Nel film La leggenda del santo bevitore di Ermanno Olmi (1988), tratto dal racconto di Joseph Roth (1894-1939), un vagabondo incontra un ricco benefattore che afferma di essersi da poco convertito al cristianesimo, dopo aver letto la storia della vita di Santa Teresa di Lisieux. Il ricco uomo dona duecento franchi al povero senzatetto che accetta la somma a patto di poter restituire il debito appena si fosse rimesso in sesto. Il ricco uomo acconsente a condizione che la somma prestata venisse riconsegnata, sotto forma di donazione, alla chiesa di Santa Maria di Batignolles, dove è conservata una cappella dedicata a santa Teresa di Lisieux. Nel corso della vicenda il vagabondo, Andreas Kartak, un immigrato della Slesia polacca, riuscirà a recuperare diverse volte, e quasi per miracolo, la somma da restituire senza però riuscirci mai fino in fondo se non alla fine della storia.
La vicenda ruota attorno a un dono che deve essere restituito, per tutta la durata del racconto il protagonista è più volte sul punto di ottemperare al suo impegno, tuttavia per una serie di circostanze ed eventi fortuiti ogni volta qualcosa lo devia dal suo intento, lo distrae e lo ferma. Incontra una sua ex amante per cui si era macchiato di un omicidio motivato dalla gelosia, un suo vecchio amico d’infanzia che, divenuto un pugile famoso, lo accoglie nell’albergo presso cui viveva, trova perfino un portafoglio con mille franchi ma si fa derubare da una ballerina con cui trascorre una notte. Addirittura proprio quando è nella chiesa di Batignolles con i duecento franchi in mano, consegna i soldi ad un suo compagno di sbronze con cui torna al bistrot ad ubriacarsi.
La storia di Andreas si svolge su aspetti molto concreti, sono narrate vicende materiali come relazioni sessuali, fatti di sangue e di denaro, vagabondaggio e alcolismo come preludio ad una morte certa, eppure nella parte finale della storia il cerchio della narrazione sembra chiudersi sulla figura di una bambina di nome Teresa. Una bambina che ricorda ad Andreas il suo debito con Santa Teresa di Lisieux, una bambina dagli occhi neri e dolci che gli era apparsa un giorno sotto un ponte presso cui stava dormendo e che ora rivede nel caffè dove la piccola era entrata per aspettare i suoi genitori. Il protagonista, ormai completamente alcolizzato, si rivolge alla bambina pregandola di prendere i duecento franchi così da estinguere il suo debito. Morirà subito dopo il breve dialogo con la piccola Teresa, nella sacrestia della chiesa in cui viene trasportato dai clienti del caffè, felice di credere di aver saldato il debito con la santa.
Nella narrazione appare evidente la correlazione tra il dono ricevuto e la figura di Teresa di Lisieux, nota per la sua «piccola via» ovvero il farsi piccoli di fronte al Cielo, cercando di abbandonarsi come bambini alla sua saggezza e, così facendo, raggiungerlo. Il dono dei duecento franchi, nella sua concretezza, è metafora della materialità, della corporeità dentro la quale l’anima si trova a vivere e a fare i conti, mentre la restituzione di ciò che abbiamo avuto, ovvero la via della salvezza, sembra coincidere con il ‘tornare bambini’. Infatti la strada indicata da Santa Teresa di Lisieux nel suo testo principale Storia di un’anima (1895) indica proprio la via dell’abbandono, la cosiddetta ‘via dell’infanzia spirituale’, là dove non occorrono gesti eroici o eclatanti per la salvezza, bensì solamente un’adesione incondizionata all’unica vera forza, rivoluzionaria e straordinaria ma, allo stesso tempo, semplice e quotidiana nella sua umiltà: la forza dell’amore. Ed è per questa ragione che la figura di Teresa di Lisieux apre e chiude il racconto, proprio perché nell’odissea della restituzione del dono ricevuto da Andreas vi è l’allusione ad un tornare puri, lui così profondamente impuro, nella consapevolezza che il Cielo ama gli ultimi e cerca continuamente chi sta attraversando la notte dell’anima.
Il tema de La leggenda del santo bevitore è dunque il rapporto speculare tra il puro e l’impuro, là dove Teresa è anima mentre Andreas è corpo, il percorso della purificazione è indicato dalla bambina, alter ego della santa di Lisieux, che appare all’inizio e alla fine del film, metafora di salvezza agli occhi del protagonista. E infatti è proprio nella duplicità della natura umana che è riposto il significato del racconto. «L’uomo ha una vita duplice – scrive Vladimir Jankélévitch – soprattutto nel senso che gli sono necessari almeno due principi per spiegare la totalità di ciò che avverte, per rendere conto della sua realtà integrali; gli sono necessari almeno due poli, due direzioni, due limiti per interpretare tutta la complessità psicosomatica: questa complessità si chiama Carne se la si considera dal punto di vista degli organi, Spirito se la si considera dall’interno e dal punto di vista di una coscienza interna a sé che pensi il proprio corpo e la propria vita mescolata». L’uomo nella sua interezza è carne e spirito, tuttavia per arrivare allo spirito è necessario passare attraverso la carne, puro e impuro non sono distinti ma propedeutici, necessari, complementari e fusi l’uno nell’altro.
In questa direzione è esemplare l’episodio descritto nel dipinto Gesù benedice i bambini (1535)di Lucas Cranach il vecchio, nel quale possiamo capire il vero senso della vicenda biblica denominata “Lasciate che i bambini vengano a me”, descritta ne I Vangeli (Matteo 19, 13-15 e Luca 18, 15-17). Nella parte destra del dipinto possiamo notare come gli apostoli abbiano espressioni di disapprovazione e di biasimo nei confronti di Gesù che ha accolto e abbracciato i bambini. Infatti al tempo era credenza diffusa che i bambini piccoli e le loro madri per un determinato periodo fossero considerati impuri, pertanto non potevano essere avvicinati né toccati. Nell’accogliere i bambini, abbracciandoli e baciandoli, Gesù afferma che è proprio l’infanzia la condizione necessaria per la salvezza: «In verità vi dico: se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Matteo 18, 1-5). Nel gesto di Cristo assistiamo alla rappresentazione metaforica del puro che abbraccia l’impuro, ovvero della condizione necessaria dell’uomo che non può prescindere dalla carne e dal corpo per il suo cammino verso lo spirito. Non a caso il racconto La leggenda del santo bevitore di Joseph Roth si conclude proprio con la morte del protagonista, del suo passaggio nell’Aldilà finalmente in pace, perché era riuscito a restituire il suo debito alla piccola Teresa, il dono che aveva ricevuto.
Dunque occorre diventare come bambini e non tornare bambini, perché ciò che abbiamo avuto un giorno dovrà essere restituito, il nostro debito dovrà essere onorato nell’unico modo che conosceva Teresa di Lisieux, ovvero che «l’amore si paga solo con l’amore».
Rossano Baronciani