Il Marocco. Un reportage di Alessandro Vargiu

Ogni volta è la stessa emozione; viaggiare, scoprire.. immaginare.

La preparazione fa parte del viaggio stesso. Questa volta i bagagli dovranno essere belli carichi, due Nikon, sei ottiche, un portatile, un videoproiettore..
Abbiamo organizzato un viaggio fotografico per scoprire i luoghi più suggestivi del misterioso Marocco, apro tutte le porte della mia mente a questa nuova avventura.

Il primo contatto fotografico con Marrakech mi dà impressioni contrastanti,
la città stupisce e inebria per i suoi colori e la sua architettura con i suoi edifici rigorosamente in terra rossa…Marrakech si presenta ai miei occhi come l’ho sempre sognata, come l’ho vista nei film…una città così diversa e piena di mistero che a ogni angolo ti regala emozioni forti… è stato molto difficile scattare ritratti alle persone del luogo senza una loro richiesta di denaro, abituati dai turisti stessi a “vendere” questa diversità che tanto affascina e che vorremmo fare nostra…facendosi pagare per una fotografia..da un punto di vista umano questa meravigliosa città subisce purtroppo una invasione turistica eccessiva.
Marrakech è comunque un primo assaggio.. sono certo infatti che il Marocco ha ancora molto da svelarci.
Dopo un primo briefing con i partecipanti e una lezione introduttiva sulla fotografia, partiamo verso le montagne, verso l’Alto Atlas.

Dal finestrino del minibus vediamo il paesaggio cambiare…colori irreali, paesi e città delle quali vorrei scoprire ogni segreto, volti sfuggenti di persone, di vite che vorrei conoscere. Il nostro staff è composto dal cuoco Mohamed, la guida Youssef, l’autista Hamid, l’interprete Carlo e me. I partecipanti sono sette; Renata, Lilia, Rosanna, Matteo, Lucia, Isabella e Sara.
Dopo circa sette ore di viaggio, tra discussioni, scambi di impressioni e consigli fotografici
arriviamo tra le montagne dell’Alto Atlas dove vive il cuore del Marocco quello che non viene quasi mai raggiunto dai turisti.
I villaggi sono meravigliosi, case in terra rossa con tetti di paglia e inferriate azzurre incorniciate da paesaggi mozzafiato, da montagne con profili poderosi e fiabeschi, di tanto in tanto incontriamo edifici abbandonati che sono letteralmente squagliati dalle pioggie e dal vento, donne bellissime con foulard colorati trasportano grossi rotoli di grano mentre gli anziani conversano seduti a semicerchio per la strada.

 

 

Durante le prime escursioni siamo stati avvicinati da orde di bambini e ragazzi, curiosissimi di conoscerci e di osservare da vicino la nostra attrezzatura fotografica. Youssef ci spiega che con molte probabilità questi ragazzi non hanno mai visto dal vivo una fotocamera digitale.
Tra sorrisi e gesti riusciamo a comunicare con loro e a “fare amicizia”.
Credo che la conoscenza della lingua non sia sempre fondamentale, è bello talvolta provare a capirsi e ridere quando non si riesce.. si scopre così che siamo uguali, simili… umani.

Decido di dedicarmi prevalentemente al ritratto, con il mio 50mm 1.4G e il 24-70 2.8, mentre il mio teleobiettivo rimane nello zaino. Ho scelto infatti di utilizzare delle ottiche che mi obblighino al contatto con le persone ricordando le parole di Robert Capa, se non ricordo male diceva: “Se non hai scattato una buona foto, significa che non eri abbastanza vicino”, una scelta coraggiosa ma non facile perchè sebbene il Marocco sia un paese islamico moderato, molte persone considerano la fotografia come una invasione.
Tra i villaggi, tra le montagne, si può apprezzare l’antica e affascinante cultura berbera, l’organizzazione sociale e la vita semplice e bellissima che queste persone vivono ogni giorno. Sembra di essere lontani dal tempo, senza automobili, senza asfalto, tra animali e agricoltura, senza inquinamento alcuno, osservando il tutto mi chiedo se il nostro progresso sia davvero positivo per il genere umano.
Dopo alcuni giorni tra le montagne è il momento di muoverci verso sud, verso il deserto.
Il gruppo è affiatato, nel minibus si parla molto di cultura e fotografia, di viaggi passati e futuri, c’è chi pulisce gli obiettivi dalla terra rossa, chi osserva le proprie fotografie, chi ascolta musica o guarda fuori dal finestrino.
Andando verso sud cambia il paesaggio, i colori e cambiano i volti sempre più scuri della popolazione.

Appena giunti nel deserto ho voluto fare una piccola escursione solitaria, ho camminato per qualche centinaio di metri con la d700 in spalla, ho voluto immergermi nello spettacolo immenso e poderoso che il deserto sa offrire. Immaginate di essere circondati da cielo e sabbia, di non vedere nessun punto di riferimento se non il sole, di non avere potere e di essere piccolo come una manciata di sabbia in un mare immenso… tutti i problemi, tutti i sogni vengo ridimensionati e non si può far a meno di pensare al progetto della natura di cui facciamo parte.
Dopo una squisita cena nella tenda madre, a base di pollo cous cous e insalate, siamo usciti nella notte per una lezione di Light writing nel deserto, armati di treppiede, pile, luci led e fotocamere.
Gli esperimenti con i tempi lunghi e le luci sono sempre molto divertenti e stupiscono chi non li ha mai praticati prima… ricordo le parole di una partecipante; “non credevo che la fotografia potesse divertirmi tanto!”

Dopo otto magici giorni il viaggio volge al termine, si ritorna nella bellissima Marrakech dove abbiamo l’opportunità di vivere la vita serale e notturna della città e di dare un ultimo saluto a questo paese che ha superato ogni mia aspettativa ed è riuscito a commuovermi.
Nell’aeroporto Menara di Marrakech penso già al prossimo viaggio fotografico e alla sensazione di eternità che un viaggio come questo può regalare.

Alessandro Vargiu
www.alessandrovargiu.it