In occasione della mostra This Must Be The Place di Andrea Tonellotto, aperta dal 13 gennaio al 25 marzo 2023, abbiamo intervistato la curatrice e gallerista presso la quale si tiene l’esposizione, Glenda Cinquegrana. Giornalista, dopo la laurea in Storia dell’arte e il dottorato in Economia dell’arte, nel 2006 apre nella zona dei Giardini della Guastalla la sua prima galleria personale, Glenda Cinquegrana: The Studio, un contenitore concepito a misura di visitatore, ispirato ad una dimensione laboratoriale e sperimentale, che proponeva un’attività espositiva concepita secondo una dimensione a-sistematica. Nel 2015 la galleria evolve in Glenda Cinquegrana Art Consulting e si trasferisce nell’attuale sede di Via Settembrini, 17. Specializzata in arte moderna e contemporanea, la sua attività curatoriale, di ampio respiro e attenta alla pratica dei giovani artisti, si focalizza sulla fotografia. Ed è proprio del rapporto di Glenda con questo linguaggio ciò di cui abbiamo discusso.
La sua galleria, attenta alle nuove tendenze dell’arte contemporanea e ai suoi molteplici linguaggi, si caratterizza per uno spiccato interesse verso la fotografia. Come si è avvicinata ad essa, e in che modo si è evoluta questa passione?
Per ma la fotografia è sempre stata un importantissimo linguaggio della contemporaneità: sono cresciuta negli anni Novanta, quando la fotografia diventava un medium artistico maturo grazie ad alcuni artisti che ne hanno sviluppato tutte le potenzialità aperte dallo sviluppo tecnologico offerto dal digitale. Negli anni Duemila, poi, i prezzi della fotografia sono arrivati alle massime quotazioni. Negli ultimi vent’anni, da quando le fotocamere sono entrate nella nostra sfera quotidiana, il linguaggio fotografico come semplice strumento di comunicazione non può non costituire oggetto di indagine da parte di chi lavori nelle arti visive. La seconda mostra che ho fatto in galleria è stata una mostra di fotografia.
Guardando la programmazione espositiva delle gallerie di Milano, la fotografia è oggi messa all’angolo da altri linguaggi, dalla pittura all’installazione. Da gallerista, percepisce questa marginalizzazione? Se sì, come la considera?
Non direi esattamente marginalizzazione. Si tratta, secondo me, di una fase transitoria legata ai tempi, in cui la pittura è tornata ad essere al centro dei desideri e delle ossessioni dei collezionisti. La fotografia, oltre ad essere un linguaggio ormai diffuso, non incorpora più un fattore tecnologico innovativo come era un tempo. La sovranità tecnologica digitale è incarnata dagli NFT.

In generale, in Italia la fotografia è strettamente legata ai “grandi nomi” della tradizione, da Franco Fontana a Luigi Ghirri, per non parlare di Robert Capa, diventato quasi una figura mitica. Perché questa chiusura nei confronti della sperimentazione linguistica nel campo della fotografia? A questo proposito, ci può parlare di lavori poco conosciuti che valgono invece molto, come quelli che presenta nella sua galleria?
È un dato di fatto che il collezionismo dei nostri giorni, animato non solo dallo scopo passionale, ma anche alla prospettiva dell’investimento finanziario, si rivolga agli artisti storici e di valore consolidato. Nonostante questo, ci sono ancora collezionisti interessati al nuovo e alla sperimentazione. A me personalmente interessa la post-fotografia, che è quella disciplina è fortemente consapevole della necessità ‘ecologica’ di riutilizzare le immagini altrui prodotte dall’ecosistema digitale contemporaneo. A queto scopo, ho organizzato un’esposizione persona al duo francese Mazaccio & Drowilal, che appunto opera lungo la dimensione critica nei confronti del sistema dell’immagine pubblicitaria e dei media, secondo un’idea autoriale disincantata, molto lontana dall’arte dei maestri.
Molto si è detto – e ancora si dice – sul rapporto che intercorre tra arte e fotografia, se quest’ultima fa parte o meno del gota del fare artistico, e quindi merita la stessa legittimazione di pittura, scultura, installazione e performance. Cosa ne pensa di questa querelle?
Per me questa querelle non esiste. I grandi fotografi come Newton e Mapplethorpe hanno dimostrato che l’artisticità è sempre nella capacità creativa dell’artista e nell’occhio di chi la vede. Del resto, se l’Italia è un mercato più incline ai generi tradizionali, altri mercati, come quello francese e americano, hanno uno sguardo più consapevole del valore dell’opera fotografica storica e contemporanea.

Come ha gestito l’attività della galleria durante il periodo pandemico?
Purtroppo siamo stati costretti a trasferire l’attività espositiva e di vendita sui canali online. Siccome la pandemia ha portato ad una maturazione rapidissima di quel mercato digitale si è trattato di un momento molto interessante sia per capire l’evoluzione delle dinamiche di mercato e anche per sperimentare nuove formule curatoriali ed espositive, che hanno dato dei buoni risultati. La crisi è sempre un’opportunità di crescita.
Negli anni, qual è il progetto che la rappresenta più?
È difficile dirlo. Mi sento costantemente proiettata sul futuro e faccio fatica a dare preferenze ad un artista o a un progetto piuttosto che ad un altro. Una galleria è un progetto complesso, e mi riconosco in una complessità che non si presta a semplificazioni.

Al momento, e fino al 25 marzo, è in mostra presso i suoi spazi la mostra di Andrea Tonellotto, This must be the place. Come è nata questa collaborazione? Quali sono state le fasi di curatela dell’esposizione?
Ho conosciuto Andrea alcuni anni fa, e sin da principio ho apprezzato la sua ricerca maniacale sulla polaroid e la sua cura appassionata del singolo lavoro fotografico che richiede lunghissimi tempi di lavorazione. Sin da subito ho trovato nella sua sensibilità fortemente pittorica una possibile collocazione in una galleria che non trattasse solo fotografia. Inoltre, avendo lui pubblicato un libro dedicato al lavoro sulle polaroid singole, mi ha stimolato la sfida rappresentata dal raccontare all’interno di una mostra la sua ricerca legata al mosaico. Quando Andrea mi ha mostrato l’ultima serie dedicata a Londra, in cui il lavoro ha acquisito una nuova dimensione narrativa e grafica, ho capito che i tempi erano maturi per una mostra.
Per quanto riguarda la fotografia, in che modo si posizionerà la sua galleria nel futuro prossimo?
Continueremo la nostra ricerca fra fotografia storica e contemporanea, che è l’elemento che contraddistingue la nostra identità come galleria.
Per concludere, da gallerista, quale pensa che sia il posto della fotografia all’interno del sistema dell’arte odierno?
Da protagonista come è e sarà sempre.
Luna Protasoni
Andrea Tonellotto
This Must Be The Place
13 gennaio – 25 marzo 2023
A cura di Glenda Cinquegrana
Con un testo di Rebecca Delmenico
Glenda Cinquegrana Art Consulting
Via Luigi Settembrini, 17
20124 Milano, Italia
+39 02 49 429 104
info@glendacinquegrana.com
www.glendacinquegrana.com