Il fotografo è senza dubbio colui che sta dietro la macchina fotografica.
Un tempo era addirittura nascosto dietro al panno nero, perso dentro di esso come un uomo primitivo nella grotta di Lascaux, a tracciare i suoi “disegni” e a rappresentare la sua visione del mondo. Visione in cui si riconosce in quanto l’ha partorita in immagine e, dunque, nella quale “si vede”, vede sé stesso.
«Fotografo, dunque esisto», potremmo affermare? Perché no?
Anche i fotografi, tuttavia, sono stati ritratti e fotografati, dunque non sono condannati a restare dietro la loro fotocamera.
Discorsi Fotografici vi accompagna in un viaggio di fotografi famosi ripresi da altri altrettanto noti fotografi, trascinandovi in un gioco interessante dove la questione del “di” (fotografia di) o del “da” (fotografato da) può davvero tradursi nell’imbarazzo di non sapere se personalmente attribuire maggior valore all’immagine perché è stata fatta dal fotografo che tanto amiamo o, piuttosto, perché contiene il volto o la persona di un altro fotografo per noi speciale (in merito al “di” e “da” si legga “L’infinito istante”, di Geoff Dyer).
La questione da porre di fronte ad una fotografia, in fondo, è sempre la stessa: siamo certi di vedere il soggetto o piuttosto vediamo la sua immagine, anzi, una sua immagine, delle tante possibili? Cosa vediamo dunque? In questi casi, chi vediamo? C’è chi sostiene che il soggetto di un ritratto sia sempre e comunque l’autore della fotografia.
Quanto sopra vuole essere solo una sorta di “avvertenza per l’uso”, onde non farsi trascinare in letture sbagliate o, forse, inconsapevoli e senza mai dimenticarci che quello che abbiamo di fronte è sempre una immagine, con tutto il diritto di acquisire vita propria. È indubbio e sacrosanto che la fotografia di nostro figlio, ad esempio, per noi rappresenti qualcosa di diverso rispetto a quella di un perfetto sconosciuto; o che si conservi come un talismano, se mai dovesse capitarci, un ritratto fotografico realizzato alla nostra persona da un autore famoso.
La visione di una immagine, insomma, può compiacere diversi punti di vista ed esigenze.
Prendiamo un ritratto, uno a caso: quello di Ansel Adams a Edward Weston. Un conto è vedere questa immagine in una mostra retrospettiva dedicata al grande fotografo inventore del sistema zonale; un altro vederla in una mostra dedicata al fotografo amante della Modotti. Nel primo caso avremo probabilmente una fotografia di Ansel Adams, nel secondo Edward Weston fotografato da Ansel Adams.
E se non conoscessimo il volto di Weston, né il suo nome, al pari di quello di Adams?
Resterebbe l’immagine, autonoma e sopra tutti. Anzi, per dirla tutta: resterebbe lei e noi a contemplarla. Senza qualcuno che la guardi, in fondo, una fotografia non esiste davvero.
Per chi è amante della fotografia, tuttavia, la storia e gli aneddoti che riguardano i nostri beniamini sono sempre una chicca, ed è questo che vogliamo offrirvi, tramite questo viaggio nelle fotografie di fotografi a fotografi.
Iniziamo la nostra incursione nelle “fotografie di/fotografati da” proprio dal ritratto sopra citato: Weston, ripreso da Ansel Adams. Weston, sedici anni più anziano di Adams, incontra quest’ultimo ad una cena, nel 1928; nel corso della loro esistenza si sono frequentati e stimati, dando origine ad una solida amicizia. Weston chiedeva consigli tecnici ad Adams, Adams ne apprezzava la semplicità e il modo in cui fotografava soggetti naturali, come i porri (“Leeks”, 1927) che Virginia Adams, moglie di Ansel, aveva appeso ai piedi delle scale fuori dalla sua camera da letto a Carmel, California. Nel 1937 Adams e Weston visitarono insieme lo Yosemite Park, per fotografare.
Fu scattata lì, da Weston, la nota fotografia alla moglie Charis, ma anche Adams le fece un ritratto, con lo stesso maglione e foulard sulla testa; c’è anche una foto scattata da Adams a Weston, scherzoso mentre guarda le zanzare intorno a sé !
Il ritratto che vi proponiamo, invece, fu volutamente cercato da Adams e fu Charis a condurlo dove è stato realizzato, dopo che Adams le chiese un luogo “to make a really good photograph of Edward”. Si tratta del luogo dove lo stesso anno Weston aveva fotografato la sua “Eucalyptus Tree and Roots”.
Esistono anche fotografie fatte da Weston a Adams, come quelle che gli scattò nel 1943 e che suscitarono la sua ilarità perché sbarbato.
Certo tra le fotografie ad altri fotografi più famose, fatte da Weston, ci sono quelle a Tina Modotti, anche se all’epoca in cui fu ritratta, lei non era ancora la fotografa che conosciamo oggi, ma stava muovendo i primi passi entusiasti come assistente di Weston ed anche come modella, oltre ad essere sua amante.
Adams ha diversi ritratti di sé, uno dei più famosi, per inciso, è stato scattato dal grande fotografo ritrattista, Arnold Newman, re del ritratto ambientato, proprio a Carmel, dove Ansel indossa il grembiulone tipico di chi lavora in camera oscura tra acidi e bacinelle.
Arnold Newman, peraltro, ha fotografato molti altri colleghi, come Bill Brandt, Henri Cartier Bresson, o Man Ray.
Adams, che conosciamo perlopiù per i suoi paesaggi dai meravigliosi bianchi e neri, amava in realtà fotografare i colleghi.
Suo questo ritratto a Alfred Stieglitz, del 1935; una rara immagine dello stesso sorridente, forse perché, come racconta lo stesso Adams, avesse occhieggiato la sua nuova Zeiss Contax 35 mm: «If I had a camera like that I would close this place up [per inciso, si trovavano nella galleria di Stieglitz, la “An American place”]and be out in the streets of the city!» («Se avessi una fotocamera come quella, chiuderei questo posto e sarei fuori per le strade della città!»).
Stieglitz è stato molto fotografato dai suoi colleghi. Ci sono ritratti di lui fatti da Paul Strand (a proposito anche loro hanno fatto foto alle rispettive mogli, decisamente diverse da quelle di Charis), cui anche Stieglitz dedicò ritratti.
Stieglitz fu fotografato da Steichen nel 1907 e nel 1911; nel 1934 da Imogen Cunningham, che lo ritrae accanto ad un quadro della compagna Georgia O’Keefee; da Weegee che lo fotografa durante una delle sue fasi depressive («Il mio è cuore malato» disse, lasciandosi cadere su una branda e lì Weegee lo riprese); ancora da Henri Cartier Bresson, che riesce a riprenderlo non bardato dal consueto cappotto, rilassato.
Tornando ad Adams, anni più tardi, avrebbe fotografato un’altra “icona” della fotografia: Jacques Henri Lartigue. Il colpaccio gli riuscì nel 1974 non lontano da una cittadina ancora tanto amata da chi vive la fotografia, Arles, cui fu invitato da Lucien Clergue in occasione dal Festival of the Arts. Nel corso di una visita fotografica in Camargue, che Ansel trovò poco invitante fotograficamente, ebbe la fortuna di pranzare deliziosamente insieme a Lartigue, che intrattenne Adams grazie ad un inglese fluente. Di lui Adams dice «His work and mine are vastly different in almost every way, yet I feel a warm empathy with him because of a mutual dedication to life and perception, my severe Yankee background is enlivened by his Gallic enthusiasms and his creative optisms». («Il suo ed il mio lavoro sono profondamente diversi sotto quasi tutti i punti di vista, eppure provo per lui una calorosa empatia a causa della reciproca dedizione alla vita e alla percezione, il mio severo background di Yankee è rivitalizzato dal suo entusiasmo gallico e dal suo ottimismo creativo.»)
Nell’intenso sguardo di Lartigue fotografatato da Jeanloup Sieffe, pare davvero ritrovare quanto ci racconta Adams.
A proposito di J. H. Lartigue, come non citare un suo ritratto ad un fotografo che, in quanto a ritratto, possiamo quasi definire una divinità: Richard Avedon?
Fu in realtà Avedon, nel 1966, ad invitare Lartigue nel suo studio; da questo primo incontro scaturisce tutta la loro amicizia. Una fotografia dove Avedon sa di posare, come in un’istantanea, alla maniera “lartigueiana” (geniale Avedon che fa ritratti anche quando sono altri a fotografarlo!), ma dove ritroviamo anche tanto Avedon. Una sorta di divertimento, tra i due, che furono comunque legati da rapporto di natura professionale: fu Avedon che concepì e curò l’uscita di “Diary of a century”, che portò Lartigue alla notorietà nel mondo.
Tra i tantissimi e notevoli ritratti di Avedon, troviamo anche un ritratto a Robert Frank. Geoff Dyer, nel suo “L’infinito istante” ci racconta che tra i visitatori al Metropolitan Museum of Art di New York, nel 2002, pochi riconobbero lo spettinato Frank; potremmo dunque dire che questa immagine era una fotografia di Avedon, piuttosto che di Frank rirtratto da Avedon.
Di Robert Frank abbiamo anche una bellissima fotografia scattatata da Erwitt, che lo sorprende ballare in cucina con la moglie Mary Lockspeiser; uno scatto rubato ad un amico conosciuto nel 1947 sulla nave che portava entrambi in America dalla Francia. Una curiosità: l’immagine è stata utilizzata come cover del terzo disco solista di Mark Knopfler “The Ragpicker’s dream”, come copertina del libro “The marriage artist” di Andrew Winer e “Ancient light” di John Banville.
Se con Elliott Erwitt vogliamo restare, il fotografo realizza una tenerissima istantanea a Edward Steichen, suo mentore, insieme a sua figlia Ellen. Inserita nella recente mostra su Erwitt, conclusasi al Mudec di Milano, “Family”, è facile ritrovare sia l’autore, che il fotografo ritratto: quale migliore fotografia, se non una di famiglia, per colui che ha realizzato il famoso progetto “The Family of Man” nel 1955 (nel quale, peraltro, sono incluse anche fotografie fatte da Erwitt)?
Fuori dal metaforico panno nero di cui si parlava agli inizi, anche il fotografo può dunque davvero trovare e venire alla luce.
Se sono i volti dei fotografi che cercate, un utile suggerimento è sfogliare il libro “On the other side of the camera”: ritratti del fotografo Arnold Crane a tanti colleghi, famosi fotografi (in copertina un insolito Man Ray); se leggere qualcuna di queste storie vi ha emozionato, vi lasciamo a questo breve video scovato su youtube, Old boys: potrebbe commuovervi e convincervi ad avventuravi nella storia della fotografia anche tramite questa curiosa traccia che vi abbiamo proposto, appena accennata.
Buone ricerche.
Luisa Raimondi