Oltre il dolore: Rena Effendi e il lato umano della fotografia

Il Festival di Fotografia Etica di Lodi, nell’edizione 2024, si arricchisce nuovamente della presenza del World Press Photo, uno dei più prestigiosi concorsi internazionali di fotogiornalismo, fondato ad Amsterdam nel 1955. La mostra itinerante del concorso porta una selezione delle immagini vincitrici dell’anno nei vari paesi del mondo. A rendere l’occasione ancora più speciale è la partecipazione di Fujifilm, che ritorna a Lodi come main sponsor del Festival, e dove presenta per la prima volta dopo l’annuncio di gennaio, la collaborazione con la World Press Photo Foundation: una partnership che vede Fujifilm come sponsor dei concorsi e delle mostre internazionali di World Press Photo.

La World Press Photo Foundation è nota per il suo impegno nel dare visibilità ai fotoreporter, portando al pubblico globale narrazioni autentiche e di grande impatto. Dal canto suo, Fujifilm ha sempre posto la fotografia e la cultura fotografica al centro della propria missione aziendale. Come ha dichiarato Masato Yamamoto, Executive Vice President e General Manager della Imaging Solutions Division di Fujifilm Corporation: “Siamo entusiasti di aver stipulato questa collaborazione, che ci consentirà di contribuire alla crescita di uno storytelling affidabile e di una comunicazione globale attraverso il potere della fotografia“. Yamamoto ha inoltre sottolineato come questa partnership sia perfettamente in linea con lo spirito dell’azienda, che quest’anno celebra il suo novantesimo anniversario.

Anche dalla World Press Photo Foundation emerge grande entusiasmo per questa iniziativa. Joumana El Zein Khoury, Executive Director della fondazione, ha affermato: “Siamo molto lieti di annunciare questa partnership con Fujifilm, che condivide la nostra missione di supportare la comunità fotografica. Questa collaborazione ci aiuterà a raggiungere più persone, a migliorare le nostre mostre e a supportare direttamente la comunità della fotografia di cronaca e documentaristica“.

La collaborazione tra Fujifilm e World Press Photo sottolinea il valore della fotografia non solo come forma d’arte, ma anche come potente strumento narrativo, capace di portare alla luce storie che meritano di essere raccontate. Grazie a questa partnership, Fujifilm ci ha permesso di conoscere una delle vincitrici dell’edizione 2024: Rena Effendi.

Rena Effendi è una fotografa e documentarista azera, nota per il suo lavoro che esplora temi sociali e ambientali, spesso concentrandosi su comunità emarginate e sulle sfide della modernizzazione. Nata nel 1977 a Baku, in Azerbaigian, Effendi ha iniziato la sua carriera fotografica nei primi anni 2000, documentando la transizione del suo paese dall’era sovietica a una nuova fase di sviluppo economico e conflitti politici. Il suo lavoro si distingue per la capacità di mostrare il lato umano di situazioni complesse, creando un legame profondo tra i soggetti delle sue fotografie e il pubblico, invitando alla riflessione sui problemi sociali e ambientali del mondo contemporaneo.

Alla sua installazione, Rena ci ha presentato, purtroppo per necessità, solo quattro fotografie, attraverso le quali ci ha raccontato il suo progetto: “Looking for Satyrus”. Con una voce delicata e decisa, Rena Effendi ha condiviso una storia preziosa ambientata nella regione meridionale tra Azerbaigian e Armenia, un’area da tempo pericolosa a causa della guerra. Qui vive una farfalla molto speciale, che vola solo in questa zona del mondo.

C’è un dottore che studia le farfalle. È morto nel 1991, proprio quando è iniziato il conflitto tra Armenia e Azerbaigian, uno dei conflitti più lunghi in Europa. Non ci sono elementi di pace in quella zona; il cessate il fuoco è stato rotto ripetutamente negli ultimi cinque anni. La guerra è stancante, e io e i miei amici, soprattutto quelli armeni, siamo stanchi di questa situazione. Questo progetto è una dichiarazione contro il conflitto. È un appello affinché l’umanità prevalga sulla divisione.

La guerra è il punto di partenza di questa storia e, da un punto di vista fotografico, è notevole per la scelta di tralasciare il dolore, concentrandosi invece sulla vita e sulla memoria, un’importante forma di archivio personale. La vita è rappresentata da Satyrus Effendi, una specie rara di farfalla che prende il nome da Rustam Effendi, un entomologo sovietico azero e padre di Rena. Rustam, viaggiando attraverso quelle che oggi sono terre di confine contese tra Armenia e Azerbaigian, collezionò decine di migliaia di farfalle nel corso della sua vita. La sua morte nel 1991 coincise con l’inizio di decenni di conflitto nella regione montuosa del Nagorno-Karabakh.

Da oltre tre anni, cerco il luogo dove si trovava mio padre. È una storia personale per me. L’ho perso quando ero un’adolescente, nel 1991, e lui era un ospite molto raro a casa.

Ripercorrendo le orme del padre, Rena Effendi ha attraversato la regione, teatro di guerra, alla ricerca della farfalla Satyrus effendi, che vola lungo la cresta dei monti Zangezur: “Mio padre viaggiava da Baku e attraversava ciò che oggi è il Nagorno-Karabakh. È difficile immaginare un uomo costretto a attraversare confini così complessi. In Azerbaigian ci sono punti di isolamento a causa delle guerre, e ora è impossibile per chiunque varcare questi confini.

Durante questa personale ricerca, Rena ha avuto l’opportunità di conoscere persone da entrambe le parti del fronte, che l’hanno aiutata lungo il percorso, dimostrando che l’umanità prevale anche in luoghi devastati dalla guerra: “Ho chiesto il permesso al Ministero della Difesa e all’Ufficio del Presidente per andare in Armenia per la prima volta nella mia vita come cittadina azera. Ho viaggiato dal lato azero verso il confine. In Armenia, ho incontrato un amico, Parker Khazarian, un armeno originario di Baku. Durante la guerra, ho chiesto alla gente se ricordasse mio padre e alcuni sapevano di lui. Ho seguito Parker in montagna, cercando la farfalla, ma non l’ho trovata. L’ultima volta che qualcuno ha visto questa farfalla è stata nel 2017, quando uno scienziato russo fu arrestato. È una zona molto delicata da navigare, e questo viaggio personale riguarda l’umanità e l’accettazione tra armeni e azeri. La storia parla di trascendere i conflitti e la guerra.

A margine di questa coinvolgente esperienza, proseguendo il nostro tour tra i vari progetti esposti, emerge una riflessione sulla qualità del fotogiornalismo contemporaneo. Ormai ci si imbatte in storie di grande interesse e sebbene siano ricche di significato, spesso sono segnate da una post-produzione eccessiva. Troppo frequentemente, i contrasti sono accentuati e i colori risultano saturi, quasi innaturali. Questa tendenza non si limita solo alla resa visiva: la composizione stessa delle immagini rischia di tradire il vero scopo della narrazione. Molte fotografie, in effetti, appaiono più come scene teatrali che come rappresentazioni autentiche della realtà, trasformando il reportage in un racconto visivamente seducente, ma potenzialmente fuorviante.

Guardando il Wall con le fotografie vincitrici delle edizioni passate del World Press Photo, è facile cogliere gli attuali limiti della comunicazione visiva. Queste immagini, infatti, pur essendo di straordinaria qualità tecnica, a volte sembrano allontanarsi dall’essenza del fotogiornalismo: raccontare storie vere, in modo sincero e diretto. La forza del fotogiornalismo risiede nella sua capacità di trasmettere l’emozione e la verità di un momento, eppure il rischio è che, con l’eccessiva teatralità e le manipolazioni stilistiche, si perda il legame autentico con la realtà.

Dunque, l’invito è quello di tornare all’essenza della narrazione visiva, a valorizzare la storia e le emozioni autentiche piuttosto che a cercare di stupire attraverso effetti visivi eccessivi. La vera bellezza della fotografia, soprattutto in un contesto così critico e importante, è la sua capacità di farci sentire, comprendere e, soprattutto, riflettere.

Federico Emmi

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