Fotografia Europea, edizione 2022

«Imparavo finalmente, nel cuore dell’inverno, che c’era in me un’invincibile estate.» È a questa frase di Albert Camus che si ispira la XVII Edizione di Fotografia Europea, a Reggio Emilia, curata da Walter Guadagnini e Tim Clark.

Da oggi 29 Aprile e sino al 12 Giugno il Festival emiliano torna all’insegna delle forze interiori che ci portano verso quell’”invincibile estate” al cuore dell’uomo.

Promosso e prodotto da Fondazione Palazzo Magnani con il Comune di Reggio Emilia ed il contributo della Regione Emilia-Romagna, le mostre di grandi maestri e di giovani emergenti sono ospitate presso i Chiostri di San Pietro, fulcro del festival, quindi Palazzo da Mosto, i Chiostri di San Domenico, la Biblioteca Panizzi, la Galleria Santa Maria, lo Spazio Gerra, i Musei Civici, la Collezione Maramotti e Fondazione I Teatri, più tutti gli spazi del Circuito Off.

Il cortile dei Chiostri San Pietro, Reggio Emilia, sede principale di Fotografia Europea – foto di ©Luisa Raimondi

Presso i Chiostri di San Pietro sono ben dieci le esposizioni. A piano terra si trova la mostra retrospettiva dedicata alla grande fotografa Mary Ellen Mark, dal titolo “The Lives of Women” a cura di Ann Morin in collaborazione con diChroma photography e visitabile sino al 5 Giugno. Lo sguardo intenso della fotografa esplora la realtà di molte donne in situazioni difficili e contesti dolorosi, anticipando le tematiche care al recente movimento #MeToo.

Mary Ellen Mark, Tiny in her Halloween costume, Seattle, Washington, 1983 © 1963-2013 Mary Ellen Mark / Howard Greenberg Gallery, NY
Mary Ellen Mark, Girl Jumping over a Wall, Central Park, Manhattan, New York, USA, 1967 © 1963-2013 Mary Ellen Mark / Howard Greenberg Gallery, NY 1983 © 1963-2013 Mary Ellen Mark / Howard Greenberg Gallery, NY
Una parte della mostra di Mary Ellen Mark - foto di ©Luisa Raimondi
Una parte della mostra di Mary Ellen Mark “The Lives of Women” a cura di Anne Morin, in collaborazione con diChroma photograpy e aperta fino al 5 giugno – foto di ©Luisa Raimondi

Al piano superiore troviamo per primo Nicola Lo Calzo, con “Binidittu”, progetto che, attraverso il racconto della storia e dell’eredità culturale di San Benedetto il Moro, prende in esame i rapporti fra la storia del colonialismo e l’identità culturale contemporanea.

Ernest con le rose di santa Rosalia, artista togolese. Villa Giulia, Palermo 2018, serie Binidittu © Nicola Lo Calzo / Podbielski Contemporary
Ernest con le rose di santa Rosalia, artista togolese. Villa Giulia, Palermo 2018, serie Binidittu © Nicola Lo Calzo / Podbielski Contemporary
Nicola Lo Calzo, Chamwill davanti a Daouda e Sefora durante una festa ai Cantieri della Zisa, un luogo pubblico per le attività cultural e sociali a Palermo. 2018, Palermo, Sicilia © Nicola Lo Calzo / Podbielski Contemporary

Segue  Hoda Afshar che con “Speak The Wind” svela gli straordinari paesaggi dell’Iran, nelle isole dello Stretto di Hormuz al largo della costa meridionale, la sua gente e i loro rituali, fotografando il vento e gli intrecci di tradizioni e credenze che porta con sé. 

Hoda Afshar, Untitled, from the series Speak the Wind, Iran (2015-2020) © Hoda Afshar
Hoda Afshar, Untitled, dal lavoro “Speak the Wind”, Iran (2015-2020) © Hoda Afshar
Hoda Afshar, Untitled, from the series Speak the Wind, Iran (2015-2020) © Hoda Afshar
Hoda Afshar, Untitled, dal lavoro “Speak the Wind”, Iran (2015-2020) © Hoda Afshar
Hoda Afshar, Untitled, from the series Speak the Wind, Iran (2015-2020) © Hoda Afshar
Hoda Afshar, Untitled, dal lavoro “Speak the Wind”, Iran (2015-2020) © Hoda Afshar

Carmen Winant con “Fire on World”, invece, attraverso centinaia di diapositive ritrovate, porta in mostra solo immagini che hanno già avuto un’altra vita, tessendo così insieme più narrazioni: di protesta di nascita e di piccoli mondi, e che messi insieme formano un quadro più ampio di disordine sociale e dissenso.  

diapositive da “Fire on World”, Carmen Winant

Seiichi Furuya, con “First trip to Bologna1978/Last trip to Venice 1985”, racconta il primo e l’ultimo viaggio fatti insieme a sua moglie Christine Gössler, attraverso ritratti intimi e fermo immagini, che gli hanno permesso di ricostruire la memoria di quei momenti, fino al suicidio di Christine.

Seiichi Furuya, from the series "Last Trip to Venice 1985", Venice, 1985 © Seiichi Furuya, courtesy by Chose Commune
Seiichi Furuya, dal lavoro “Last Trip to Venice 1985”, Venice, 1985 © Seiichi Furuya, courtesy by Chose Commune
Seiichi Furuya, from the series "First Trip to Bologna 1978", Graz-Bologna, 1978 © Seiichi Furuya, courtesy by Chose Commune
Seiichi Furuya, from the series “First Trip to Bologna 1978”, Graz-Bologna, 1978 © Seiichi Furuya, courtesy by Chose Commune

 Ken Grant si presenta con “Benny Profane”, un progetto a lungo termine su un distretto portuale nei dintorni di Liverpool dove tra il 1989 il 1997 l’autore si immerge;  in quel mondo e in coloro che ne dipendono per sopravvivere, restituendo nei suoi scatti un resoconto di parentela e sfida in una terra difficile, un ritratto coinvolto delle persone che lì hanno trascinato le loro vite, plasmando quella terra durante i suoi ultimi anni, prima di essere dismessa e diventare riserva naturale.

Ken Grant, Untitled (Confetti), Birkenhead, 1992 © Ken Grant
Ken Grant, Untitled (Confetti), Birkenhead, 1992 © Ken Grant
Ken Grant, Untitled (Shared Cigarette), Birkenhead, 1994 © Ken Grant
Ken Grant, Untitled (Shared Cigarette), Birkenhead, 1994 © Ken Grant

 Il percorso propone poi “Temporarily Censored Home” di Guanyu Xu, che, nato a Pechino e residente a Chicago, torna nella città natale dopo aver compreso la sua sessualità attraverso la cultura occidentale e crea segretamente delle installazioni fotografiche nella casa dei suoi genitori, utilizzando immagini recuperate da riviste e dominate da rappresentazioni di uomini bianchi; un denso mosaico di immagini rivelatrici e autoreferenziali che distorce l’architettura dell’intero appartamento, trasformando lo spazio domestico e conservatore della sua infanzia, in una scena di rivelazione, protesta e bonifica queer in cui il giovane Xu può finalmente riconoscersi.  

Guanyu Xu, The Dining Room, 2018 © the artist and Yancey Richardson Gallery
Guanyu Xu, The Dining Room, 2018 © the artist and Yancey Richardson Gallery
Guanyu Xu, Parents’ Bedroom, 2018 © the artist and Yancey Richardson Gallery
Guanyu Xu, Parents’ Bedroom, 2018 © the artist and Yancey Richardson Gallery

“I give you my life” di Chloé Jafé racconta la storia, spesso sconosciuta, delle donne della Yakuza – la mafia giapponese tra le più leggendarie al mondo.

Chloé Jafé, No title. the recruits greet of the bosses after a reunion. 2016, Iochigi © Chloé Jafé
Walter Guadagnini presenta la mostra di Chloé Jafé “I give you my life” – foto di ©Luisa Raimondi

“The Book of Veles” di Jonas Bendiksen (Magnum) è un geniale progetto sulle fake news che dimostra che la disinformazione visiva può confondere anche i professionisti dei media addestrati; è una resa dei conti provocatoria, un esperimento per vedere dove la tecnologia potrebbe portare la fotografia nell’immediato futuro (non vi riveliamo oltre, andate a scoprirlo di persona, merita). 

Jonas Bendiksen, The Book of Veles, 2021 © Jonas Bendiksen | Magnum Photos
Jonas Bendiksen, The Book of Veles, 2021 ©
Jonas Bendiksen, The Book of Veles, 2021 © Jonas Bendiksen | Magnum Photos
Jonas Bendiksen, The Book of Veles, 2021 © Jonas Bendiksen | Magnum Photos
Jonas Bendiksen presenta il suo lavoro "The Book of Veles" - foto di ©Luisa Raimondi
Jonas Bendiksen presenta il suo lavoro “The Book of Veles” – foto di ©Luisa Raimondi

Infine Alexiss Cordesse, fotoreporter francese, con “Talashi” racconta la guerra civile siriana attraverso le fotografie personali scattate da coloro che vivono in esilio, ma lo fa allontanandosi dai registri del fotogiornalismo: la mostra è infatti composta da fotografie personali di ricordi e momenti quotidiani scattate e messe in salvo dagli stessi esuli siriani, incontrati da Cordesse in Europa e in Turchia. Questi manufatti, come i loro proprietari, sono sopravvissuti a viaggi pericolosi che il fotografo francese raccoglie e arricchisce con le storie delle vite di coloro che gliele hanno affidate.

Syrian archives, Alexis Cordesse
La proieizione sul muro della stanza che ospita il lavoro di Alexis Coredesse – foto di ©Luisa Raimondi

Il percorso presso i Chiostri di San Pietro ha il pregio di essere molto variegato ed accompagna il visitatore in una visita decisamente suggestiva e di grande interesse non solo nei contenuti, ma anche nella forma. 

Si passa infatti da stampe su tessuto semitrasparente, come per alcune immagini del lavoro di Lo Calzo, a classici e rigorosi bianchi e neri su formato quadrato di Ken Grant; da proiezioni attraverso proiettori di diapositive, come nella scelta di Carmen Winant, a stampe di grandissimo formato come per il lavoro di Guanyu Xu; da immagini digitali proiettate su di un muro, ma selezionabili dallo stesso visitatore attraverso un tablet e accompagnati da un sottofondo di un testo letto da un attore, come nel lavoro di Cordesse, a stampe in bianco e nero pure o trattate attraverso acrilico e pennello nel lavoro della Jafé; dalle stampe ai fermo immagini scelti dal fotografo giapponese Furuya, sino alla articolata mostra della Afshar, composta da immagini a colori, in bianco e nero, piccoli formati, grandi formati incollati ai muri, disegni e scritte o alla mostra di Jonas Bendiksen che presenta stampe classiche incorniciate in passe-partout, scritte, stampe incollate di screen-shot da Instagram.

Il linguaggio fotografico e visuale in mostra è certamente complesso, articolato, richiede un’attenzione e una profondità di lettura notevoli, ma porta il visitatore ad un’esperienza di grande livello insieme alla riflessione sulla cultura visiva moderna e sul medium della fotografia allo stato attuale.

In realtà questa è un po’ l’aria che si respira in tutte le scelte di Fotografia Europea: accanto a mostre di grande spessore, ma più classiche nell’allestimento (sempre curatissimo) come quella della fotografa ceca Jitka Hanzolvà, presso Palazzo da Mosto, o la mostra dedicata a Vasco Ascolini presso la Biblioteca Panizzi e quella presso la Collezione Maramotti “Bellum” di Carlo Valsecchi (dal 1° Maggio al 31 Luglio),  troviamo ad esempio l’allestimento fantasioso della mostra di Maria Clara Macrì, “In Her Rooms” (a cura di Erik Kessels), dove ritratti di medio/piccolo formato sono inseriti in più stanze che simulano quelle delle donne ritratte, con oggetti di uso quotidiano (un letto, un asciugamano, libri, vinili, vasi di fiori), presso lo Spazio Gerra; o ancora presso la Sala Verdi, al Teatro Ariosto, il progetto di Arianna Arcara “A view of Peeping Tom’s la Visita/Triptych”, dove teatro e fotografia entrano in relazione in un lavoro commissionato all’artista da Fondazione I Teatri, con Reggio Parma Festival e Collezione Maramotti; ritratti, allestimenti, sequenze proiettate nel buio di una enorme sala.

Particolare anche il piccolo ma graziosissimo lavoro proposto da Alessandra Calò, “Herbarium. I fiori sono rimasti rosa”, dove l’artista tramite l’utilizzo di antiche tecniche di stampa fotografica a contatto off camera, lavora insieme a persone con fragilità, raccogliendo la sfida del progetto Reggio Emilia Città senza Barriere “Incontri! Arte e persone”.

Alessandra Calò, Herbarium. I fiori sono rimasti rosa, Reggio Emilia, 2022. ©Alessandra Calò
Alessandra Calò, Herbarium. I fiori sono rimasti rosa, Reggio Emilia, 2022. ©Alessandra Calò

Anche la mostra partner dedicata a Luigi Ghirri in occasione del trentennale della morte del grande fotografo italiano e a cura di Joan Fontcuberta insieme a Matteo Guidi e Ilaria Campioli (“In scala diversa. Luigi Ghirri, Italia in Miniatura e nuove prospettive”) riserva delle sorprese. Contrariamente a quanto potremmo aspettarci, la scelta dei curatori non è caduta infatti su una retrospettiva, ma si è focalizzata sul noto lavoro sull’Italia in Miniatura di Rimini, dove Ghirri approfondisce tematiche a lui molto care quali il doppio, la finzione, l’idea stessa di realtà. Non solo: a Palazzo Musei (sino all’8 Gennaio 2023) accanto alle stampe originali vintage di questo lavoro e ad altre stampe di suoi negativi (molte inedite) a cura della Biblioteca Panizzi, ci sono due sale dal contenuto molto interessante. Da un lato, come fortemente voluto da Fontcuberta a testimonianza che la fotografia di Ghirri non è morta, ma continua incessantemente a rivivere, i lavori relativi ai progetti fotografici di un gruppo di lavoro formato da studenti e artisti emergenti in un workshop condotto all’Istituto Superiore per le Industrie Artistiche – ISIA di Urbino. Dall’altro la chicca, portata alla luce grazie a questa mostra, dell’archivio del parco: materiale storico grazie al quale è possibile vivere con commozione la grande avventura professionale e umana del suo fondatore, Ivo Rambaldi. Il suo lungo lavoro di documentazione che lo vedrà viaggiare lungo la penisola italiana alla ricerca e per lo studio delle sue bellezze storiche, artistiche e naturali, si riflette nelle sue fotografie, nei suoi disegni, nel materiale vario, raccolto nelle bacheche o esposto sui muri della sala a lui dedicata.

La suggestione e la complessità del linguaggio affrontata da questa edizione di Fotografia Europea si riflettono anche nella scelta di affiancare ai racconti visivi dei percorsi sonori che si intrecciano alle immagini, proponendo due serate musicali nelle giornate inaugurali grazie a FOTONIA, diretta artisticamente da Max Casacci e voluta con orgoglio dall’Assessore alla Cultura di Reggio Emilia, Annalisa Rabitti: «La musica elettronica mancava nella nostra città. Ci auguriamo che Reggio Emilia in quei giorni sia viva, contemporanea e con questa attitudine alla ricerca: una città evoluta, presente, giovane.».

Ricordiamo inoltre la prima edizione del premio Luigi Ghirri di Giovane Fotografia Italiana. Possibile” è il tema della IX edizione di Giovane Fotografia Italiana, progetto, a cura di Ilaria Campioli e Daniele De Luigi, dedicato agli artisti visivi under 35, realizzato con la collaborazione di importanti festival europei e realtà nazionali. Sono sette i progetti vincitori della call, selezionati dalla giuria internazionale, composta dai curatori e da Chiara Fabro, Shoair Mavlian, Krzysztof Candrowicz che confluiscono nella mostra collettiva. Marcello Coslovi (Scandiano, 1992) con “The wrong side of the tracks” indaga il rapporto tra persone e territorio. Chiara Ernandes (Roma, 1989) in “Still Birth” ricostruisce una dimensione sospesa tra vita e morte. Claudia Fuggetti (Taranto, 1993) documenta in Hot Zone lo svolgimento di un sogno lucido. Con “Sea Bones” Caterina Morigi (Lugo, 1991) ricerca la relazione tra micro e macro, uomo e materia. In “Diachronicles” Giulia Parlato (Palermo, 1993) tratta le possibili declinazioni della narrazione archeologica. Riccardo Svelto (Bagno a Ripoli, 1989) sottolinea il legame tra vista e memoria in “La Cattedrale”. Infine, “The Ugly Ducking” di Giulia Vanelli (Lucca, 1996) riflette sull’identità e la crescita personale.

Infine, presso la Galleria Santa Maria, saranno visibili i tre progetti vincitori della Open Call di questa edizione: “Isola”, di Simona Ghizzoni; “Usus Fructus Abusus” di Gloria Oyarzabal e “Paradise” di Maxime Riché.

Per ogni appassionato d’arte, fotografia, cultura visuale e musica Fotografia Europea è decisamente un appuntamento che vi consigliamo di non perdere.

Luisa Raimondi

Informazioni

0522 444446

info@fotografiaeuropea.it

Il sito di Fotografia Europea: www.fotografiaeuropea.it