Ieri vi abbiamo invitato a visitare la mostra di Raymond Depardon, presso la Triennale di Milano.
In questa stessa sede è in corso tuttavia un’altra mostra davvero imperdibile: quella di Saul Steinberg, disegnatore. Da sempre crediamo fortemente nella contaminazione tra arti e più che mai tra arti visive (si legga, ad esempio questo articolo sui “sensi” della fotografia).




Nel suo libro “Sul disegnare” John Berger (libro che in copertina mostra la mano di Steinberg che vedete in alto sotto al titolo di questo articolo) scrive: «La storia trionfa sull’oblio; la musica fornisce un centro; il disegno contesta la sparizione. Qual è la natura di questa contestazione? Anche un fossile “contesta” la sparizione, ma la sua contestazione è irrilevante. Una fotografia contesta la sparizione, ma la sua contestazione è diversa da quella del fossile o del disegno. Il fossile è il risultato di una probabilità causale. L’immagine disegnata contiene l’esperienza del guardare. Una fotografia è la prova dell’incontro tra evento e fotografo. Un disegno mette lentamente in dubbio l’apparenza di un evento e così facendo ci ricorda che le apparenze sono sempre una costruzione con una storia».
È dunque con queste parole che ci piace suggerirvi caldamente la visita all’esposizione “Milano New York” a cura di Italo Lupi, Marco Belpoliti con Francesca Pellicciari.




Steinberg nasce in Romania (a Râmnicu Sārat, a nord di Bucarest) il 15 giugno del 1914 e già nel 1915 si trasferisce nella capitale, dove il padre avvia una tipografia-legatoria. Dopo gli anni del liceo nel 1933 tenta l’ammissione alla facoltà di Architettura ma, essendo ebreo, non gli riuscì, poiché anche se ufficiosamente già era in essere un limite all’ingresso degli studenti ebrei. Fu così che Saul approda in Italia, poiché riuscirà infatti a iscriversi alla Facoltà di Archittetura del Regio Politecnico di Milano; gli anni milanesi saranno per lui di grande importanza nella formazione e la mostra cui vi abbiamo invitati ne dà grande risalto. Qui inizierà a delinearsi il suo percorso artistico, attraverso i primi contributi alle riviste satiriche degli anni ’30 come Il Bertoldo e i Settebello, acquisendo fama come disegnatore umoristico.
Purtroppo la sua storia si scontra nuovamente con l’odio razziale: nel 1938, con l’emanazione delle leggi razziali, Steinberg è costretto ad abbandonare il Bel Paese e, per fortuna dopo aver terminato gli studi, gli riuscirà di raggiungere l’America nel 1942, dopo molte vicissitudini, tra cui l’arresto e il confinamento in un campo di detenzione. Qui si arruolerà in Marina e gli verrà assegnato un ruolo nei servizi di Intelligence (OSS) grazie al quale si sposterà su vari fronti di guerra: Cina, India, Nord Africa, Italia. Dall’esperienza del conflitto scaturiranno importanti opere, due delle quali, già esposte nel 1946 al MoMA in occasione della mostra Fourteen Americans, sono presenti in Triennale.
Steinberg realizzerà anche vignette di propaganda antinazista, opuscoli per l’esercito e disegni per il New Yorker che compariranno poi nel suo primo libro “All in line” del 1945.


Il suo lavoro vede anche preziose collaborazioni, come quella realizzata nel 1947 per il murale del ristorante del Terrace Plaza Hotel di Cincinnati.
Nel 1947, in occasione della X Triennale di Milano, tornerà in Italia, realizzando l’opera “Labirinto dei bambini”; nel 1956 partirà invece per l’Unione Sovietica su incarico del New Yorker dove trascorrerrà cinque settimane. Progressivamente ridurrà il suo lavoro on assignment, per dedicarsi sempre di più a lavori personali cui imprime una svolta decisamente satirica. A proposito di contaminazioni che tanto ci piacciono, Steinberg collaborerà con Inge Morath, che ritrae le sue maschere fatte con i sacchetti di carta e che rappresentano i diversi tipi sociali dell’America.


Nel 1978 gli viene dedicata una grande mostra al Whitney Museum of American Art.
Certamente una vita molto intensa, quella di questo artista dalla “triplice identità”, rumena, italiana ed americana, come lo definisce Marco Belpoliti nella postfazione del volume “Steinberg A-Z”: «Evitare la noia è uno dei nostri scopi più importanti», dichiarava Saul d’altro canto.
Altra chicca correlata alla mostra è certamente questa pubblicazione, poiché il catalogo, edizione Electa, è una vera e propria enciclopedia contemporanea che analizza la sua opera nei suoi molteplici aspetti: dall’architettura al disegno, dal rapporto con Milano a quello con New York, alle mappe, all’epistolario con Aldo Buzzi, suo grande amico conosciuti negli anni milanesi, agli artisti che gli furono amici e compagni, come Costantino Nivola e Alexander Calder, come Alberto Giacometti o Le Corbusier (che il 17 Febbraio del 1961 gli scrive «Siete proprio un tipo formidabile! Disegnate come un re».
In questa postfazione Belpoliti cita anche un’acuta osservazione di Art Spiegelman, scrittore, in merito a Steinberg: «Non era un fumettista, era un creatore di aforismi visivi. Ciò che lo contraddistingueva era l’abilità di prendere un’idea complessa e distillarla in una singola immagine.» Non è forse, questa, una sfida che anche i fotografi hanno raccolto? Lui stesso, d’altro canto scriveva «Disegnare è un modo per ragionare sulla carta.» e ancora: «Sono uno scrittore. Disegno perché l’essenza di uno scritto riuscito è la precisione e perché il disegno è un modo di espressione preciso.».
Anche queste ci sembrano osservazioni di cui tener conto quanto decidiamo di realizzare una fotografia cui affidiamo un messaggio. Buona visita, dunque!
Luisa Raimondi
La pagina web della mostra: Saul Steinberg, Milano New York
Foto in copertina:
Evelyn Hofer, Saul Steinberg with his hand, New York 1978, © Estate of Evelyn Hofer |