Jill Freedman, la street photographer dei poveri in un paese ricco

La recente scomparsa di Jill Freedman, la fotografa di strada che ha pubblicato progetti documentari a lungo termine su stazioni di polizia, caserme di pompieri, un circo, la Poor People’s Campaign e altre piccole comunità, ha riportato alla luce i suoi lavori e fatto riscoprire al mondo una fotografa che ha saputo raccontare la strada in maniera allo stesso tempo personale ed universale. Il curatore dei suoi diritti, Steven Kaher ha dichiarato:  “La considero una delle grandi fotografe di strada, la vera erede di Weegee”

Gli otto libri di fotografie di Freedman includono Circus Days (1977), sul Circo dei fratelli Clyde Beatty-Cole, che ha seguito per due mesi; Firehouse (1977), sui vigili del fuoco in una compagnia dei Vigili del Fuoco di New York City; Street Cops (1982), sugli agenti di pattuglia a New York City; e Ireland Forever (2004), con foto fatte durante i viaggi attraverso il paese. Freedman si specializzò nel trovare persone ai margini della vita americana, rendendole nobili ma non necessariamente eroiche. Anche quando i suoi soggetti erano stravaganti o bizzarri, la Freedman non commerciava mai nella stranezza per sé stessa; gli spettatori potevano ridere insieme ai soggetti, ma non su di loro.

Nata a Pittsburgh, Freedman si è laureata in sociologia all’Università di Pittsburgh nel 1961. Dopo una carriera da cantante, si è trasferita a New York City. Da tempo interessata alla fotografia, ha affinato le sue capacità fotografiche lavorando come copywriter di agenzie pubblicitarie.

Nel 1968, lasciò il suo lavoro pubblicitario per unirsi alla Poor People’s Campaign, che il Dr. Martin Luther King, Jr. aveva iniziato ad organizzare poco prima che fosse assassinato. Scosso dalla sua morte, Freedman decise di unirsi ai poveri di tutto il paese a cui King aveva chiesto di accamparsi nella capitale della nazione e di chiedere ai legislatori di intervenire sul lavoro e sulla disuguaglianza. Mentre i manifestanti si accamparono per settimane in baracche di fortuna, Freedmen agì come fotografa non ufficiale. “C’erano persone che si sarebbero tolte la camicia per darla a te, e altri che ti avrebbero ucciso per la tua. E ogni tipo di persona fra questi due estremi”, scrisse in Resurrection City, 1968, un libro pubblicato nel 2018, nel 50° anniversario del movimento.

Al ritorno a New York, Freedman continuò a lavorare all’interno di comunità affiatate, guadagnandosi la fiducia dei vigili del fuoco che la lasciarono rimanere nella loro caserma dei pompieri e dei poliziotti che la lasciarono accompagnare in pattuglia.

Alla fine degli anni Ottanta, si trasferì a Miami  per un servizio fotografico per il Miami Herald, quando la fotografa Maggie Steber era il direttore della fotografia del giornale. In un profilo del New York Times su Freedman, Steber ha detto: “Per me, Jill fa parte dei grandi fotografi americani. Lo è sempre stata e sempre lo sarà”.

Dopo il ritorno di Freedman a New York City, è stata protagonista di Everybody Street, il documentario del regista Cheryl Dunn del 2013 sui fotografi di strada. Steber ha anche dichiarato che il lavoro di Freedman era “completamente sottovalutato”. Kasher osserva: “Il suo lavoro è molto sottovalutato e spero che la situazione venga presto rettificato, per esempio, con una retrospettiva di un grande museo”.

“I miei amici e parenti sanno che sono pazza”, ha detto al New York Times a proposito della sua immersione totale nei suoi soggetti. “E’ ossessivo. Voglio raccontare la storia e voglio farlo bene. Dio non voglia che sia facile per me stessa”.

Silvio Villa