Tina Modotti, la fotografa impegnata a vivere

Se si sfoglia il prezioso volume di “Storia della fotografia” di Beaumont Newhall [1]   di lei non si parla; non si tratta certamente dell’unico libro sulla storia della fotografia, ma non leggere “Tina Modotti” nel lungo “Indice dei nomi” stilato dall’autore di uno dei libri più venduti e consigliati sul tema non ci ha lasciati indifferenti. 

I Newhall (sia il già citato Beaumont, che la moglie Nancy) erano peraltro ottimi amici di Edward Weston, uno dei grandi fotografi del Novecento che è stato maestro dell’arte fotografica e compagno della Modotti.

Ricercare le motivazioni dell’autore di tale esclusione non è nelle nostre intenzioni, né, conseguentemente, desideriamo giudicarne la scelta; la bibliografia che racconta di Tina Modotti è così vasta da poterci intrattenere lungamente e soddisfare, sia attraverso romanzi, che raccolte di lettere o documenti (in calce vi lasciamo degli utili suggerimenti).

Pur tuttavia la sua assenza in quel lungo elenco ci è sembrato una traccia da seguire per rispondere a due domande che ci sono sorte spontanee: da un lato, chi è, dunque, Tina Modotti? Dall’altro, come si passa alla storia della fotografia?

Quest’ultimo quesito non è certo di facile soluzione, ma è una domanda sulla quale può essere opportuno soffermarsi mentre si produce fotografia o si valuta il lavoro fotografico altrui, di oggi o del passato. Non si sta insinuando che il nostro obiettivo debba essere la gloria dei posteri o che meriti la nostra attenzione solo chi ne è degno (chi?) ma anzi, anticipandovi una delle conclusioni cui siamo arrivati studiando la vita e la fotografia di Tina Modotti, vi proponiamo esattamente l’opposto: non curarsene.

Onde evitare di confondervi, come temiamo di aver fatto, torniamo immediatamente al primo quesito, con la promessa fiduciosa che ci aiuterà a rispondere al secondo.

Partiamo dalla sua biografia.

Assunta Adelaide Luigia (Tina) Modotti nasce il 17 Agosto 1896 a Udine; il padre Giuseppe, meccanico, la madre, Assunta Mondini, cucitrice. Già all’età di due anni con la famiglia si sposterà in Austria fino al 1904; sin dalla tenera età si iscrive dunque nella sua storia personale una parola: migrante; negli anni Tina si sposterà infatti da una parte all’altra del globo. Rientrata in Italia, frequenta la scuola elementare ed impara la lingua italiana, sino ad allora conosceva solo il dialetto friulano (nel corso della sua vita, imparerà diverse lingue, e ci sarà addirittura un periodo, in Russia, nel qual fare le traduzioni diventerà per lei un modo per guadagnarsi il pane); all’età di soli 13 anni inizia a lavorare in una seteria (mentre frequenta curiosa lo studio fotografico dello zio Pietro, anticipo di una passione ancora da venire); poiché il padre è già emigrato in America (dal 1905), Tina contribuisce a mantenere la famiglia.

Raggiungerà il padre e la sorella Mercedes (in America dal 1910) l’8 Luglio del 1913; a bordo della Moltke arriverà a New York, ma si sposterà sulla costa ovest, in California, a San Francisco terra di frontiera, nella comunità italiana “Colony”, economicamente e culturalmente molto più vivace delle comunità italiane sulla costa orientale (sarà poi raggiunta dal resto della famiglia nel 1920).

Il primo lavoro di Tina in America è quello tipico delle immigrate friulane, la sartina o “midinette”, ma, dopo le ore di fabbrica, riesce a reinventarsi un ruolo nel mondo calcando le scene del teatro italiano e conquistando la comunità italiana. Trionfa nel ruolo di Scampolo, personaggio di Niccodemi che, nel suo testo, lo descrive come «una ragazzetta nei cui occhi furbi c’è tutta l’intelligenza della vita, tutta la vivacità della strada, che è il suo regno». Non ve lo raccontiamo a caso.

Nel 1915 Tina incontra il primo degli uomini importanti della sua vita: Roubaix de l’Abrie Richey, pittore e poeta franco-canadese, detto Robo.

Doveroso, prima di proseguire, un breve inciso: i compagni di vita di Tina Modotti sono certamente imprescindibili se si vuole conoscerne la storia, sia perché, come è naturale che sia, l’amore è tanta parte della vita delle persone e lo è ancor più per una donna dal cuore di Tina, sia perché gli uomini che l’hanno amata hanno a loro volta una storia rilevante da raccontare e hanno certamente impresso indelebilmente la sua vita. È tuttavia lontanissimo da noi il prestare il fianco ad una lettura della sua personalità o della sua opera per il tramite dei suoi uomini; Tina, lo vedremo, è stata spesso vittima di campagne scandalistiche sui giornali che preferivano darne un’immagine romanzata lontana dalla realtà.  Vi riportiamo dunque le parole di Elena Poniatowska, autrice di una dei romanzi biografici migliori sulla Modotti (“Tinissima”): «Tuttavia Tina non può essere interpretata attraverso i suoi amanti e, com’è stato detto in altre occasioni, Tina ebbe sempre ben chiaro in mente ciò che voleva fare. […] fu lei a scegliere gli uomini, non il contrario. Robo perché era un personaggio romantico ed etereo che non apparteneva a questo mondo; Weston [Edward ndr] per un’ammirazione che sconfinava nella deferenza (Tina credeva nell’arte, nel poter vivere di e per l’arte); Xavier Guerrero perché mise nelle sue mani un paese che l’affascinava il Messico, e un’ideologia che le permetteva di smettere di galleggiare nella  stratosfera e di scendere sulla terra; Julio Mella perché era l’incarnazione della lotta contro l’imperialismo e Vittorio Vidali perché le circostanze delle loro vite erano le stesse[2]

Con Robo nel 1918 Tina lascia San Francisco e si stabilisce a Los Angeles, dove intraprende una carriera nel cinema di Hollywood, la fabbrica dei sogni. Tra i vari film interpretati, si ricorda soprattutto “The tiger’s coat”, dove interpreta Maria La Guardia, una serva messicana, figlia di peones. Anche questo non ve lo raccontiamo a caso.

Tina non è però attratta dalla carriera di starlette; in realtà il fulcro della sua vita in questo periodo sta tutto nel brulicante mondo degli artisti che insieme a Robo ospita nella loro casa e studio (Robo intento a lavorare sui suoi batik e poesie, Tina su abiti di scena), luogo di incontro di fotografi, scrittori e non solo.  Significativa innanzitutto la presenza del fotografo Edward Weston, poiché fu certamente una figura fondamentale nella sua vita; insieme a lui anche Margrethe Mather, fotografa che condivide con Weston lo studio e per cui lo stesso nutre una sfrenata passione ed anche Johan Hagemeyer,   fotografo grande amico di Weston. Non possiamo tuttavia non ricordare anche Ricardo Gómez Robelo, artista e critico d’arte, ma anche esule della rivoluzione messicana. In questi anni, che sembrano di minore importanza nella vita della Tina rivoluzionaria e impegnata politicamente degli anni’ 30, si forma in realtà il suo spirito e la sua sensibilità sociale, radicati, peraltro, sulle esperienze della bambina migrante e lavoratrice, che ha conosciuto la povertà; nel gruppo boehme Tina soddisfa anche quel suo innato bisogno di mettere in discussione gli schemi borghesi.

Tina posa per Weston e se ne innamora; gli eventi sembrano poi spingere Tina tra le braccia di Weston:  Robo viene invitato da Robelo in Messico per una mostra ed anticipa Tina nel 1921, ma proprio quando Tina nel 1922 sta per raggiungerlo, muore improvvisamente per vaiolo. Lo raggiungerà insieme alla madre di lui per il suo funerale e si occuperà di gestire la mostra che il pittore stava organizzando; è in questo periodo che Gómez Robelo la introdurrà agli artisti messicani e a personaggi di spicco: nel pubblico della mostra erano presenti il celebre Diego Rivera e José Vasconcelos, ministro della Educazione Pubblica che tanta parte ebbe nel “Rinascimento messicano” sull’onda della rivoluzione.

Nel Marzo dello stesso anno (1922) Tina è costretta a tornare negli Stati Uniti, per la morte del padre Giuseppe. 

La sua attrazione per la fotografia e per Weston, mai davvero sopiti, tornano prepotenti e Tina vive con lui, la Mather e Hagemeyer nuove serate all’insegna dell’arte, delle discussioni animate, delle uscite pazze per i locali di Los Angeles. Nei diari di Edward Weston sono raccontate le loro divertite scorribande: « 25 Aprile […] Una sera insieme a Buhilg ad ascoltare la lettura del meraviglioso poema di T.S. Eliot, La terra desolata – e guardando disegni di Billy Justema – e ascoltando anche lui – recitare poesie – Quella notte ha piovuto – e ritornando allo studio ancora in vena di avventure – ci siamo messi in testa vecchi cappelli e abbiamo camminato sotto la pioggia – io l’ho portato al fiume – zigzagando tra i salici gocciolanti – attorno a noi il silenzio delle ore dopo la mezzanotte – Siamo ritornati a casa inzuppati fin dentro le ossa – ma felici per la bellezza che avevamo avuto».

Ed è proprio la bellezza che Tina cita in una appassionata lettera a Edward Weston, che lui stesso ricopia nei suoi diari, datata 27 Gennaio 1922: «Oh! Quanta bellezza! Vino – libri – fotografie – musica – lume di candela – occhi in cui guardare – e poi il buio – e i baci.

A volte mi sembra di non poter sopportare tanta bellezza – mi travolge – e poi arrivano le lacrime – e la tristezza – ma la stessa tristezza arriva come una benedizione e come una nuova forma di bellezza.

Oh, Edward – quanta bellezza hai aggiunto alla mia vita!».

In crisi con la moglie Flora, da cui aveva avuto quattro figli maschi, ed anche in cerca di nuovi stimoli per la sua creatività, l’incontro con Tina fu per lui folgorante. A Glendale, California, dove aveva studio, era un richiesto ritrattista, che applicava lo stile pittorialista, ma nella realtà nella sua sensibilità si stava facendo strada esattamente l’opposto, la ricerca ostinata della definizione (nei suoi diari il 20 Aprile 1923 riporta una appassionata discussione con l’amico Johan Hagemeyer sulla “definizione”) e soprattutto il desiderio di esprimersi in libertà; quante volte nei suoi diari si legge la sua frustrazione nel dover realizzare ritratti in base ai gusti della committenza, anziché seguendo la sua vena artistica!

Nel 1923 Tina e Edward (insieme ad uno dei suoi figli, Chandler) partono per il Messico e la loro vertiginosa avventura.

Un’altra nave traghetterà Tina verso un nuovo importante periodo della sua incredibile vita: a bordo della Colima, dalla quale Edward realizzerà la sua fotografia della grande nuvola bianca di Mazatlán, Tina andrà incontro al Rinascimento Messicano ed al suo personale rinascimento: la sua fotografia.

I due si stabiliscono in Città del Messico, e in Calle Lucerna nr. 12 aprono lo studio fotografico.

Come già era accaduto a Los Angeles, anche in Messico la vita di Tina, insieme a quella di Weston, è abitata da scrittori, artisti, pittori, sognatori e rivoluzionari; Diego Rivera, Jean Charlot, Anita Brenner, Carlos Orozco Romero, David Alfaro Siqueiros, per citarne alcuni. 

È in questo clima fervido che Tina completerà la sua anima: attraverso la fotografia e l’ideologia comunista. 

Su questo binomio e prima di parlarvi della fotografia di Tina e degli anni successivi della sua vita, vorremmo tuttavia rassicurarvi: se sul primo quesito (“Chi è, dunque, Tina Modotti?”) abbiamo certo iniziato a rispondervi, non ci siamo dimenticati del secondo più difficile quesito posto inizialmente sul come si possa passare alla storia della fotografia. Tina, la sua vita e la sua fotografia hanno molto da insegnarci al riguardo: Tina fotografa per sette anni soltanto della sua vita, appassionata e sincera; però, rinuncia alla fotografia, proprio in ragione della sua incredibile militanza politica. Non si tratta tuttavia di una scelta alternativa, un essere assorbiti da altro più impegnativo e concreto compito; Tina non si lascia qualcosa alle spalle, per sposare altro. Tina in realtà mette spietatamente a confronto la fotografia ed il suo impegno civile, non senza vivere una profonda crisi. Questo, a nostro parere, fa di lei una grandissima fotografa, perché crediamo che il suo travagliato abbandono di qualcosa in cui aveva fortemente creduto invece di diminuire l’importanza del suo lavoro, ci parla di qualcosa che è fondamentale per noi: la coscienza della fotografa.

Ci piace riportarvi una frase che troviamo illuminante, tratta dal romanzo “Tinissima” «Tina si è ripromessa di abbandonare ogni estetismo, l’arte per l’arte, ma allo stesso tempo vuole innalzare la realtà al rango d’arte». Il dramma è che Tina vive agli inizi del Novecento, e quella realtà, le atrocità e le ingiustizie che vive, sono per lei e la sua purezza impossibili da riuscire a trasformare in arte. 

Con non poca commozione vi riportiamo le sue parole in una delle lettere a Weston, che nel 1925 aveva abbandonato (non ancora definitivamente) il Messico e Tina, per tornare in America.

«E parlando di “me stessa”: io non posso – come tu una volta mi hai proposto – “risolvere il problema della vita col perdermi nel problema dell’arte”. Non solo io non passo farlo ma sento che il problema della vita ostacola il mio problema dell’arte. Ma cos’è “il mio problema della vita”? È principalmente uno sforzo per distaccarmi dalla vita e riuscire a dedicarmi completamente all’arte. E qui io so perfettamente che tu risponderai: “L’arte non può esistere senza la vita. Sì lo ammetto ma ci deve essere un giusto equilibrio tra i due elementi mentre nel mio caso la vita lotta continuamente per predominare e l’arte ne soffre. Per arte intendo una creazione di qualsiasi tipo. Potresti dirmi che siccome in me l’elemento della vita è più forte di quello dell’arte dovrei semplicemente rassegnarmi e trarne il meglio. Ma non posso accettare la vita così com’è – è troppo caotica – troppo inconscia – da qui deriva il mio resisterle – la mia guerra con essa – sono sempre in lotta per plasmare la mia vita secondo il mio temperamento e i miei bisogni – in altre parole metto troppa arte nella mia vita – troppa energia – e di conseguenza non mi resta molto da dare all’arte.

Questo problema di “vita” e “arte” è la mia tragicommedia – lo sforzo che faccio per dominare la vita è energia sprecata che potrebbe essere usata meglio se la dedicassi all’arte – potrei avere di più da mostrare. E poiché i miei sforzi vanno così spesso perduti – sono vani». (7 Luglio 1925) [3]

Tina alla fine sceglie la vita.

Gli anni del suo fotografare, perciò, se partono entusiasti e rigorosi dalla ricerca della bellezza per la bellezza, che ritroviamo nelle foto delle sue rose, delle calle, dei bicchieri, pur senza rinunciarvi cominciano a riempirsi di altro pregnante significato.

Scampolo, calcato sulle scene teatrali, o Maria sul set di Hollywood albergano nel suo animo, da sempre, fin da quando nell’Italia che non rivedrà più lavorava per mantenere la famiglia; il Rinascimento messicano, dunque, per lei non poteva essere solo una rinascita culturale, ma doveva inscindibilmente legarsi all’insorgere del popolo per la terra e la libertà; l’arte doveva avere questa funzione, forse solo così sarebbe riuscita in parte a placare il suo conflitto interiore.

Le sue nature morte sono ideogrammatiche, sono oggetti che veicolano idee, senza rinunciare alla bellezza delle forme che Edward gli aveva trasmesso. Il suo obiettivo fu però sempre di più rivolto al popolo, alla gente, alla lotta. Le sue foto ebbero gloria più che nelle mostre, sulle pagine dei giornali, primo fra tutto “El machete” (fondato dall’altro uomo della sua vita, Xavier Guerrero, colui che la avvicinò più di tutti al partito comunista) o la rivista tedesca “Aiz”, del Soccorso operaio internazionale (SOI) di Willi Münzenberg, o ancora la rivista “New Masses” dove furono pubblicate le sue fotografie dei murales ad opera di Orozco. 

Tina non cercava la gloria nel fotografare: con quelle che lei definì quasi per scherzo “fotografie di propaganda” si proponeva di raggiungere il popolo non le gallerie d’arte. Mentre Weston catalogherà con precisione tutti i suoi negativi, le opere di Tina sono infatti sparse in tanti musei e collezioni private.  

È questa sua inclinazione, questa sua coscienza, a parere nostro, che fa onore alla Fotografia e la porta dritta nella sua Storia.

Riccardo Toffoletti così scrive [4]: «Probabilmente in tutta la storia della fotografia non esiste un artista che abbia così efficacemente coniugato l’impegno politico con il fatto estetico, senza cadute nella propaganda o nel populismo». Toffoletti è colui cui dobbiamo la riscoperta di Tina Modotti, negli anni ’70, in Italia, grazie alla collaborazione con la sorella Jolanda e con Vittorio Vidali (suo ultimo compagno di vita): fino ad allora la sua opera fu quasi dimenticata, probabilmente anche per l’avversione al suo schierarsi politico, o perché donna libera, estremamente libera.

Azzeccatissima la lettura di Roberta Valtorta dell’opera di Tina Modotti: la sua non è una fotografia di reportage, ma una fotografia sociale ed etnografica [5].

Gli anni messicani in cui fiorisce la sua fotografia sono però sempre di più anche gli anni del suo impegno politico. Quando nel 1926 Weston decide di abbandonare definitivamente il Messico, Tina continua a fotografare, ma di pari passo si sviluppa il suo lavoro politico e gli incontri fondamentali in tal senso. Guerrero partirà per Mosca senza portarla con sé, e nel 1928 Tina incontrerà e si innamorerà di Juan Anton Mella, fondatore del Partito Comunista cubano e oppositore del Presidente Machado. Sarà per lui la sua “Tinissima”, e sarà accanto a lui quando viene assassinato nel Gennaio 1929; suo malgrado verrà trascinata in una campagna scandalistica e in un processo in cui addirittura viene accusata di essere la colpevole (sarà Diego Rivera che interverrà negli appelli a sua difesa).

In un crescendo di difficoltà, nel 1930 Tina verrà espulsa dal Messico, accusata di aver preso parte all’attentato al nuovo Presidente messicano Pascal Ortiz Rubio.

Imbarcatasi sulla Edam (un’altra nave la traghetterà in un nuovo periodo della sua vita), farà tappa a Berlino dove tuttavia non riuscirà a lavorare per i giornali, che le chiedono velocità, reportage, l’utilizzo di macchine di piccolo formato, una fotografia di strada che non riesce e non vuole pubblicare. Forse è proprio in questi frangenti che Tina decide di abbandonare la fotografia, per sempre. Nelle magnifiche parole di Roberta Valtorta dal già citato capitolo Tina «ha scelto non la rappresentazione del dolore, ma il dolore».

Sulla nave per L’Europa rivedrà colui che diventerà l’ultimo compagno della sua vita, Vittorio Vidali, che in realtà aveva già conosciuto negli Stati Uniti durante un corteo di protesta per il caso Sacco e Vanzetti, e in Messico (a quei tempi si faceva chiamare Enea Sormenti). Con lui partirà per Mosca e come lui affronterà coraggiosamente tutte le missioni che Elena Stasova, segretaria di Stalin, le affiderà in giro per l’Europa per conto del partito.

Mentre Weston vive a Santa Monica e gestisce uno studio fotografico con Brett (il figlio che lo accompagnò nel suo secondo breve soggiorno in Messico), Tina sceglie nuovamente la vita e parte a fine 1935 per la Spagna, dove a breve avrebbe trionfato il Fronte Popolare di Franco.

Con lei, ancora una volta, Vidali, che si farà chiamare Carlos Contreras; lei invece prenderà il nome di Maria, come la serva di “The tiger’s Coat” (non fu lei a scegliersi il nome, ma le fu attribuito).

Dal 1936 al 1939 Tina ricopre il ruolo di miliziana del Quinto Reggimento di Contrerars, ma il suo posto nel mondo lo trova come infermiera negli ospedali, ad accogliere i feriti o a occuparsi della adozione di bambini spagnoli rimasti orfani, inviati in Unione Sovietica.

In Spagna Tina incontra anche Gerda Taro e Robert Capa, che tenteranno di farla tornare alla fotografia, invano.

Quando nel 1939 cadde la città spagnola di Barcellona, Tina vive la tragedia dell’esodo di massa di decine di migliaia di miliziani e civili verso la Francia e, di nuovo, l’esilio.

La Queen Mary la riporterà al suo Messico, ma sotto il nome di Maria del Carmen Ruiz Sánchez ed essendo ancora persona indesiderata, vive i primi mesi nascosta e angosciata.

Tina non troverà lo stesso Messico che aveva lasciato: nel partito l’atmosfera era sempre più avvelenata e nell’Agosto del 1939 ricevette con profonda amarezza la notizia del patto tra Stalin e Hitler.

Neppure in Messico riprende in mano la sua Graflex, rifiutando anche l’invito a farlo da parte di Manuel Alvarez Bravo, suo allievo ai tempi del primo soggiorno messicano. 

Gradualmente riprende il contatto con alcuni artisti, unendosi al gruppo che si riuniva a casa di Neruda. 

Fu in quella casa che passò l’ultimo Capodanno della sua vita a cavallo tra il 1941 e il 1942.

Abbandonata la dimora di Neruda, si racconta che Tina vide un vecchio messicano steso per terra e fece di tutto affinché fosse ricoverato, non andò a dormire fino a che non ottenne dalla Croce Verde il trasporto dell’uomo all’Ospedale Generale, salvandogli la vita.

Fu proprio l’Ospedale Generale l’indirizzo che diede al tassista la notte del 5 gennaio 1942, stava proprio di fronte a casa sua. Non lo raggiunse mai, morì di attacco cardiaco sull’auto.

Neruda le dedicò una toccante poesia, che vi riportiamo tradotta.

«Tina Modotti, sorella, tu non dormi, no, non dormi:
forse il tuo cuore sente crescere la rosa
di ieri, l’ultima rosa di ieri, la nuova rosa.
Riposa dolcemente, sorella.
La nuova rosa è tua, la nuova terra è tua:
ti sei messa una nuova veste di semente profonda
e il tuo soave silenzio si colma di radici
Non dormirai invano, sorella.
Puro è il tuo dolce nome, pura la tua fragile vita:
di ape, ombra, fuoco, neve, silenzio, spuma,
d’acciaio, linea, polline, si è fatta la tua ferrea,
la tua delicata struttura.
Lo sciacallo sul gioiello del tuo corpo addormentato
ancora protende la penna e l’anima insanguinata
come se tu potessi, sorella, risollevarti
e sorridere sopra il fango.
Nella mia patria ti porto perché non ti tocchino,
nella mia patria di neve perché alla tua purezza
non arrivi l’assassino, né lo sciacallo, né il venduto:
laggiù starai tranquilla.
Non odi un passo, un passo pieno di passi, qualcosa
di grande dalla steppa, dal Don, dalle terre del freddo?
Non odi un passo fermo di soldato nella neve?
Sorella, sono i tuoi passi.
Verranno un giorno sulla tua piccola tomba
prima che le rose di ieri si disperdano,
verranno a vedere quelli d’una volta, domani,
là dove sta bruciando il tuo silenzio.
Un mondo marcia verso il luogo dove tu andavi, sorella.
Avanzano ogni giorni i canti della tua bocca
nella bocca del popolo glorioso che tu amavi.
Valoroso era il tuo cuore.
Nelle vecchie cucine della tua patria, nelle strade
polverose, qualcosa si mormora e passa,
qualcosa torna alla fiamma del tuo adorato popolo,
qualcosa si desta e canta.
Sono i tuoi, sorella: quelli che oggi pronunciano il tuo nome,
quelli che da tutte le parti, dall’acqua, dalla terra,
col tuo nome altri nomi tacciamo e diciamo.
Perché non muore il fuoco.» [6]

Speriamo tanto di aver risposto ai due quesiti che ci siamo posti quando scorrendo il dito sul lungo “Indice dei nomi” del volume “Storia della fotografia” di B. Newhall non abbiamo letto quello di Tina Modotti.

Se così non fosse, siamo comunque certi di avervi raccontato la storia di una donna eccezionale. No, Tina, tu non dormi.

Luisa Raimondi

Tante sono le foto di Tina o fatte da Tina che si possono vedere su internet o sfogliare sui libri che più sotto vi suggeriamo.

Ci piace lasciarvi queste: la prima, quella di una Tina spensierata, a Los Angeles insieme al suo primo amore, Robo; la seconda quella di Tina sul set, quasi premonitore del suo futuro; la terza quella in posa, ma frutto di un desiderio divertito dei due fotografi Modotti e Weston. Non è facile trovare un ritratto sorridente di Tina.

Tina e Robo. (Fonte Google)
(Fonte: Google) Tina sul set di “The tiger’s coat”, mentre interpreta la figura di Maria, serva figlia di peones messicani.
Edward Weston e Tina Modotti, Città del Messico, 4 Agosto 1924.
Nei diari di Edward Weston : «[..] siamo andati a farci fotografare! Se ne parlava da tanto anche di questo, e l’idea ci piaceva, perchè non è mai capitato di vedere “ritratti”buffi quanto quelli delle vetrine dei fotografi a buon mercato di Città del Messico. […] “Stavo per scoppiare a ridere” diceva Tina. “Come abbiamo fatto a rimanere impassibili?”» (Fonte: Google)

Note:

Nota[1]: libro del 1982 nella edizione originale americana, mentre del 1984 in quella italiana a cura di Einaudi.

Nota [2]: tratto dal libro consigliatissimo “Tina Modotti, arte e libertà fra Europa e Americhe” a cura di Paolo Ferrari, Claudio Natoli, capitolo scritto dalla Poniatowska “Scrivere un romanzo su Tina”.

Nota [3]: Tratta da “Tina Modotti, VITA ARTE E RIVOLUZIONE, Lettere a Edward Weston (1922-1931)”, a cura di Valentina Agostinas; ed. Abscondita.

Nota [4]: tratto da Tina Modotti e la storia della fotografia. Le tappe della riscoperta”, in Comitato Tina Modotti (a cura di), Tina Modotti. Una vita nella storia, Udine, Ed. Arti Grafiche Friulane, 1995 (Atti del convegno internazionale di studi tenutosi ad Udine dal 26 al 28 marzo 1993.

Nota [5]: si legga il capitolo “Tina Modotti e la fotografia” nel sopra citato ”Tina Modotti, arte e libertà fra Europa e Americhe”.

Nota [6]: tratta da “Tina Modotti – Sulla fotografia sovversiva. Dalla poetica della rivolta all’etica dell’utopia” – Pino Bertelli; edizione NdA press

Suggerimenti Bibliograifici:

“Tina Modotti, arte e libertà fra Europa e Americhe”, a cura di Paolo Ferrari e Claudio Natoli; ed. Forum; un libro molto consigliato per inquadrare sia il personaggio che il periodo storico, ricco di diversi punti di vista su Tina e corredato da un ricco insieme di fotografie.

“Tinissima” Elena Poniatowska, edizione Nova Delphi. Un romanzo biografico curatissimo; l’autrice ha dedicato una ricerca di dieci anni a Tina Modotti. Consigliamo prima una lettura dei fatti storici per meglio seguire le vicende (il precedente libro citato è perfetto)

“Tina Modotti. Vita, arte e rivoluzione. Lettere a Edward Weston (1922-1931) a cura di Valentina Agostinas; edizione Abscondita.

“Ritratti al vivo” Edward Weston, Nuove Pratiche Editrice. Si tratta dei Diari di Edward Weston, che certamente contribuiscono a darci un quadro completo dell’ambiente messicano, degli esperimenti fotografici e della sua relazione con il grande fotografo.

Questi sono libri che abbiamo letto per intero. Sul primo libro citato la bibliografia riportata è ancora più ampia! Ci ripromettiamo di leggere ancora con passione altri volumi sulla grande Tina, per fornirvene una eventuale recensione. Buona lettura!

Prima della chiusura dei musei dovuti alla pandemia da Covid era in programma al Mudec una mostra su Tina Modotti, a cura di Biba Giacchetti. È ancora inserita nella programmazione, pur non conoscendone le date. Vi terremo aggiornati.

Se la vita di Tina, infine, vi ha appassionato, vi invitiamo ad ascoltare questo pezzo recitato seguito da una interessante intervista a Riccardo Toffoletti.

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