Dopo diversi anni, il VIVE – Vittoriano e Palazzo Venezia torna a essere protagonista sulla scena culturale romana con una grande mostra fotografica. Un’iniziativa particolarmente significativa, visto e considerato che al momento l’area di Piazza Venezia è interessata da un importante cantiere per la realizzazione della stazione della metro C. L’esposizione, intitolata “Città aperta 2025. Roma nell’anno del Giubileo“, sarà visitabile, salvo proroghe, fino al 28 settembre presso la Sala Zanardelli del Vittoriano.
La mostra si distingue per la sua originalità: non si tratta infatti di una semplice esposizione, ma di un vero e proprio incarico affidato dal VIVE a tre fotografi di fama internazionale: Diana Bagnoli, Alex Majoli e Paolo Pellegrin. Una committenza diretta da parte di un’istituzione museale, una rarità nel panorama fotografico contemporaneo, che sottolinea l’impegno del VIVE nei confronti dell’arte contemporanea. L’obiettivo è offrire al pubblico una diversa prospettiva su Roma nell’anno del Giubileo, invitandolo a osservare la realtà che lo circonda attraverso gli occhi di questi artisti. La città di Roma, infatti, viene interpretata come un luogo aperto e accogliente, un’idea che si sposa perfettamente con lo spirito del Giubileo. Le oltre 200 immagini esposte, che alternano stili e formati diversi, raccontano un periodo storico unico, segnato da eventi di rilievo come la morte di papa Francesco e la successiva elezione di papa Leone XIV. I tre fotografi hanno saputo cogliere l’atmosfera di questo momento di eccezionalità storica, documentando la forza di una ritualità antica che si mescola con una coinvolgente attualità. Diana Bagnoli, in particolare, si concentra sulle diverse comunità multietniche che animano la città, raccontando un misticismo mobile e itinerante. Alex Majoli ha invece fotografato la “scena drammaturgica” del Giubileo, come se fosse un teatro dove la storia si sta compiendo. Infine, Paolo Pellegrin ha fotografato la città dalle monumentalità classiche alle periferie. Un percorso espositivo che si estende oltre le sale del Vittoriano, raggiungendo anche il giardino di Palazzo Venezia, dove una serie di totem fotografici crea un legame visivo tra le due sedi. A completare l’esperienza, tre video documentano il processo creativo di ciascun fotografo, mentre un testo inedito del poeta Valerio Magrelli scorre su un grande ledwall. La mostra è inoltre accompagnata da un catalogo edito da Contrasto, arricchito dai contributi della Direttrice Edith Gabrielli, di Valerio Magrelli, di Alessandra Mauro e Roberto Koch.
Vorrei dedicare qualche parola ai tre lavori che compongono questa mostra, molto interessante nella sua concezione complessiva. Ciascuno di essi è un reportage realizzato in tempi molto rapidi: dall’idea iniziale della direttrice Edith Gabrielli all’inaugurazione sono infatti trascorsi appena sei mesi. Un periodo che ha costretto i tre fotografi a lavorare con ritmo serrato e che ha imposto tempi altrettanto stringenti anche ai due curatori, Alessandra Mauro e Roberto Koch, figure di grande rilievo nella curatela fotografica nazionale, che ancora una volta non hanno deluso le aspettative.
Come anticipato, ognuno dei tre fotografi ha scelto di raccontare un aspetto diverso di Roma nell’anno del Giubileo: Alex Maioli e Paolo Pellegrin lavorando in bianco e nero, mentre Diana Bagnoli ha preferito il colore. Sebbene i due curatori abbiano creato un filo conduttore che lega i tre reportage, ciascuno di essi può essere apprezzato anche singolarmente, a prescindere dal tema; e all’interno di ogni lavoro, le immagini funzionano tanto come parte del racconto quanto nella loro autonomia.
Il progetto di Paolo Pellegrin è quello che richiede lo sforzo interpretativo maggiore: “volevo arrivare a un’idea di assoluto attraverso la sottrazione dell’umano”. Molte delle sue fotografie sono autentiche perle — penso, ad esempio, a quella del Colosseo, con un’inquadratura davvero originale — ma nel complesso risulta abbastanza difficile contestualizzarle rispetto al tema. In queste immagini non si percepisce una vera sottrazione dell’umano, quanto piuttosto una semplice assenza di persone, e sono due concetti diversi. Non emerge una città onirica o immaginata, bensì una Roma documentata in diversi luoghi: alcuni celebri, altri marginali; alcuni monumentali, altri periferici. In questa alternanza, tuttavia, manca un tratto distintivo capace di far emergere immediatamente l’identità della Roma giubilare.
Tale identità si chiarisce e acquista senso proprio con il lavoro di Alex Maioli, le cui fotografie sono animate principalmente dalla presenza delle persone. È attraverso questo sguardo che il lavoro di Pellegrin diventa comprensibile. Il reportage di Maioli lascia la Roma monumentale e quella della periferia, per certi aspetti la città dei turisti a quella dei romani, per concentrarsi su piazza San Pietro e i luoghi della preghiera e della spiritualità. Il reportage è molto bello e mostra anche due modi di lavorare di Maioli completamente diversi – per necessità – rispetto ai quali, però, i curatori sono riusciti a trovare una soluzione di continuità, il risultato è di grande impatto: “Per me il senso della fotografia è portare nuove immagini nella nostra società, domandarsi cose, creare un dialogo.” Si passa infatti dalla committenza all’assignement, due anime diverse in cui convivono immagini molto statiche e altre estremamente dinamiche. Da un lato, via Marsala, che per Maioli diventa simbolo dell’incontro fra pellegrini, viaggiatori e senzatetto, in una fotografia frutto di un montaggio, cioè staged; dall’altro, l’immagine di Papa Francesco che benedice i fedeli nel giorno di Pasqua, l’ultimo della sua vita, giunto in piazza San Pietro del tutto inaspettatamente.
A completare la mostra, il reportage di Diana Bagnoli, che sceglie il colore e lo sfrutta con intelligenza per trasformare Roma nella Città Aperta: una città dove persone provenienti da ogni parte del mondo convivono con le proprie tradizioni, la propria spiritualità, la propria lingua. Il risultato è un sentimento di universalità e condivisione, perfettamente in linea con lo spirito del Giubileo. Le sue fotografie ritraggono persone che potresti incontrare in tanti luoghi del pianeta: la Città Aperta di Diana Bagnoli è, in fondo, il mondo stesso. Non a caso, la locandina della mostra è una sua immagine, meravigliosa nella sua capacità di rappresentare l’apertura: “Il mio progetto sul Giubileo racconta i pellegrini, quei viandanti sia fisici che spirituali che, con il loro viaggio, vanno oltre il semplice movimento da un luogo all’altro.”
Federico Emmi