Negli ultimi anni abbiamo avuto modo di conoscere personalmente Szabina Németh, una giovane fotografa ungherese che ha girato il mondo e si è fermata a lungo anche nel nostro paese. La sua fotografia è delicata, intima, personale ma anche collegata al soggetto, alla sua storia ed alle sue emozioni. Gran parte della sua produzione si concentra sull’autoritratto o sul ritratto, veicolando in ogni singolo scatto un intenso messaggio, dall’elaborazione del dolore al riscatto personale, dove anche il colore è utilizzato come linguaggio espressivo.
È possibile conoscere e seguire il mondo di Szabina attraverso il suo sito web.
Come è iniziata e come si è sviluppata la tua personale storia della fotografia?
È iniziato tutto circa 10 anni fa, quando ero all’università e tenevo in mano la macchina fotografica del mio fidanzato di allora. Sapevo già allora che sarei diventata proprietaria di una fotocamera non appena me ne fossi potuta permettere una. Fin dall’inizio mi sono interessata ai dettagli, all’approccio ravvicinato e personale. Come molte persone, all’inizio scattavo foto nella natura e per strada, facendo pratica. Per molto tempo non ho potuto immaginare di fotografare qualcosa di diverso dalla natura. Nel 2020 ho scoperto un concorso fotografico in Ungheria che mi ha colpito a tal punto da voler fotografare le persone, ma il Covid e la quarantena non me lo permettevano. Il desiderio era molto forte, all’inizio ero più interessata all’aspetto tecnico e a ciò che era bello da scattare, ma mi sono appassionata sempre di più all’autoritratto. Dopo un po’ ho iniziato a pensare concettualmente e a comporre uno scatto, usando il colore in modo consapevole.
C’è una parte un po’ bizzarra in tutto questo. Alcune delle mie foto, riguardandole oggi, sono come un messaggio che stavo inviando al mio io attuale.
Nella storia della fotografia l’autoritratto resta una pratica piuttosto rara. Cosa ti spinge ad essere protagonista delle tue stesse foto e cosa ti porta invece a cercare soggetti che non siano te?
Inizialmente, come ho detto, i limiti della quarantena mi hanno spinto in questa direzione. In seguito, durante il processo creativo, mi sono trovata a conoscere meglio me stessa. In molte delle mie fotografie mostro la femminilità, le energie femminili che faccio fatica a sperimentare nella vita di tutti i giorni, ma la creazione di immagini mi dà l’opportunità di avvicinarmi anche a questo io. Quindi uso l’autoritratto anche per curarmi, cosa che ultimamente è doppiamente vera. Quello che vivo personalmente in un’opera d’arte, voglio che lo vivano anche gli altri, perché credo che possa aiutarli ad aprirsi a se stessi.
I soggetti dei tuoi ritratti sono per te semplici attori oppure cerchi di far trasparire nei ritratti anche l’anima dei tuoi soggetti, i sentimenti che stanno vivendo in quel particolare momento della loro vita?
Chiaramente la seconda affermazione è quella vera, la trasmissione delle emozioni. Ognuno ha la sua storia personale che lo ispira a creare un’immagine. Per esempio, una mia amica è stata spesso vittima di bullismo a scuola perché era molto alta. Questo naturalmente ha avuto una grande influenza sulla sua immagine di sé, sul suo legame con la femminilità e la sua bellezza. Questo è stato il tema del nostro servizio fotografico insieme, per vedere quanto sia unica, speciale e bella come donna. Mi piace mostrare la diversità della femminilità: la forza, la tenerezza, la passione, ma anche le difficoltà, la lotta interiore, il dolore.
I tuoi soggetti sono quasi esclusivamente donne. Come mai? Forse è più semplice per una donna raccontare le emozioni di altre donne? Hai in mente in futuro di ritrarre anche soggetti maschili?
La semplice ragione è che la bellezza femminile è così varia e stimolante che è ciò che mi interessa, attrae e affascina di più. Suppongo che sia anche un modo per avvicinarmi alla mia femminilità al di là degli autoritratti. Non rinuncio nemmeno a fotografare soggetti maschili, anche se finora l’unico modello maschile che ho avuto è stato l’uomo che amo. Quel ritratto occupa un posto speciale nel mio cuore.
Hai di recente partecipato alla trasmissione Big Shot, puoi raccontarci di cosa si tratta e quale è stata la tua esperienza?
L’attuale stagione 3 è già in TV, finora era una produzione solo su YouTube. Ai concorrenti viene assegnato un tema di trasmissione in trasmissione, per il quale in genere devono creare un’opera in 2-3 ore, con la quale competono per vincere il “Big Shot”. Ogni tema ha un vincitore e gli altri devono dire addio alla competizione. I temi sono molti e vari: ritratto, moda, glamour, socio, edilizia, cani, danza, ecc… Durante questa stagione, per la prima volta, abbiamo avuto il compito di realizzare un breve video, in cui dovevamo mostrare il processo di lavoro di una manifattura artigianale di cristallo. Sono orgogliosa perché sono stata la vincitrice di questo compito.
Ci sono state molte sfide da superare durante il concorso, poiché la maggior parte degli argomenti erano completamente nuovi per me e il fatto che dovessero essere completati in tempo ha reso il tutto ancora più difficile. È stato interessante sperimentare più cose, provare obiettivi che non avevo mai avuto l’opportunità di provare prima (ad esempio, l’obiettivo macro) e sono molto grata del fatto che grazie a questo concorso ho conosciuto persone molto speciali con cui ho stretto amicizia.
Ogni giorno siamo sottoposti a centinaia di immagini che ci scorrono sotto gli occhi, immersi in una realtà che predilige contenuti brevi, rapidi, in modo che se ne possano consumare quanti più possibile. C’è posto ancora per la fotografia ragionata? C’è posto ancora per le immagini iconiche che restano impresse e guidano la nostra crescita interiore?
Penso che ci sarà sempre qualcuno che avrà a cuore l’arte, le emozioni vere e le creazioni fatte a mano. Viviamo in un mondo frenetico, vediamo milioni di immagini ogni giorno, ma vogliamo sempre rallentare un po’, e una mostra può essere una grande opportunità per farlo, o quando un’immagine ti ferma per qualche secondo, ti fa pensare e ti fa sentire, significa molto e significherà molto in futuro. Ci sarà sempre un posto per la rappresentazione delle emozioni, perché ci guidano e ci influenzano. Si dice spesso che non è la destinazione che conta, ma il modo in cui ci si arriva. Credo che questo sia vero anche per la fotografia. Amo l’immagine finale alla fine di un processo creativo, ma è l’esperienza che vivo dal primo pensiero all’immagine finale che è molto importante.
Quali sono i progetti fotografici su cui stai lavorando?
In background sto lavorando principalmente sul branding, che comprende il mio sito web e il logo. Ma ho molti pensieri e idee in testa che vorrei realizzare nel prossimo futuro. Una di queste riguarda l’identità nazionale e la sua diversità, mentre un’altra è un progetto molto personale, una serie di ritratti di persone con cui sono in contatto.














