È partita la seconda edizione della Biennale di Fotografia al Femminile, a Mantova

Nella giornata internazionale della Donna, Discorsi Fotografici porta alla vostra attenzione un evento da non perdere: a Mantova ha aperto da pochi giorni la Biennale di Fotografia Femminile (BFF), che è visitabile sino al 27 di Marzo ed oggi offre gratuitamente (grazie allo sponsor FujiFilm) la visita alle mostre presso la Casa del Mantegna, una della location che ospitano il festival (via G. Acerbi, 47; dalle 10,00 alle 18,00).

Diretta artisticamente dalla curatrice Alessia Locatelli, promossa dalla Associazione La Papessa, la Biennale ha il sostegno del Comune di Mantova, della Provincia di Mantova e Regione Lombardia, Fujifilm, Diego Della Palma, Fond. Banca Agricola Mantovana, Fond. Comunità Mantovana Onlus.

L’intento di offrire uno spazio tutto al femminile in un festival che ospiti solo fotografe ed escluda autori maschili non è un’operazione femminista (femminismo cui devono molto le donne di oggi ma forse distante storicamente parlando) e, certamente, non vuole essere in alcun modo settario. Questo festival, infatti, non ci è parsa un’operazione di risentita esclusione dell’altra metà del cielo e forse neppure di pura rivendicazione, ma piuttosto una asserzione, corale e per questo forte, dello sguardo femminile, cui non può che seguire la naturale e fisiologica inclusione di questi lavori nel panorama artistico e fotografico. Questo, primo fra tutti, è a parere nostro il maggiore e notevole pregio che non può che essere un presupposto fondamentale affinché la BFF divenga un appuntamento rilevante anche negli anni futuri. Come si legge nel catalogo della mostra edito da Emuse, la curatrice Alessia Locatelli afferma infatti: «L’ambizione è di rendere il foto Festival di Mantova una necessità e un solido punto di riferimento, in Italia e nel mondo, nella sensibilizzazione riguardo alle tematiche di parità nelle opportunità e libertà di essere ciò che si vuole, e, al contempo, offrire occasioni di sviluppo professionale nell’ambito delle arti visive contemporanee.».

Nel corso della preview per la stampa, con non poca commozione unita ad altrettanto entusiasmo la curatrice del Festival, che ci ha accompagnato in un giro guidato alle mostre, ha dichiarato la sua enorme soddisfazione di essere riuscita a dare avvio alla seconda edizione della Biennale, dopo la rinuncia all’apertura in presenza della prima edizione, a causa dello scoppio della pandemia da Covid-19 a pochi giorni dall’inizio previsto per il 2020.

Anna Volpi, presidentessa dell’Associazione La Papessa, scrive: «Portiamo a Mantova artiste con storie molto diverse, background culturali e origini lontani tra loro e siamo sicuri che questo crocevia di progetti e passioni regalerà a tutti i visitatori, da Mantova o dal resto d’Italia e del mondo, un’eredità importante (o Legacy che dir si voglia), un terreno fertile dal quale germoglieranno nuove visioni che arricchiranno il nostro futuro.».

È stata proprio la forzata rinuncia alla prima edizione a suggerire il tema “Legacy” come fil rouge delle mostre ospitate nella seconda edizione appena avviatasi. “Legacy” la cui traduzione in italiano può essere “eredità” o “lascito” é dunque una riflessione sul passaggio del testimone tra generazioni, tra eventi; una riflessione della connessione tra passato e presente e tra presente e futuro, incerto ma condizionabile dalle nostre azioni oggi. 

Le declinazioni di questo concetto nei lavori esposti in mostra a Mantova sono svariate, ma il focus proposto è sempre centratissimo, cosa che riteniamo essere un altro grande pregio di questa edizione.

Altrettanto notevole è la logistica della mostre: le 12 esposizioni presenti sono visitabili comodamente nell’arco di una giornata, con il dovuto tempo per godere come meritano della visione, ed accompagnano il visitatore in luoghi che hanno di per sé un grande fascino: dalla Casa del Mantegna alla Galleria dei Disegni, dallo Spazio Arrivabene 2 al Palazzo Te, per citarne solo alcuni; il piacere di ammirare lo spessore dei lavori fotografici si unisce a quello di camminare per le vie di Mantova assaporando la bellezza dei luoghi che ospitano le mostre e che hanno sempre trovato coerenza nell’estetica degli allestimenti ad opera dalla curatrice.

Entrando nel vivo delle mostre, il festival propone artiste nazionali ed internazionali, con progetti conclusi o ancora in corso.

Daniella Zalcman, fotografa documentarista vietnamita-americana e fondatrice di Women Photograph, presenta “Signs of Your Identity”; un lavoro di ritratto tramite doppie esposizioni o elaborazioni grafiche di alcuni nativi indiani sopravvissuti alle sevizie, abusi e maltrattamenti subiti da bimbi nei collegi ad assimilazione forzata per bambini indigeni in Canada e Stati Uniti. Un lavoro lirico e di grande impatto emotivo, ma anche di notevole spessore documentativo grazie alle didascalie.

dal lavoro "Signs of Your Identity" - © Daniella Zalcman
dal lavoro “Signs of Your Identity” – © Daniella Zalcman
dal lavoro "Signs of Your Identity" - © Daniella Zalcman
dal lavoro “Signs of Your Identity” – © Daniella Zalcman

L’iraniana Fatemeh Behboudi, con un progetto ongoing iniziato nel 2014, presenta un lavoro dai bianchi e neri contrastati, “The War is Still Alive”, che racconta il dolore delle madri che da oltre tre decadi attendono il ritorno del feretro dei figli perduti nel conflitto Iran-Iraq. Il tema “Legacy” pienamente centrato, trova la sua apoteosi nella fotografia ritraente il rito di un matrimonio che si svolge in un cimitero.

dal lavoro “The War is Still Alive” - ©Fatemeh Behboudi
dal lavoro “The War is Still Alive” – ©Fatemeh Behboudi
dal lavoro “The War is Still Alive” - ©Fatemeh Behboudi
dal lavoro “The War is Still Alive” – ©Fatemeh Behboudi

Solmaz Daryani, con il suo “The Eyes of Earth (The Death of Lake Urmia)”, ci mostra la sparizione del lago Urmia, Iran, a causa dei cambiamenti climatici. Un fenomeno che non narra soltanto una problematica ambientale, ma anche una storia familiare, rafforzando in questo modo il tema del festival: il lago, infatti, un tempo era una fiorente destinazione turistica, un mezzo di sostentamento per numerose famiglie, compresa quella della fotografa. 

Tami Aftab, londinese, ci accompagna in una storia tutta privata: quella del padre che in seguito ad un’emorragia interna nel corso di un’operazione ha subito un danno permanente alla memoria a breve termine. “The Dog’s in the Car” è il titolo della mostra, e quello che urla di solito la madre della fotografa, quando Tony, il padre, corre per casa, dentro e fuori dal giardino, pensando di aver perso Rudi, il loro cane, mentre semplicemente lo ha dimenticato in auto. Fotografie fresche, tenere, a volte giocose per trattare una realtà certamente non facile.

dal lavoro "The Dog's In The Car" © Tami Aftab
dal lavoro “The Dog’s In The Car” © Tami Aftab
“Balance” dal lavoro di © Tami Aftab, “The Dog’s in The Car”

Sarah Blesner presenta alla BFF il suo “Beckon Us from Home”, iniziato nel 2017 ed ancora in corso: un lavoro di storytelling di grande suggestione che si sviluppa attorno all’adolescenza raccontando le sfumature di un’età in crescita e l’innocente spensieratezza delle/i cadette/i militari tra Russia e USA. Scuole che a volte costituiscono per i ragazzi l’unica via d’uscita dal “nulla” nel quale si sentono immersi. Pregevole la scelta di non dividere le fotografie scattate in USA, da quelle scattate in Russia, proprio per dare maggior rilievo all’intento dichiarato dalla stessa fotografa di «riaccendere il dialogo sulla retorica nazionalista che dilaga in tutto il mondo.».

Da "Beckon Us from Home" ©Sarah Blesener. Students compete at the "Inspection of Singing and Marching" competition at the gymnasium of School #6 for students in the Dmitrov region, a suburb of Moscow, Dmitrov, Russia, 14 Dec 2016.
Da “Beckon Us from Home” ©Sarah Blesener
Students stand ready as a teacher observes how quickly they can dress in gask masks, 4 Apr 2016, School #7, Dmitrov, Russia. Dal lavoro "Beckon Us From Home" di © Sarah Blesner
“Morning Drills”, dal lavoro “Beckon Us From Home” di © Sarah Blesener
"Reenactment at Rest" , dal lavoro "Beckon Us from Home" di © Sarah Blesener .A unit dresses to re-enact Soviet Russia during WWII as part of their historical education. Военно-Исторический Лагерь Бородино 2016, the Historical-War Camp, in Borodino, Russia. 26 July 2016. The camp offers reenactments of historical periods of war. Borodino is famous for a battle fought on 7 Sep 1812 - the deadliest day of the Napoleonic Wars. 350 adolescents are in attendance, ranging in ages from 11 to 17, and lasts throughout the summer. Students learn a variety of skills from tactical training in handguns, loading and unloading automatic guns, physical endurance, knife throwing, and others. The project statement of the camp says: "To awaken in the younger generation a keen interest in the history of the Fatherland, the glorious deeds of our ancestors, to facilitate the expansion of military-historical knowledge."
“Reenactment at Rest” , dal lavoro “Beckon Us from Home” di © Sarah Blesener

Ilvy Njiokiktjien, fotografa olandese, con un lavoro realizzato tra il 2007 ed il 2019 dal titolo “Born Free”, ci presenta un intero mondo, quello del convivere con l’eredità della disuguaglianza nel paese dell’apartheid, il Sudafrica. Gli scatti realizzati a colori entrano nella vita, nei divertimenti, nelle scuole per mostrarci la prima generazione nata libera, la cui sfida sarà realizzare l’eredità di Mandela di una “Nazione Arcobaleno”.

Da "Born Free" di ©Ilvy Njiokiktjien.Kommandokorps in South Africa organizes camps during school holidays for young white Afrikaner teenagers, teaching them self-defence and how to combat a perceived black enemy. The group’s leader, self-proclaimed ‘Colonel’ Franz Jooste, served with the South African Defence Force under the old apartheid regime and eschews the vision of a multicultural nation. Photo by Ilvy Njiokiktjien About the BORN FREE feature: Children born in South Africa around 1994 are part of the Born Free Generation. This generation, the first to be born after apartheid, is supposed to bring unity and change to the country. They are Mandela’s human legacy: the first generation in which every South African has the same opportunities and racial segregation, on paper, is a thing of the past. They were to be the face of a new, free, and successful South Africa. Nelson Mandela always had a big heart for the youth, and would often refer to his dreams for the youth in his speeches. In this feature the born frees question the outcome of the dream Mandela had for them. They also talk about modern day racism; What is it like to be black, or colored in this modern day world? The South African story has many connections to other race related stories around the world. Many born frees live successful lives, and are making careers that they wouldn't have been able to do during the old racist regime. There is a big group that is thriving in the new South Africa. But at the same time, there is still a long way to go. Corruption, crime and poverty are keeping many of the born frees captive. Instead of enjoying freedom and prosperity, this ‘born free generation’ struggles —sometimes even more than their parents— with unemployment and inequality. Official segregation may be a thing of the past, but class segregation seems to have taken its place. And for many South Africans, childhood is a time shaped by extreme violence and the aftermath of HIV and AIDS. Note: More text available upon req
Da “Born Free” di ©Ilvy Njiokiktjien
dal lavoro "Born Free", di © Ilvy Njiokiktjien
dal lavoro “Born Free”, di © Ilvy Njiokiktjien
dal lavoro "Born Free" di ©Ilvy NjiokiktjienWilmarie Deetlefs (24) together with her boyfriend Zakithi Buthelezi (27) on a night out in Johannesburg, South Africa. Zakithi Buthelezi (27) notices people often treat him differently once they find out he has a white girlfriend. Friendlier, more interested. It gets him respect. For Wilmarie Deetlefs (24) – his girlfriend – it’s mostly the other way around. “Go get yourself a man of your own color,” she once had a taxi driver snarl at her. “So you like them darker” or “I see you like your vanilla”, are comments they hear a lot. These may be harmless jokes to the people saying them, but such remarks still frustrate the couple. “They are basically saying this is something out of the ordinary. But it’s not”, says Deetlefs. “It’s just two people connected,” Buthelezi adds. “But those are little things,” they put it into perspective. “It’s not like prosecution”. Which is what they could have faced under apartheid laws, where interracial relationships were prohibited. “I would have totally sneaked around for you though,” Deetlefs adds, laughing. Five months into their relationship – “a Tinder success story” – Deetlefs hasn’t yet told her parents about it. “The previous relationship I had with someone who wasn’t white, my dad took it so weirdly, strangely personal. She blames it on the conservative mentality in the small rural town where she grew up, and where her parents still live. “People gossip and say really mean things. That’s why I have no friends back there, and I never had friends growing up, because I could not connect with those people.” Deetlefs listens as Buthelezi – grandson to prominent Zulu leader Mangosuthu Buthelezi and destined to one day take over his role – talks about his people’s culture and history. “It’s such a cool legacy to have, that you get to be proud of your culture. I’m happy for you,” she responds. She never cared much for her Afrikaner background, history and
dal lavoro “Born Free” di ©Ilvy Njiokiktjien

Myriam Meloni, italiana, propone una mostra dal titolo “Insane Security”. Formatasi come avvocato presso l’Università di Bologna e specializzata in criminologia a Barcellona, dopo essersi avvicinata alla fotografia ed essersi trasferita in Argentina, ha concentrato il suo lavoro in mostra sulla tensione constante tra la protezione del diritto alla inviolabilità dell’integrazione fisica dell’individuo e l’uso effettivo della forza da parte degli organismi di sicurezza. L’allestimento è molto articolato, perché ogni storia è racconta attraverso un testo, un ritratto ed un’altra immagine evocativa della situazione della persona vittima di soprusi da parte della polizia. A latere della mostra, in un piccolo stanzino la fotografa ha voluto raccontare sui muri anche le storie ancora scottanti di Carlo Giuliani, Federico Aldovrandi e Stefano Cucchi, poiché l’uso della violenza da parte delle forze della polizia oltre ad essere purtroppo non sono un problema argentino è anche un tema che sta molto a cuore all’autrice. 

Italiana anche Flavia Rossi, che presenta il progetto iniziato nel 2018 e ancora in corso “Nuovo Patrimonio”. Il lavoro documenta i beni culturali e le architetture vittime de terremoto che nel 2016 ha colpito il centro Italia; le foto mostrano edifici, chiese, torri, puntellati per scongiurarne il collasso strutturale. Il risultato è una nuova forma ibrida di architettura, costruendo un nuovo patrimonio visivo, soprattutto in ragione del fatto che gli edifici stampellati lo sono da lungo tempo.

dal lavoro “Nuovo Patrimonio” di ©Flavia Rossi
dal lavoro “Nuovo Patrimonio” di ©Flavia Rossi

Esther Ruth Mbabazi, ugandese, ci proietta nel mondo giovane ed LGBTQ+ africano con il suo “This Time We Are Young”. L’Africa, con il 60% della popolazione al di sotto dei 25 anni, è un’area il cui futuro si lega fortemente ad una tradizione da rielaborare, attualizzare e vivere in tutte le sue implicazioni quotidiane.  Il progetto, iniziato nel 2017, prosegue tuttora e ha coinvolto anche i giovani africani in Europa. 

dal lavoro "This Time We Are Young" di ©Esther Ruth Mbabazi
dal lavoro “This Time We Are Young” di ©Esther Ruth Mbabazi

Delphine Diallo, artista franco-senegalese, ha in mostra una serie di ritratti, “Highness”. L’autrice attinge all’antropologia, alla mitologia e all’iconografia tradizionale per ampliare il suo punto di osservazione, integrando le nuove suggestioni in maniera trasversale alla pura indagine fotografica, nel tentativo di smantellare lo stereotipo e le sovrastrutture della costruzione sociale fuori dal tempo lineare della tradizione attraverso un processo di ricerca personale. Ogni ritratto, infatti, le impegna molto tempo per la ricerca, tra i due ed i sei mesi, ed anche la sua esecuzione ha tempi lunghi per creare una relazione con il suo soggetto.

Betty Colombo, italiana, fotoreporter e Canon Ambassador, ci propone un lavoro molto particolare: “Riparazione”. Le foto che ha portato in mostra appartengono a più serie: la prima racconta di un territorio colpito da un incendio e poi rinato; un bosco che torna a respirare. La seconda, dai toni quasi caravaggeschi, ci propone foto di un trapianto di polmone; un uomo muore e lascia a un altro l’ultimo respiro dei suoi polmoni; non solo, sia appese in sala, che visibili attraverso un visore VR per la prima volta al mondo disponibile, la fotografa ci propone foto dei nostri organi interni: intestino, cuore, fegato, cervello. La bellezza che ci caratterizza anche nel nostro interno. Un punto di vista veramente originale. La terza narra del salvataggio di un animale da parte di un veterinario e l’ultima mostra un intervento di chirurgia plastica ricostruttiva in seguito ad un’ustione, riportandoci al bosco incendiato della prima seria.

Betty Colombo, autrice in mostra alla seconda edizione del BFF, a Mantova. (foto di ©Luisa Raimondi)
Da “Riparazione” ©Betty Colombo
da "Riparazione" ©Betty Colombo
da “Riparazione” ©Betty Colombo

Infine in mostra una mostra a più voci dal collettivo “Lumina”. Fondato nel 2017, è composto da individui che si identificano come donna o non binarie che porno la strada alla narrazione visiva e alla sua diffusione, con il principale obiettivo di rivelare storie e narrazioni diverse all’interno del paesaggio australiano e non solo per costruire capacità attraverso la collaborazione e la comunità. Qui presentano “Echoes”, che pone domande sull’idea di identità attraverso esplorazioni nella storia delle famiglie, nel trauma, la perdita, la migrazione, nozioni di casa e la formazione di identità australiane in contesti sociali e culturali.

©Lumina - As children my sister and I spent hours in the bush, and by the ocean. After her loss I sought to regain the connection to the landscape that existed in my memory and reflected in our origins, a desire to be clear again in my understanding of it. The landscape holds an ordering power and in it, reflected back at me, is survival. Survival born from the nostalgia of past and happy moments, moments now forever altered, yet captured and transformed photographically, that hold in them the depth of love and connection I have for my sister. My sister was thirty-five when her life was taken. Her future has been lost and the past and our childhood has been altered and affected. The knowledge and weight of our history has only one side now, one gaze, and one recollection. Here I accompany my sister in story, photos of myself as a child mirror and connect with those of Daniela. We break silence together, identities entwined.
©Lumina
©Lumina - ‘This work is a polemical exploration into the sexual and bodily narrative prescribed from adolescence to early adulthood. A lived experience that has had passivity, submission and obedience inculcated into the undercurrents of my being. Using the 1932 The Encyclopaedia of Sex Practice, by Doctor Norman Haire, as a framework to position the images and text I endeavour to revise the narrative from one of docility to one of ownership and active decision making.’
©Lumina

BFF non è soltanto mostre, tuttavia.

È incontri e conferenze, workshop (Letizia Battaglia, Simona Ghizzoni, Betty Colombo, Daniella Zalcman, Myriam Meloni, per citarne alcuni), presentazione di libri (Stefania Prandi, la rivista Il Sublimista, Barbara Bachman e Franziska Gilli, Patrizia Pulga, Elisa Cuter, Mulieris Magazine ed Arianna Todisco), letture portfolio (da parte di Daria Bonera, Denis Curti, Francesca Marani, Cecilia Pratizzoli e Daniella Zalcaman) , proiezioni (in collaborazione con Sky Arte verranno proiettate la otto puntate della serie “Le Fotografe: otto fotografe italiane e il loro lavoro”, ed anche il docufilm “Appuntamento ai Marinai” di Ariam Tekle).

È Premio MUSA, che seleziona e premia fotografe invitate a scrivere con le loro immagini il racconto del coraggio, della fantasia, del non visibile, della curiosità, attingendo alle proprie storie o a quello che osservano quotidianamente.

È anche “Ritratti walk in“; in collaborazione con Diego Della Palma e la fotografa Roselena Ramistella, il 19 Marzo ci sarà un’intera giornata per le donne che vorranno essere truccate e poi fotografate, per raccontarsi attraverso un’immagine e con l’hashtag #labellezzaèunabugia.

Vi invitiamo caldamente a visitare il molto ben fatto sito del Festival, bffmantova.com, per non perdervi nulla di quanto offre ed organizzare la vostra visita a Mantova.

Luisa Raimondi

BIGLIETTERIA 

Intero: 15€

Soci La Papessa: 12€

Soci Riaperture, Irfoss APS, La Ghiacciaia, Frammenti di Fotografia, Fotocineclub, Nshot Academy: 13€

Soci Coop: 14€

Fino a 12 anni: gratis, da 13 a 24 anni e over 65: 13€

Persone con disabilità e accompagnatori: gratis

Orari:

Casa del Mantegna: dalle 10 alle 18

Palazzo Te, Tinelli: dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 19

Ex Chiesa della Madonna della Vittoria: dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 19

Casa di Rigoletto: dalle 9 alle 18

Galleria Disegno: dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 19

Casa del Pittore: dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 19

Spazio Arrivabene 2: dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 19

Mostre aperte tutti i venerdì, sabato e domenica di marzo: 4, 5, 6, 11, 12, 13, 18, 19, 20, 25, 26, 27

8 marzo ingresso gratuito solo Casa del Mantegna | ore 10-18 continuato

Biglietto Casa del Mantegna solo i giovedì

Intero: 10€

Soci La Papessa: 7€

Soci Coop: 9€

Soci Riaperture, Irfoss APS, La Ghiacciaia, Frammenti di Fotografia, Fotocineclub, Nshot Academy: 8€

Fino a 12 anni: gratis

Over 65: 8€

Persone con disabilità e accompagnatori: gratis

La biglietteria si trova presso Casa del Mantegna