László Moholy-Nagy e lo scrivere con la luce

Quanti appassionati fotografi si sono poeticamente definiti “scrittori con la luce”? Dal greco il termine “fotografia” etimologicamente significa in effetti “scrittura di/con la luce”. Dai primissimi esperimenti dei pionieri della fotografia fino agli instagrammers odierni tutti hanno a che fare con la luce.

Alla Galleria d’Arte Moderna di Roma è in corso una interessantissima mostra di un artista (fotografo in questo caso è riduttivo) che questa etimologia l’ha fatta propria e restituita a noi in modo tangibile: László Moholy-Nagy (al momento l’esposizione è chiusa per la contingente emergenza sanitaria).

Come lui stesso afferma nel suo “Abstract of an Artist” «Il mio lavoro non è stato altro che una parafrasi del problema originale, la luce.»; conoscere e studiare questo fotografo è un passo imprescindibile per chi voglia entrare in profondità nella etimologia del termine fotografia.

Nato nel 1895 in un piccolo villaggio ungherese (curioso come l’Ungheria abbia dato i natali a tanti fotografi eccellenti, da Joseph Koudelka, a Robert Capa, da André Kértesz a Brassaī), Moholy-Nagy è certamente tra i più visionari, rivoluzionari e sperimentatori.

Il giovane Moholy-Nagy disegna sin da bambino, ma decide di dedicarsi alle arti visive tornato dalla guerra nel 1917 (durante la quale manda regolarmente alla famiglia cartoline disegnate, tredici sono presenti nella mostra di cui sopra a Roma) rinunciando alle sue precedenti velleità letterarie.

Si inserisce in un periodo di grande rivoluzione culturale, che affronta con entusiasmo instancabile e al quale contribuisce attraverso un percorso multidisciplinare dove la fotografia ha un ruolo importante.

Al riguardo di imprescindibile riferimento il suo “Pittura Fotografia Film”, ottavo volume della serie Bauhausbücher, e dove nella introduzione del libro edito da Einaudi,  Antonio Somaini scrive:  «al tempo stesso il manifesto teorico della fotografia moderna, una riflessione sull’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica scritta dieci anni prima del celebre saggio di Benjamin, e un testo di teoria dei media e della cultura visuale che continua a stupirci per la sua attualità e per le vere e proprie premonizioni che contiene.».

 

 Il testo Pittura Fotografia Film, L. Moholy-Nagy, Piccola Biblioteca Einaudi e il catalogo della mostra presso la Galleria d'Arte Moderna a Roma "La Rivoluzione della visione"
Il testo “Pittura Fotografia Film”, L. Moholy-Nagy, Piccola Biblioteca Einaudi e il catalogo della mostra presso la Galleria d’Arte Moderna a Roma “La Rivoluzione della visione”

Cruciale nel comprendere l’artista ed oltremodo interessante per chi segue la querelle relativa alla natura della Fotografia è il suo opporre il termine “Produzione” a quello di “Riproduzione”, concetto cui dedica un breve capitolo nel libro sopra citato (riprendendo un saggio che già aveva pubblicato nel 1922): gli strumenti sino ad allora utilizzati per fini riproduttivi di fenomeni esistenti Moholy-Nagy auspicava fossero impiegati per la produzione di nuovi fenomeni, il tutto per creare nuove relazioni tra i fenomeni ottici e non solo.

Moholy-Nagy, non dimentichiamolo, fu un grande sperimentatore a tutto tondo, dalla pittura, al teatro, al cinema, inserendosi in quel filone di rinnovamento che sfociava, ad esempio, negli esperimenti di Skrjabin che a New York nel 1916 accompagnò l’esecuzione della sua sinfonia con la proiezione di fasci luminosi colorati, o nel Clavilux di Thomas Wilfred, o ancora nelle produzioni di Viking Eggeling.

Quello a cui mira l’artista ungherese è essenzialmente un ampliamento della sfera percettiva dell’essere umano, cosa che desidera in ragione delle trasformazioni e del progresso tecnologico in atto all’epoca e cui Moholy-Nagy aderisce con entusiasmo, ma che teme possano avere effetti psicologici e sociali negativi. Le metropoli, i viaggi in auto o aereo, «il ritmo incalzante della vita moderna che annulla i colori» sottopongono l’essere umano a nuove sollecitazioni che possono essere metabolizzate proprio attraverso l’arte.

Il campo delle arti visuali è quello che coinvolge più di tutti Moholy-Nagy e che lo porta ad essere un grande sperimentatore proprio nell’ambito fotografico.

Egli si rende conto che il concetto di pittura non è più sufficiente per l’uomo moderno dell’epoca, e cerca una esperienza ottica del tutto nuova, una nuova “Lichtkultur” (cultura della luce). Lungi da lui esprimere giudizi di valore su passati modelli di composizione e pittura, Moholy-Nagy sente forte l’esigenza di nuove forme, attuali.

Su questo desiderio si inserisce la sua sperimentazione in campo fotografico, che a lui pare compiacere quella ricerca già iniziata con il passaggio alla “pittura assoluta”, che assolve una necessità elementare per l’uomo, il recepire il colore, le tensioni tra colori e i rapporti chiaroscurali. Come da lui affermato in “Pittura Fotografia Film” «[con la fotografia] da un lato si riconobbe la possibilità di rappresentazione per vie meccanico-obiettive, l’agevole cristallizzarsi di una legge che si attua nella materia che le è propria, dall’alto si chiarì come la composizione cromatica contenga e celi il proprio “oggetto” in se stessa, nel colore. [..] Al pittore non-oggettuale non occorre un particolare coraggio per optare per un’arte della rappresentazione del tipo oggi offerto dalla fotografia e dal cinema.».

Se la presa diretta tipica della fotografia  è funzionale alla cattura casuale degli oggetti portatori della composizione cromatica, i mezzi della fotografia sono potenti nell’ampliare i limiti della rappresentazione naturalistica tipica di certa passata pittura: le distorsioni dell’obiettivo, la capacità di fissare nel suo modo caratteristico il movimento, le tonalità di grigio (peraltro così in sintonia con il mondo delle nuove metropoli) sono per Moholy-Nagy caratteristiche da abbracciare nell’ottica sopra riportata di superamento o meglio, ampliamento, dei confini percettivi dell’uomo. Secondo lui la fotografia, insieme al cinema, offre all’uomo una nuova visione del mondo, la macchina fotografica è in grado di offrire all’uomo percezioni che l’occhio umano non può catturare.

A partire da ciò, Moholy-Nagy va addirittura oltre come dichiara al termine del capitolo su La Fotografia del libro più volte citato: «Cento anni di fotografia e due decenni di film ci hanno incredibilmente arricchiti sotto questo profilo. Si può dire che vediamo il mondo con tutt’altri occhi. Nonostante ciò, finora il risultato complessivo non va molto più in là della produzione visiva enciclopedica. Questo non ci basta. Noi vogliamo produrre secondo un piano, in quanto per la vita è importante la creazione di nuove relazioni.».

Ed è per questo che Moholy-Nagy intraprende una strada fortemente sperimentale fotografando, strada peraltro scelta anche da altri nomi, primo fra tutti Man Ray.

Come quest’ultimo anche Moholy-Nagy sperimenta, ad esempio, attraverso l’errore fotografico; è molto interessante al riguardo la distinzione tra i due che Clément Chéroux opera nel suo libro “L’errore fotografico” (si legga qui una recensione), riflettendo sul fatto che il secondo ne fa più un’esperienza, un’invenzione e quindi voluta e cercata, mentre per Man Ray si tratta più dell’effetto di scoperta dovuto al caso (serendipity).

Sotto il profilo fotografico e grazie alla collaborazione con la moglie Lucia, Moholy-Nagy realizza i celebri Fotogrammi (registrazione diretta della luce su una superficie sensibile), esperimenti che derogano addirittura dall’utilizzo della macchina fotografica al punto da essere definite delle “antifotografie” (e che ancora una volta lo accomunano a Man Ray, o alle schadografie di Christian Schad), non solo, ma addirittura dimostrano di non aver bisogno della realtà esterna per la produzione di una immagine fotografica. La luce diventa materiale diretto, primitivo e compositivo, trasparente e sostituisce il pigmento della pittura ed il fotogramma diventa quadro aprospettico.

Consigliatissima, dunque, la mostra a Roma di cui sopra , che peraltro dedica ampio spazio alla pittura di Maholy-Nagy, insieme ad altri esperimenti quali i collage. Non solo, la esibizione romana è in collaborazione con il museo Déri, della città ungherese di Debrecen ed è dunque notevole occasione per apprezzare le opere di diversi pittori contemporanei ungheresi e di alcuni suoi allievi in campo fotografico come György Kepes.

 

“Plexiglass Mobile in modulazione stanza luminosa”, L. Moholy-Nagy, stampa alla gelatina d’argento su carta, presso la Galleria d’Arte Moderna, Roma, 2020

 

 

“Incisione su linoleum I”, Incisione su linoleum II”, “Incisione su linoleum III”, “Der Sturm”; L. Moholy-Nagy, presso Galleria d’Arte Moderna, Roma 2020

 

“Nuovo ordine nel museo: tutti possono spararsi un quadro”; stampa alla gelatina d’argento su carta, L. Moholy-Nagy; presso la mostra alla Galleria d’Arte Moderna, Roma, 2020

 

“Donna seduta”; carboncino su carta, L. Moholy-Nagy, presso Galleria d’Arte Moderna, Roma 2020

 

Luisa Raimondi