docente di Etica della Comunicazione e Antropologia culturale dell’Accademia di Belle Arti di Urbino, e che abbiamo l’onore di ospitare sul nostro magazine con la rubrica “Di luce e ombra”.

Uscito a Giugno del 2020, il libro si compone in realtà di due parti: il libro primo intitolato “Il tempo non esiste” e il libro secondo, “La società pornografica”, scritto in realtà precedentemente (2016) ed edito dalla stessa casa editrice.

Incuriositi dal titolo, che non può lasciare indifferente chi ama la fotografia, ci siamo addentrati nella lettura di questo consistente saggio da subito chiedendoci, fiduciosi, per quale ragione in esso avremmo in realtà trovato due libri.

L’autore ci accompagna attraverso un’ampia ed approfondita serie di disquisizioni e riflessioni, aneddoti, fatti storici e racconti privati, citazioni di libri e film, narrazioni di miti e chiose filosofiche o psicoanalitiche e non sempre è facile intuire o anticipare dove saremo da lui condotti; la scrittura è tuttavia talmente accattivante e chiara, che lo si segue con piacere fino a rispondere alle nostre domande e curiosità. 

Aggiungo una ulteriore nota di merito relativamente alla scelta dell’autore di legare molte delle sue riflessioni a fatti vissuti in prima persona, racconti del suo passato, di amici, famigliari e luoghi: oltre ad essere utile per spiegare le tesi sostenute e proposte, questi inserti di natura narrativa si alternano a parti più impegnative, aiutandoci a sostenere il ritmo di un libro densissimo.

Non solo, per quanto tutti i paragrafi inseriti siano funzionali al messaggio finale ed il consiglio vivissimo è leggere per intero il testo, va anche sottolineato come ognuno in realtà possa anche avere una propria autonomia; è cioè possibile leggere singoli paragrafi per decidere di riflettere profondamente su ogni tema proposto, senza sensi di colpa verso l’intera raccolta; la pregnanza dei temi trattati insieme alla scorrevolezza della scrittura ci terranno tuttavia incollati alla lettura, invogliandoci a proseguire per ogni paragrafo di questo libro di quasi trecento imprescindibili pagine.

I titoli di capitoli e paragrafi sono scelti con molta cura dall’autore e sono un ulteriore aiuto nel dipanarsi del suo discorso e dei nostri pensieri. Il libro primo “Il tempo non esiste” si compone infatti di due capitoli nominati “Ricordare” e “Dimenticare” e si apprezza la precisione con cui sono scelti quando si realizza che il libro contiene due concetti chiave, come capisaldi di tutta la trattazione e della tesi finale: MEMORIA e STORIE. 

I due concetti sono assolutamente legati e sono tantissime le riflessioni cui ci induce l’autore, ognuna oltremodo profonda, ma ho trovato nella frase che vi cito il fil rouge che mi avrebbe accompagnata attraverso la lettura di tutto il saggio, compreso il secondo libro “La società pornografica”.

Dopo averci narrato della perdita di un amico, scoperta casualmente dalla timeline di Facebook (tema sui cui peraltro ci intratterrà lungamente), Baronciani ricorda le loro scorribande da ragazzi, riportando alla mente un brano da loro improvvisato sotto la pioggia di Londra (erano entrambi amanti della musica che praticavano oltre ad ascoltarla) ed è a questo punto del libro che scrive a mio avviso parole illuminanti per continuare a seguirlo: «Spesso ci raccontiamo che la musica ci riporta indietro nel tempo, ci fa ricordare luoghi, episodi e persone, ma in realtà ci sbagliamo, la musica è solo un detonatore una miccia accesa che corre verso l’esplosivo, perché non media tra i pensieri e i sentimenti, semplicemente li fa saltare per aria, in ogni direzione. Il tempo non esiste, esiste solo la memoria che cuce come un abile sarto i fili delle nostre storie private e collettive, ricordi che rimbalzano dentro di noi come palline magiche, lasciandoci l’illusione di poter conservare quei frammenti di memorie, e di poterli trattenere ancora un po’, forse solo con l’unico scopo di poterne parlare ancora con un amico, qualcuno che sia disposto ad ascoltare solamente un’altra, ultima volta

È la memoria, dunque, ciò che va preservato e coltivato, perché, per citare nuovamente un altro punto essenziale del libro: «la memoria coincide con lo strumento umano che organizza e mette in relazione i fatti e gli eventi che accadono. Dunque è attraverso le immagini che si sedimentano, si perdono e risorgono dentro di noi che possiamo dare una direzione e un senso a ciò che chiamiamo il tempo. Solamente l’epifania di una visione può far ritrovare il significato nascosto delle nostre azioni, perché al di là del logos è l’imago che lega e contiene dentro la sua cornice la sostanza dei nostri ricordi

Il tempo non esiste, dunque, ma noi esistiamo sino a che c’è memoria, che, dunque è fondamentale. 

Ed essenziale non è solo la memoria di quanto ci è personalmente accaduto, ma anche dei fatti storici e collettivi, che abbiamo vissuto, letto e visto narrare; in una parola: le storie.

È sul tema della narrazione di una storia che troviamo l’altra chiave di lettura di questi due saggi connessi l’uno all’altro.

La narrazione, innanzitutto, può influenzare la stessa storia, e Baronciani ci offre moltissimi spunti di riflessione al riguardo.

Dalla “coreografia” utilizzata sui quotidiani dell’epoca per riportarci i fatti relativi a rapimento e uccisione di Aldo Moro e specularmente il linguaggio adottato dalle stesse Brigate Rosse, ad esempio, alla “presa diretta” sui tragici momenti della morte del bimbo caduto in un pozzo artesiano, Alfredino; una TV che pur tenendoci a distanza ci immergeva nel reale, mostrandoci qualcosa che «non poteva essere raccontato» offrendoci al contempo il primo terribile “reality show”. 

È nel prosieguo del suo “Il tempo non esiste” e successivamente nel suo “La società pornografica” che, focalizzandosi soprattutto sui meccanismi dei social network e del web, proprio a proposito di narrazione, l’autore ci rivela suo malgrado che viviamo in un tempo in cui siamo scollati da quanto accade. Un tempo in cui, come è accaduto per il bambino siriano morto e riverso sul bagnasciuga, il piccolo Aylan, è estremamente facile spingere al massimo la sempre esistita pruriginosa voyeuristica tendenza del fare informazione, perché è diventato essenziale rendere visibile l’osceno, fino al punto da rendere pornografico non il contenuto ma lo sguardo; un tempo in cui non conta davvero ciò che accade, ma solo la sua rappresentazione. 

Un tempo in cui i 15 secondi di una storia su Instagram ci attraggono, ma poi lasciamo tranquillamente che cadano nell’oblio. 

Un tempo, quello di internet, dove il tutto sempre accessibile ci catapulta nell’”eterno presente”. 

Un tempo dove alcune serie TV che tanto ci piacciono non sanno citare (raccontare!) davvero il passato, perciò non raccontano ma semplicemente intrattengono e non hanno neppure la forza di essere fantasiose ma profetiche come sapevano fare tanti racconti e film di fantascienza degli anni ’60 e ’70, sono dunque senza visione sul futuro; serie TV dove i sequel, prequel, i remake ci incollano a quell’eterno presente, senza preoccuparci di mollarci in un ennesimo oblio, terminando prematuramente se gli ascolti non raggiungono gli obiettivi di ascolto prefissati.

Un tempo in cui la linearità della timeline di un social network ci pare racconti una cronologia, ma in realtà risponde solo a degli algoritmi che ci mostrano soltanto ciò che vogliamo vedere.

La narrazione sul web a volte non solo prescinde dalla storia, ma anche dall’intrattenimento: ha il solo scopo di educare gli algoritmi a raccogliere informazioni su di noi. Allora ci chiude in una gabbia che crediamo libera, perché possiamo impunemente esprimere le nostre opinioni, non rendendoci conto che una fake news non ha neppure la dignità di una falsità propagandistica della politica di una volta, serve solo a far traffico; o che ci pare di urlare il nostro pensiero al mondo, ma lo facciamo solo nella ristretta cerchia di coloro che i meccanismi dei social hanno imparato a proporci perché profilati come simili a noi, precipitandoci, peraltro, in quel «narcisismo digitale» dove il nostro avatar, non noi, si gongola per la compiacenza raccolta se non, peggio ancora, si getta nella deriva di un hater, perché in realtà abbiamo fobia dell’altro che non guardiamo neppure più in faccia vivendolo solo attraverso un’immagine riflessa da uno schermo o dietro a una tastiera.

Un tempo, insomma, dove la narrazione oggi può addirittura prescindere da una storia. Ed è questa la principiale riflessione cui mi sono sentita portata: se non esiste una STORIA, non esiste neppure MEMORIA, ed è nell’oblio che si nasconde il «seme di un nuovo male», così come nell’eterno presente – che non è certamente il saggio mantra del vivere consapevolmente nel “qui e ora” – noi veniamo derubati anche della visione di un futuro.

Luisa Raimondi

Potete seguire Rossano Baronciani anche sul suo Blog

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