La fotografia del cambiamento climatico

Si intitola Climate Change and Land (cambiamento climatico e territorio) il rapporto conclusivo dell’IPCC, il comitato di esperti dell’ONU che studia questo fenomeno. Il primo incontro risale all’Aprile del 2016 a Nairobi in Kenya per discutere del progetto, poi successivamente nel febbraio del 2017 a Dublino in Irlanda per preparare la bozza e sempre nello stesso anno, a Guadalajara in Messico, per l’approvazione dello schema del report. Due anni di studio e quindi la relazione conclusiva presentata a Ginevra nei primi giorni di Agosto del 2019.

Il rapporto è diviso in capitoli, molto corposi, presi singolarmente possono essere considerati dei saggi, il cui nucleo tematico è rappresentato dai 3, 4 e 5 nei quali si affrontano i temi della desertificazione, del degrado del territorio e la sicurezza alimentare. L’iterazione tra clima e terra è trattata nel capitolo 2 che insieme al primo fornisce il contesto al rapporto. Il capitolo sesto analizza il rapporto tra le tematiche dei precedenti tre capitoli in relazione all’effetto serra, mentre il settimo capitolo si occupa dei rischi che derivano dal cambiamento climatico.

Al di là degli effetti, visibili e tangibili, del cambiamento climatico, il report si concentra sul modo in cui viene utilizzata la terra e come ciò contribuisce a cambiare il clima, il cui esisto finisce per essere catastrofico per la terra, ma le cui soluzioni sono contenute in essa. La più importante è quella della riforestazione, capace, secondo le stime, di abbattere di un terzo il biossido di carbonio. Un esempio felice, in tal senso, lo ha fornito il famoso fotografo Sebastião Salgado che insieme alla moglie, attraverso la fondazione Istituto Terra, ha piantato quasi 3 milioni di alberi a Minas Gerais, nel sud-est del Brasile. Il recupero ha permesso anche di ritrovare la fauna e allo stesso tempo di riportare la bellezza in un paesaggio che era praticamente deserto. Il risultato è visibile attraverso fotografie aeree che mostrano la differenza tra il 2001 e oggi.

Il rapporto si occupa anche di alimentazione, mostrando come i comportamenti alimentari contribuiscano all’effetto serra. Lo spreco di cibo, che oscilla tra il 25% e il 30%, ha un effetto dannoso per l’ambiente che viene quantificato in una percentuale che arriva al 10% delle emissioni. Modificare, quindi, la propria dieta comporterebbe un approccio alle coltivazioni differente e una a basso contenuto di carbonio potrebbe garantire una diminuzione significativa dei gas emessi. Tra l’altro, in uno scenario compromesso come quello attuale, con una tendenza al peggioramento, la stessa qualità del cibo è messa in discussione, oltre che la quantità. Tutto ciò ha come esito drammatico quello di spingere le persone ad abbandonare le zone critiche del pianeta, come quelle centrali, dove la desertificazione e la cronica mancanza di acqua, è ormai ampiamente documentata.

Il tema del cambiamento climatico, dei suoi effetti catastrofici sulla terra e quindi sulle persone, è ampiamente tematizzato al livello fotografico. Reportage in tal senso, dalla desertificazione agli tsunami, sono presenti in tutti festival fotografici. Le fotografie hanno il vantaggio di semplificare il discorso, rendendolo immediato, così come di facilitare l’accesso alla conoscenza e stimolare il senso critico.

My Drowning World, letteralmente il mio mondo sta annegando, è un esempio intelligente di reportage fotografico che tratta il cambiamento climatico a livello globale. Gideon Mendel ha iniziato il progetto nel 2007 quando ha fotografato due inondazioni avvenute a distanza di poco tempo, una in Inghilterra, l’altra in India. Ciò che ha subito colpito il fotografo e che poi lo indotto a farne un lavoro strutturato, è stato il vedere la fragilità condivisa che ha, in un certo senso, unito chi aveva subito l’impatto dell’inondazione nel vivere la stessa esperienza. Una situazione che accumunava: Haiti (2008), Pakistan (2010), Australia (2011), Tailandia (2011), Nigeria (2012), Germania (2013), Filippine (2013), Regno Unito (2014), India (2014), Brasile (2015), Bangladesh (2015) e Stati Uniti (2015).

Scrive Gideon Mendel: «con lo sviluppo del progetto, la “conversazione” creata accostando immagini di diverse alluvioni in diversi paesi si è intensificata. Il mio intento è che Drowning World sia testimone di un’esperienza umana condivisa che cancella le divisioni geografiche e culturali. In un paesaggio allagato, la vita viene improvvisamente capovolta. La normalità è sospesa e gli esseri umani devono adattarsi». Cosa significa vivere dopo un’alluvione, con l’acqua che letteralmente arriva alla gola, dove la tempesta ha eliminato tutte le differenze, rendendo la quotidianità una liquidità continua e senza apparente fine? La risposta è nei ritratti, immersi nell’acqua, melmosa e fangosa, fissi, con l’intento che «il loro sguardo sfidi lo spettatore e faccia parte di un ritratto condiviso dell’umanità in crisi di fronte al disordine naturale, un disordine che l’umanità ha avuto un ruolo nel precipitare». Il progetto si presta molto bene anche a suggerire l’inerzia che il mondo ha a comprendere, quindi ad accettare, il cambiamento climatico con i relativi disastrosi effetti, attraverso la rappresentazione dall’immobilità dei soggetti fotografati che, sebbene siano stati privati della loro esistenza, trovano comunque il tempo per continuare a fumare, per fare la spesa e così via, cioè il desiderio di normalità in netto anticipo rispetto alla diminuzione dell’acqua. È proprio in queste fotografie che emerge tutto il limite, anche esso tra l’altro tematizzato con la serie Floodlines, di un mondo educato a ritornare alle solite abitudini, come se nulla fosse accaduto, laddove al cambiamento climatico dovrebbe corrispondere un cambio di mentalità, un approccio alla vita differente, più attento alle esigenze dalla natura, silenziose, ma presenti.

 

https://www.ipcc.ch/report/srccl/

http://gideonmendel.com/submerged-portraits/

 

Federico Emmi

 

Immagine copertina tratta dal sito di Gideon Mendel.