“La legge”- Uno sguardo al futuro

«Cretino». 

«Com’è fesso quel piccione, potrebbe andare dove vuole…»

Uno dei disoccupati del paese alla controra si rivolge ad un piccione poi, in uno dei tanti e magnifici piani sequenza del film, si incammina verso un manipolo di altri disoccupati e domanda loro: «Se tu avessi le ali ci resteresti su quest’isola?»

«Hey piccione, perché resti qui?»

La risposta arriva da un vecchio, disoccupato pure lui: «Perché ogni tanto gli buttano una briciola di pane, proprio come a noi

Sono le battute d’inizio del film quasi completamente sconosciuto “La legge” del 1958, diretto da Jules Dassin, tratto dall’omonimo romanzo di Roger Vailland.

In un caffè nel mio paese d’origine in compagnia di Ferruccio Castronuovo, regista, attore e scrittore artefice, tra le altre cose, del backstage del film “Casanova” di Fellini con il quale collaborò per un decennio e Thierry Gentet, regista francese, era improbabile non menzionare “La Legge”, girato sul Gargano da una produzione francese.

Jules Dassin (Middletown 1911 – Atene 2008) regista, scrittore, produttore e attore, nacque in America in una numerosa famiglia di origini russo-ebraiche. È considerato uno dei padri del cinema noir ed è stato fortemente influenzato dal neorealismo italiano.

Quando la sua carriera cominciava a decollare fu inserito nella lista nera di Hollywood durante il Maccartismo. Si indica con il termine Maccartismo l’atteggiamento politico diffuso in America tra la fine degli anni Quaranta del Novecento e la a metà degli anni Cinquanta contraddistinto da un clima di sospetto e a volte di persecuzione nei confronti di personalità politiche, artistiche e perfino militari considerati una minaccia per lo Stato. Il senatore McCarthy, da qui il termine Maccartismo, diresse la principale commissione istituita per reprimere le attività considerate antiamericane operando attacchi personali nei confronti di singoli o gruppi di persone che considerava comunisti.

Dassin, ostracizzato in patria, si trasferì in Europa dove, finito l’embargo statunitense sui film europei, riuscì a scrivere e dirigere altri film tra cui “Rififi” (1955) in cui descrive accuratamente l’organizzazione e la realizzazione di una rapina; il film fu d’ispirazione per decenni di altri capolavori del genere tra cui: “Colpo grosso” (1960) il cui titolo originale è “Ocean’s 11”, “Rapina a mano armata” (1956) di Kubrick e l’italiano “I soliti ignoti” (1958) di Monicelli. “Rififi” è stato considerato da Truffaut il miglior film noir mai girato.

In Europa, a Cannes, conobbe l’attrice greca Melina Merkouri che sposerà nel 1966 e dirigerà in diversi film, tra cui, appunto, “La legge”.

Direttore della fotografia del film è Otello Martelli, il quale ha collaborato con i più grandi nomi della regia italiana: Pasolini, De Sica, Rossellini, Lattuada; dopo “La Legge” girerà “La dolce Vita” di Fellini continuando la lunga e proficua collaborazione con il regista romagnolo iniziata già nel 1950 e durata più di un decennio.

Jules Dassin – © Cecilia Mangini – Carpino 1958
Jules Dassin – © Cecilia Mangini – Carpino 1958

Nella versione francese, come accennavo, il film è ambientato sul Gargano dove effettivamente, tra Carpino, Rodi, San Menaio e la Baia di Manacore, si sono svolte le riprese; nell’edizione italiana del 1959 l’ambientazione viene dislocata in Corsica.

Nella cornice di questa terra aspra e selvaggia, magistralmente ripresa, si intrecciano le storie di Marietta (Gina Lollobrigida), Enrico (Marcello Mastroianni), Pierre Brasseur (don Cesare), Yves Montand (Matteo Brigante), Melina Merkouri (donna Lucrezia).

Filo conduttore del film è il gioco della legge, clandestino e di prerogativa maschile praticato nel caffè del paese mentre le autorità conniventi chiudono un occhio. Giocare prevede di sorteggiare un padrone che sceglie tra i giocatori un sottopadrone. Padrone e sottopadrone dispongono del vino comprato da tutti, hanno la facoltà di accordare il permesso di bere o meno a chi lo chiede, ma anche di dire qualunque malignità o cattiveria sul conto altrui, fondata o meno che sia: «Il padrone può dire ciò che pensa, persino la verità, può adulare, umiliare, niente è escluso. Chi subisce non ha alcun diritto di protestare, è obbligato a sottostare.».

Per Dassin il gioco della legge, come spiega in maniera eccellente Cecilia Mangini nel libro “La legge di Jules Dassin” – Cappelli Editore 1959, è una mera manifestazione di violenza, di umiliazione, di valori umani calpestati.

Backstage - © Titanus
Backstage – © Titanus

In un arco temporale di un paio giorni di Enrico, arrivato in paese per bonificare le paludi di don Cesare  viene introdotto al gioco della legge; donna Lucrezia, moglie infelice del giudice fa recapitare un biglietto d’amore a Francesco, il figlio di Matteo Brigante, prepotente e prevaricatore, il quale crede di poter ottenere tutto ciò che vuole compresa Marietta, serva di don Cesare, il padrone del paese; Marietta, invaghita di Enrico, durante la festa del paese, gioca la sua legge, ordina ad un suo spasimante di sottrarre il coltello a Matteo Brigante e riesce a rubare il portafoglio stracolmo di un turista svizzero.

La trama rispecchia fedelmente, nei fatti, il romanzo di Vaillard, ma viene accomodato da Dassin per rappresentare il suo punto di vista mettendo in scena i temi a lui cari: l’esercizio del potere, la simpatia per l’anticonformismo, il sesso come strumento di tirannia, l’ingiustizia sociale, la dignità, la passione. Dassin riesce ad animare fatti e personaggi di una nuova luce dando al film un respiro più ampio.

Come un sapiente direttore d’orchestra li armonizza, si muove fra la commedia e la tragedia, fra denuncia e accettazione andando oltre le convenzioni della drammaturgia in un balletto di opposti.

Rende protagonisti assoluti delle riprese gli sguardi che esprimono sottomissione, prevaricazione e violenza, ma anche amori, tradimenti e desideri, sogni.

Rappresenta un mondo chiuso e maschilista dove alla fine sono le donne – Marietta e donna Lucrezia, ognuna a suo modo – a sovvertire la legge. Racconta di un mondo violento e atavico, ma anche governato dall’amore e dalla passione. Parla di rispetto dovuto e di diritti acquisiti dal padrone in quanto tale, ma spiega anche che il rispetto va meritato.

Dassin, è noto, preferisce i ladri e le loro leggi morali. Decodifica descrivendo magistralmente le contraddizioni del Sud, le sue regole non scritte e loro origini lontane. Introduce l’elemento del progresso che negli anni Sessanta arrivava anche nel Meridione, ma comprende i concetti di fame, sopravvivenza, destino, dignità e ribellione.

Una serie di polemiche segnò l’uscita del film, molte sono riportate nel libro già citato di Cecilia Mangini, alcune su tutte: «Per imporre la sua legge, il regista Jules Dassin ha ingaggiato una battaglia durata dieci mesi. Dassin ha dovuto vincere la censura italiana, che trovava il romanzo troppo sfavorevole all’Italia» (Jean Marvier, in Jours de France, 21 giugno 1958) e ancora, «Le polemiche che hanno accolto il libro alla sua apparizione, si sono ripetute naturalmente quando Dassin ha annunciato il suo film. In difesa della travisata realtà del Sud, si sono mossi alcuni deputati.» (Stelio Martini, in Tempo illustrato, 25 giugno 1958). 

La visione miope dell’epoca non favorì certamente la lettura e l’ampiezza dei temi trattati in questo film. La rilettura, dopo più di sessant’anni dalla sua prima uscita, evidenzia quale respiro e con quale lungimiranza si riuscirono ad argomentare temi illeggibili all’epoca: l’autodeterminazione della donna che aspetterà un decennio prima di essere affrontata, la sovversione degli schemi di un mondo che non può più figurarsi come eterno e immutabile, il tema del Sud e del lavoro per il quale lo stesso Dassin dichiarerà in una conferenza stampa: «Se ci sarà lavoro scomparirà la legge».

Probabilmente per godere appieno della bellezza di questo capolavoro erano necessari sessant’anni; i tempi e le idee a volte non vanno di pari passo.

Molte sono le chiavi di lettura suggerite, indice del genio di Dassin.

Lascia aperta la porta dell’interpretazione.

Da vedere.

https://www.raiplay.it/programmi/lalegge

Matteo Rinaldi

1 reply to “La legge”- Uno sguardo al futuro

  1. Prima di tutto complimenti vivissimi a Matteo sono orgogliosa di poterlo annoverare fra i miei più cari amici abbio avutoodo di chiacchierare più volte in tempi andati ho 77 anni nata a Milano e cresciuta in una figlia che grazie a Dio amava il cinema ed era aperta anche ai probli e alle disuguaglianze che sia negli anni 50 e i 60 in parte evidenziavano usi e atteggiamenti tra Nord e Sud trovo questo studio sui i film di quell’ epoca e quello che davvero succedeva soprattutto nei piccoli centri in Meridione valga di essere discusso ed evidenziato anche oggi che secondo me purtroppo è chiara la facciata è l apparenza ma la radice è ancora viva e le modalità nn tanto diverse bravo anzi bravissimo Matteo

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