“Ho avuto il grande privilegio di fotografare i bambini di tutto il mondo e ora che ho una figlia anch’io apprezzo ancora di più la loro energia, la loro curiosità, le loro potenzialità.
Nonostante il contesto difficile in cui molti di loro nascono, i bimbi hanno la capacità di giocare, sorridere, ridere e condividere piccoli momenti di gioia.
C’è sempre la speranza che un bambino possa crescere e cambiare il mondo.”
(Steve McCurry)
È in queste parole che si ritrovano le premesse della mostra Steve McCurry. Children, ospitata nel Sottoporticato di Palazzo Ducale di Genova dal 25 novembre 2023 al 10 marzo 2024, a cura di Biba Giacchetti e Melissa Camilli con Peter Bottazzi Art Director. Promossa da Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura Genova e Civita Mostre e Musei, l’esposizione è realizzata in collaborazione con SudEst57 e l’organizzazione internazionale Defence for Children Italia, associazione che ha la sua sede nazionale proprio a Genova e agisce in Italia e nel mondo promuovendo prospettive ed opportunità socio-educative in grado di riaffermare il protagonismo di bambine, bambini, ragazzi e ragazze ed una cultura dell’infanzia fondata sul riconoscimento dei loro diritti.

Sono 100 le fotografie di Steve McCurry esposte negli spazi genovesi, realizzate in oltre cinquant’anni di attività e accomunate dalla volontà di rendere omaggio all’infanzia, quel periodo della vita animato da un senso di complicità e speranza. Gioia, energia e voglia di giocare, infatti, emergono da ogni singolo scatto, vincendo contro ogni paura e ingiustizia che caratterizza i contesti più difficili da accettare.
La mostra si presenta come una vera e propria galleria di ritratti, il cui intelligente allestimento rimanda da un’immagine all’altra, quasi come se lo sguardo dei bambini rappresentati si passassero “il testimone” di un racconto che non è solo storico, ma prima di tutto personale. Nella prima sala, grazie allo scenografico allestimento di Peter Bottazzi, gli scatti appesi ai pannelli trasparenti obliqui dialogano con quelli alle pareti, creando un vero e proprio intreccio di vite vissute. In queste fotografie, McCurry si posiziona a fianco dei soggetti, riuscendo a coglierne anche le minime sfumature di gioia e dolore, non pretendendo di parlare al posto loro, ma anzi rinunciando a gettare uno sguardo documentaristico e predatorio a favore di una ricerca più complessa.




L’allestimento, arricchito dai contenuti video di Silvia Rigoni e dall’impianto illuminotecnico curato da Titta Buongiorno, è studiato in modo che il visitatore segua il fotografo nello spazio e nel tempo, attraverso Paesi e decenni differenti, viaggiando attraversando India, Birmania, Giappone, Africa fino al Brasile, entrando in contatto con le etnie più lontane attraverso le condizioni sociali più disparate. A questo proposito, la scelta curatoriale di non posizionare gli scatti in ordine cronologico, o raggruppati per provenienza dei bambini ritratti, è estremamente funzionale alla creazione di un sentimento universale, che travalica ogni differenza di età, sesso, etnia. Aspetto lodevole, è infatti la capacità di riuscire a parlare di una condizione condivisa – l’infanzia, la cui universalità è sottolineata dai principi di diritto della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza presenti in mostra, a fare da contrappunto alle immagini – senza annullare la specificità di ogni storia evocata.
Oggi i bambini, per ragioni di tipo legale, non sono più rappresentati dal punto di vista fotografico e questa mostra, e più in generale il lirismo con cui McCurry guarda ai volti e a quello che raccontano, sottolinea invece quanto è importante mostrare anche i bambini, con i loro sogni, le loro ambizioni, le loro speranze.



Incontriamo bambini profughi o lavoratori, bambini immemori del pericolo che giocano ad arrampicarsi su un cannone o si divertono nel fango, che rincorrono un pallone durante un acquazzone monsonico, o suonano una chitarra realizzata con materiali di scarto.
Esemplare è la celeberrima fotografia della ragazza afgana risalente al 1984, una vera e propria icona senza tempo. Scattata in un campo di rifugiati afgani a Peshawar, in Pakistan, gli occhi di questa bambina non avevano mai visto prima una macchina fotografica, e a McCurry sono bastati pochi secondi per immortalarne lo stupore, rendendola l’emblema delle atrocità vissute dai popoli in guerra, avendo lei, come molti, perso casa e famiglia a sei anni quando, insieme alla nonna e ai fratelli dovette fuggire trovando rifugio nel campo di Nasir Begh. Diciassette anni dopo McCurry, desideroso di ritrovare quella ragazza ormai cresciuta, per sostenere lei e i suoi figli, dare loro un’educazione e una casa, incrocia nuovamente quegli occhi e le dedica un altro ritratto (non presente in mostra), dandole, questa volta, un nome: Sharbat Gula.
Tuttavia, è proprio questo suo carattere iconico – quasi mitico – a infastidire McCurry, in quanto non ha fatto altro che portare in secondo piano lo spirito con cui è nata la fotografia. La testimonianza, la profondità dello sguardo – insieme della ragazza e del fotografo – sono stati traditi da un uso massivo dello scatto, tradendo soprattutto il messaggio che avrebbe dovuto veicolare.

Tante e diverse le esperienze di cui diventiamo testimoni attivi, riflettendo non solo sulle conseguenze dello sfruttamento del lavoro minorile, della violazione dei diritti umani e delle disparità di risorse educative, culturali ed economiche, ma anche sulla forza – nonostante le condizioni sociali, ambientali e di conflitto – di contrastare le difficoltà nell’ottica di un futuro ancora possibile, con la speranza che un bambino possa crescere e cambiare il mondo.

Voglia di cambiamento e crescita sono presenti negli occhi del bambino Hazara protagonista del ritratto scattato nel 2007 a Bamiyan, in Afghanistan. Gli Hazara sono solo uno dei tanti gruppi etnici riconosciuti in Afghanistan, vittime di violenze e discriminazioni su base identitaria, etnica e religiosa. Tra i diritti negati c’è quello all’istruzione, che neanche la Convenzione Internazionale dei diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza riesce a garantire e a far rispettare. Dopo essere venuto a conoscenza della dura situazione di persecuzione di questa remota area della terra, McCurry ha fondato ImagineAsia, organizzazione no-profit che si impegna a fornire le risorse educative, le cure sanitarie e opportunità a bambini e giovani adulti del luogo. È da operazioni come queste che proprio l’educazione può rappresentare un’occasione di riscatto e un’opportunità di cambiamento.
La mostra, che prevede un’audioguida in grado di accompagnare il visitatore nel viaggio tra gli scatti e le storie, è accompagnata da un magazine che raccoglie le fotografie più rappresentative. Inoltre, nel corso della mostra saranno organizzate una serie di attività informative, formative e didattiche rivolte ad adulti e ragazzi per conoscere e approfondire la condizione dell’infanzia alla luce delle immagini di Steve McCurry, sarà distribuito un poster con la versione pieghevole e semplificata della Convenzione per familiarizzare con gli articoli principali, ideale per le scuole e per i ragazzi, a cura di Defence for Children International Italia. A supporto delle attività di questa realtà verrà devoluta una quota dell’incasso della mostra, a dimostrare anche nella pratica il ruolo dell’arte come strumento di riflessione e veicolo concreto per diffondere e applicare il valore sociale.
Luna Protasoni
Immagine di copertina: Angkor Wat, Cambogia, 1998 © Steve McCurry
Steve McCurry. Children
a cura di Biba Giacchetti e Melissa Camilli
25 novembre 2023 – 10 marzo 2024
Palazzo Ducale – Sottoporticato
Genova, Piazza Matteotti, 9
Da martedì a domenica 10.00 – 19.00
Lunedì chiuso La biglietteria chiude un’ora prima