La mostra fotografica “Out of the BLUe. Confini di una generazione”, allestita a Milano dal 9 al 17 luglio presso Base Milano (la visione è gratuita), offre uno sguardo potente e inedito sul mondo interiore di giovani spesso etichettati come “ai margini”. Questo progetto si inserisce in una lunga tradizione di impegno sociale di Canon, che da anni utilizza il potere dell’immagine per dare voce a chi spesso non viene ascoltato. Persone che ci passano accanto e che non vediamo o non vogliamo vedere. Fantasmi contemporanei.

Grazie al progetto “Caleidoscopio, obiettivi di vite” realizzato dall’associazione Ri-Scatti ODV con il sostegno di Canon Italia, undici ragazzi seguiti da Spazio Blu – un servizio dell’ASST Santi Paolo e Carlo di Milano che supporta minori e giovani con problemi di dipendenze – hanno avuto l’opportunità di raccontarsi attraverso l’obiettivo fotografico.
Il risultato è una collezione di oltre 60 immagini (scelte tra più di 10000) che rivelano un universo fatto di malinconia e solitudine, ma anche di amicizie e speranze. Gli scatti mostrano principalmente i ragazzi stessi e i loro amici, evidenziando quanto queste relazioni siano fondamentali nella loro vita quotidiana. Allo stesso tempo, l’assenza di figure familiari o di altri adulti nelle foto suggerisce un senso di distacco o di mancanza che permea molte delle loro esperienze. Quanto anche non siamo noi, capaci di entrare in contatto con loro?
Tra le immagini più toccanti, spicca l’autoscatto di uno dei partecipanti con il suo cane: un primo piano della faccia del ragazzo con sotto il muso della sua amatissima American Pitbull Terrier. La foto è stata scattata 7 volte prima di ottenere il risultato voluto. Questa foto, come molte altre nella mostra, rivela una tenerezza e una vulnerabilità che sfidano gli stereotipi spesso associati a questi giovani, mostrando quanto le loro emozioni e legami siano simili a quelli di chiunque altro.
Vi mostriamo solo poche immagini in quanto Canon Italia e Discorsi Fotografici intendono tutelare la privacy dei ragazzi. Ci sono molti primi piani.

Canon, con il suo Young People Program, ha fornito gli strumenti e il supporto tecnico necessari affinché questi giovani potessero esprimersi creativamente. Questo progetto si aggiunge a una lunga lista di iniziative simili promosse dall’azienda in tutto il mondo. In passato, Canon ha supportato progetti fotografici con rifugiati in Giordania, giovani in comunità svantaggiate in Sud Africa, e programmi educativi in numerosi paesi europei.
“Il progetto è una incredibile testimonianza di come le immagini possano aiutare a raccontare un mondo interiore pieno di sfumature e complessità“, afferma Daniela Valterio di Canon Italia. “Attraverso il nostro Young People Program, miriamo a offrire opportunità e forme d’espressione a giovani che vivono in contesti complessi o che affrontano esperienze di vita difficili.“
Pietro Masturzo, fotografo e mentore del progetto, sottolinea: “I giovani chiedono di essere compresi, non giudicati. Attraverso la fotografia, questi ragazzi ci hanno portato nel loro mondo, dimostrando la potenza dell’immagine come strumento di connessione“.

La mostra invita il pubblico a guardare oltre le apparenze, a riconoscere nelle storie di questi giovani frammenti della propria esperienza umana. Perché, in fondo, le emozioni, le paure e i sogni che emergono da questi scatti sono universali, e ci ricordano quanto siamo simili nonostante le nostre differenze.
È degno di nota, e forse sintomatico di un più ampio problema sociale, che la presentazione della mostra abbia visto una scarsa presenza della stampa. Questo apparente disinteresse dei media tradizionali verso storie che potrebbero contribuire a sfidare pregiudizi e stereotipi è preoccupante, e sottolinea l’importanza di iniziative come questa nel portare alla luce realtà spesso ignorate.
“Out of the BLUe” non è solo un’esposizione fotografica, ma un ponte tra mondi apparentemente distanti, un invito a riconoscere la nostra comune umanità. Grazie all’impegno di realtà come Canon, questi giovani hanno trovato una voce per farsi ascoltare, dimostrando che quando diamo agli “invisibili” gli strumenti per esprimersi, scopriamo quanto in realtà ci somigliano.
Guardando più a fondo le immagini di questa mostra, emerge un tema ricorrente: la ricerca di connessione. Questi giovani “marginali” ci mostrano attraverso i loro scatti un desiderio profondo di appartenenza e di legame. Questa ricerca richiama alla mente ciò che abbiamo evidenziato nella recensione del libro “12 Steps”: la dipendenza, spesso, è il sintomo di una mancanza più profonda nella nostra vita – una mancanza di spiritualità, intesa non necessariamente in senso religioso, ma come senso di connessione con gli altri e con il mondo che ci circonda.
Quando si rompe un anello della catena sociale – sia esso la famiglia, la scuola o la comunità – i giovani cercano disperatamente qualcosa che lo sostituisca. Troppo spesso, questa ricerca li porta verso strade pericolose. È qui che può entrare in gioco il potere trasformativo dell’arte e della fotografia.
Canon, fornendo a questi ragazzi non solo le macchine fotografiche, ma anche la formazione e l’opportunità di esprimersi, offre loro un nuovo modo di riconnettersi – con se stessi, con gli altri e con il mondo che li circonda. Attraverso l’obiettivo, questi giovani possono esplorare la propria identità, documentare le proprie esperienze e, cosa forse più importante, sentirsi visti e ascoltati.
Questo progetto dimostra come la fotografia possa, forse, anche diventare una forma di terapia, un mezzo per ricostruire quei legami spezzati. Ogni scatto è un passo verso la riconnessione, un modo per questi giovani di dire ‘Io esisto, valgo, ho qualcosa da dire’. E per noi che guardiamo, è un’opportunità di vedere oltre le etichette, di riconoscere la nostra comune umanità e di riflettere su come possiamo, tutti noi, contribuire a creare una società più inclusiva e connessa.