Cortona On The Move 2018

Il 12 luglio 2018 si è aperta l’ottava edizione del festival internazionale di fotografia Cortona On The Move. La formula consolidata e vincente di posizionare i reportage in diversi punti del centro storico, rimane invariata; mentre, grazie alla rinnovata partnership con Canon, che per il secondo anno è per l’appunto Digital Imaging Partener del festival, le novità sono due. La prima è ARENA – Video and Beyond sponsored by Canon Eos: un’installazione che estende il linguaggio fotografico a quello del video, una soluzione interessante perché sempre più spesso i reporter affidano una parte della loro narrazione al video. Una sezione da non sottovalutare, anticipata nelle passate edizioni in piccolo all’interno di specifici reportage.
La seconda novità, invece, importante e determinante, è l’Officina di Stampa: un edificio storico che si trova all’interno del centro di Cortona, aperto al pubblico, dove si trovano le tecnologie Canon con le quali sono state stampate le immagini di quasi tutte le 22 mostre, il cui processo di stampa è stato affidato al prestigioso laboratorio fiorentino Center Chrome. Una novità che renderà, rispetto alle edizioni passate, l’esperienza visiva più intensa e coinvolgente.
La presenza alla conferenza di inaugurazione di Michele Coppola, Direttore Centrale Arte, Cultura e Beni Storici – Direttore Gallerie d’Italia ha permesso all’associazione ONTHEMOVE di presentare Intesa Sanpaolo come main partner del festival. La partecipazione di questa istituzione bancaria non è di facciata o di puro supporto economico, ma una felice sinergia perché permette a Intesa Sanpaolo, tra le altre cose, di rinnovare ed estendere il suo interesse anche al mondo della fotografia. In tal senso vanno ricordate: la collaborazione con la Fondazione CAMERA-Centro Italiano per la fotografia, nata a Torino nel 2015 e di cui è partener fondatore; l’acquisizione dell’Archivio Publifoto che va ad arricchire ulteriormente l’importante fototeca interna; le mostre realizzate con Magnum Photos alle Gallerie d’Italia.

Antonio Carloni, direttore Cortona On The Move, ha ricordato la terza edizione come quella in cui il Time ha giudicato il festival come tra i dieci più importanti del mondo. L’edizione 2018 non solo continua a confermare il giudizio, ma sembra aspirare al primato. L’atmosfera è diversa, più intensa, complici forse le partnership di nome e di valore, ma continua a esserci testa, cuore, impegno e l’ambizione è meno timida, più matura. Uno spirito di gruppo che ha reso le storie narrate attraverso le immagini in mostra meno lontane, ancora più stimolanti e ancor più capaci di far riflettere andando, spesso, anche oltre la bellezza compositiva della fotografia. Il messaggio continua a esserci, ma si sente meglio. Le fotografie sono meno mute.
Storie che molto spesso rimangono confinate all’interno delle cornici, ma che spesso anticipano temi che raggiungono le prime pagine dei giornali, aprono i telegiornali, diventano motivo di scontro politico, solo dopo diverso tempo. La forza di un festival internazionale di fotografia consiste proprio nel saper leggere la società, anticipando i tempi.
Cortona On The Move in questo ha il proprio punto di forza. Come non ricordare il reportage di Kai Wiedenhoefer CONFRONTIER, presente diversi anni fa in mostra, la cui drammatica attualità si presenta oggi in maniera più forte con l’intenzione di costruire un muro tra Messico e Stati Uniti. Ancora, il tema delle migrazioni nel continente europeo, in questo particolare momento più amplificato, tema anticipato in una passata edizione con il reportage realizzato attraverso le immagini dell’archivio Magnum Photos.
Quindi, anche in questo caso, il festival rappresenta un’opportunità per riflettere su alcuni temi uscendo dai confini della mostra, permettendo di esercitare il senso critico in un tempo prolungato.

In questa ottava edizione del Cortona On The Move le protagoniste sono le donne, sia come fotografe, sia come protagoniste di quasi tutte le mostre. D’altra parte, la presenza femminile non è mai mancata nelle passate edizioni, ma la differenza è che quest’anno ci sono solo donne. La scelta operata dalla direttrice Arianna Rinaldo, come nelle passate edizioni, è assolutamente attraente. A guidarla c’è evidentemente un richiamo allo scandalo che ha sconvolto Hollywood, dove gli avanzamenti di carriera delle donne erano basati non sul saper recitare, ma da rapporti sessuali non proprio consenzienti. Una indecenza che nel volgere di poche settimane si è estesa anche ad altri ambiti lavorativi. Nei paesi democratici la donna, ancora oggi, non è in una condizione di parità, ecco giustificate le campagne social a sensibilizzare il mondo maschile.
La selezione fatta da Arianna Rinaldo è lontana dal clamore mediatico, più intima; non riguarda solo le donne in carriera, ma propone un discorso più ampio. Alla denuncia ha preferito la narrazione. Storie che raccontano nel male e nel bene la donna e il suo ruolo nelle società. Un discorso oltretutto esteso, che va anche più in là degli stessi reportage. Le fotografe presenti all’inaugurazione hanno infatti permesso di scoprire un vissuto interessante e contrastante.

Carlotta Cardana con il suo splendido The Red Road Project, dove viene esplorato il rapporto tra la cultura tradizionale dei nativi americani e l’identità delle popolazioni tribali odierne, si è definita nata con la valigia. Al contrario, Guia Besana con la maternità ha dovuto ripensare completamente il suo approccio alla fotografia. Il suo progetto Under Pressure pone l’attenzione su come le donne abbiano ereditato la responsabilità di dover dimostrare di essere capaci di passare dalla cura del mondo domestico alla creazione di una vita più esauriente e appagante.
Il tema della maternità viene proposto Elinor Carucci con il progetto Getting Clores, Becoming Mother: About Intimacy And Family (1993-2012), il nucleo del lavoro è rappresentato dal sentimento di unione con i suoi figli.
Tanya Habjouqa con un titolo apparentemente poetico: Tomorrow There Will Be Apricots, un bel modo per dire che le cose non si avverano; ha focalizzato la sua attenzione sulla situazione drammatica che c’è in Siria attraverso immagini, registrazioni e filmati di donne che con il loro corpo raccontano le loro esperienze. Poulomi Basu si concentra sul rituale Chaupadi, dove le donne durante il periodo mestruale sono costrette all’esilio perché considerate impure. L’allestimento a Palazzo Capannelli ricrea in un certo senso l’atmosfera claustrofobica, di oppressione, che le donne del Nepal sono costrette a subire.
Allison Steward con un reportage che non lascia alcuno spazio all’estetica, racconta la paura americana per le catastrofi geopolitiche, di persone che si preparano attivamente per un disastro imminente, compresa quella di «una apocalisse zombie». Le foto esposte hanno come soggetto il contenuto dello zaino di sopravvivenza, dove ogni kit è il ritratto del suo proprietario, con i suoi bisogni e le sue paure. Bieke Deporteer, in un reportage durato sei anni, ha seguito la rivoluzione del Cairo a partire dal 2011, cercando di farsi accogliere nelle case delle persone che incontrava per strada. Faticosamente è riuscita a realizzare un libro che ha poi presentato alle stesse persone, in forma di bozza, nel 2017. In mostra è possibile leggere i commenti scritti da queste persone sulle foto. Un reportage intenso tanto che, per stessa ammissione della fotografa, alcune foto ritraggono posizioni che non sono viste come “buone” da fotografare, come può essere ad esempio una persona sdraiata.
Tutt’altro genere è il lavoro di Jennifer Greenburg che ha ricreato immagini iconiche americane degli anni 40-60. Quelle che parlavano di auto, bei vestiti e che tutti ricordano come bei momenti. In ogni frame la protagonista è l’autrice e il suo intento è quello di iniziare a parlare del fatto che il modo in cui la fotografia, o l’attualità, viene interpretata, è in buona parte frutto del lavoro del fotografo, di come egli prepara la foto. La naturale conseguenza è che non sempre quello che si vede è un fatto reale.
Marylise Vigneau è stata costretta, per necessità, a preparare le immagini, quelle in mostra sono tutte costruite. Mostrano omosessuali, apostati, attivisti politici che non possono mostrare il volto perché sarebbe troppo pericoloso, tanto che perfino un cane viene fotografato con la maschera da gatto. Una foto sicuramente ironica, ma il cane non è molto ben visto nei paesi musulmani, al contrario del gatto, per l’appunto, che è l’animale che aveva con sé il Profeta.
Fallout è il lavoro di Sim Chi Yin, immagini che documentano, in un percorso di seimila chilometri tra Cina, Nord Corea e Stati Uniti, l’esperienza degli uomini, passata e presente, in relazione alle armi nucleari.
Sanne De Wilde è la fotografa che ha documentato l’acromatopsia, una rara malattia genetica di cui è affetta la popolazione di un piccolo atollo nell’Oceano Pacifico che impedisce loro di vedere il mondo a colori. L’assenza di qualcosa non vuol dire necessariamente una mancanza, è un invito quindi a considerare la diversità come una prospettiva.
Tema della diversità e dell’unicità centrale nel lavoro di Alena Zhandarova, alla ricerca di una connessione tra il mondo esterno e quello interno.
Claudia Gori ha affrontato un tema poco discusso: la sensibilità di diverse persone ai campi elettromagnetici ad alta frequenza emessi da cellulari, ripetitori, Wi-Fi e via dicendo. Una patologia che costringe le persone a cambiare le loro abitudini, spesso costringendole a isolarsi. Sentinelle che sembrano anticipare un problema che rischia diventare una vera e propria epidemia.
Infine, Debi Cornwall ha raccontato la prigione di Guantanamo: la vita quotidiana all’interno della prigione, sia dei detenuti che delle guardie; gli oggetti acquistati dal carcere; le persone che sono state assolte e rilasciate.

Storie che non puntano al clamore, non si concentrano sulle masse, preferiscono raccontare, documentare, privilegiare le persone nella loro intimità, spesso faticosa e drammatica. Abituati a una narrazione monotona, dove il male è esclusivamente terrorismo, l’edizione 2018 del Cortona On The Move affronta problematiche altre come: le restrizioni mentali, quelle politiche, quelle religiose, l’assenza e la privazione della libertà, nelle diverse e varie sfumature, dovute alle tradizioni arcaiche fino alle malattie; la paura, l’umiliazione. Reportage che invitano a riflettere sulla diversità in tutti i suoi aspetti.

 

Federico Emmi