Fuerteventura

Scrivere non è mai stata una mia dote…

Forse perché non l’ho mai coltivata abbastanza, ma oggi voglio comunque provare a raccontare quelle che sono state le esperienze e  le emozioni che ho vissuto e provato e che ancora oggi galleggiano sulla superficie della mia mente. L’intento è di riuscire a completare con i miei racconti quello che già voglio trasmettere attraverso le immagini ma che magari non sempre mi è riuscito fare.

Riesco a scrivere questo racconto solo qualche mese dopo il viaggio. Le immagini sono ancora vive nella mia mente ma spero comunque che la memoria non mi tradisca.

Dopo un anno di lavoro ecco finalmente giunto il giorno della partenza.

Meta: Fuerteventura. Il motivo di questa scelta è stato dettato principalmente dal bisogno di allontanarmi dal caos della città e dalla voglia di stare a contatto con una natura silenziosa nuova e da scoprire.

Parto con Diego, il mio compagno. In volo c’è stata la prima sorpresa. Vedere la terra da migliaia di metri di altitudine è già di per sé un’esperienza unica. Cambiano le proporzioni, l’uomo scompare e l’unica traccia della sua presenza è rappresentata dalle grandi metropoli ridotte a minuscoli alveari disabitati… la dimensione spazio/tempo sembra mutare dandoci addirittura l’impressione di poter vedere la terra dei tempi dei dinosauri! L’emozione più grande però è stata sorvolare lo Stretto di Gibilterra: sono sempre rimasta affascinata dal mito delle Colonne d’Ercole e dal loro significato legato al limite della conoscenza e della speranza di trovare qualcosa di meglio al di là di esse come se queste rappresentassero una barriera invisibile che divide la prigionia in un mondo che vorremmo diverso dalla libertà fisica e di pensiero. Vedere questi due lembi di terra sotto di me è stato davvero emozionante, incredibile; sorvolarli è stato come oltrepassare davvero qualcosa, lasciarmi tutto alle spalle e credere per un istante che tutto possa essere possibile.

Dopo circa tre ore di volo finalmente atterriamo sull’isola e il primo impatto è stato per così dire, strano. Sembrava di aver varcato i confini del tempo oltre a quelli geografici in un flash back di quaranta anni. Tutto appare così diverso e lontano da come siamo abituati a vedere e vivere le cose. Ogni angolo trasuda del costante conflitto uomo / natura, dove l’uno vuole prevaricare sull’altro per la sopravvivenza e dove ogni cosa sembra preziosa anche la più insignificante.

Raggiungiamo Corralejo in pullman attraversando il Parco Nazionale delle Dune di Corralejo, una delle mete turistiche più apprezzate, anche se durante la nostra permanenza non avremo modo di esplorarlo al meglio preferendo zone un po’ meno affollate (e in pieno agosto è tutto dire…). Il paesaggio rimane comunque degno di nota: da una parte lo sguardo si perde nel blu dell’oceano e dall’altra viene trascinato all’orizzonte dal movimento delle dune modellate continuamente dal vento che le accarezza e gioca con loro mutandone la forma in continuazione.

Il secondo giorno noleggiamo un’auto per poter finalmente iniziare l’esplorazione di Fuerteventura. Non abbiamo pianificato un vero e proprio “tour dell’isola” (cosa di cui mi pentirò) ma decidiamo di spostarci verso sud percorrendo la strada costiera. Il paesaggio è davvero mutevole: si passa dalle distese di sabbia delle dune a un panorama caratterizzato da vulcani ormai spenti da secoli e ridotti dall’azione erosiva del vento che distrugge e modella a collinette dai colori vivaci. Raggiungiamo le saline di El Carmen, struttura recentemente restaurata e tranquillamente visitabile grazie ad un semplice percorso che descrive passo passo le tappe dell’estrazione del sale. Terminata la visita (durante la quale siamo stati accompagnati da decine di scoiattoli ormai abituati alla presenza dell’uomo) decidiamo di spingerci ancora più a sud verso Morro Jable e per farlo continuiamo il percorso costiero ammirando il paesaggio ormai sempre più familiare dell’isola. Anche qui non ci fermiamo molto giusto il tempo di una passeggiata sulla spiaggia e un po’ di relax prima di ripartire per il rientro. Decidiamo però di non ripercorrere la strada di prima ma di esplorare l’entroterra seguendo le indicazioni per Betancuria, l’antica capitale dell’isola. Quali scenari lunari ci appaiono davanti! Sono gli scenari di quel paesaggio che chiamano “malpaìs”, dove il deserto è il protagonista assoluto e indiscusso del documentario che la natura gira ogni giorno davanti agli occhi di fortunati ma anche d’ignari spettatori.

Non c’è traccia della presenza dell’uomo, questo è il regno delle capre che dominano i pendii scoscesi, facendo sentire la loro voce come a voler rimarcare la loro presenza nel bel mezzo della Terra del Fuoco, quella terra ostile i cui colori passano dall’ocra alle tonalità di rosso più acceso, attraverso mille sfumature, in cui le emozioni si perdono mentre la si attraversa. E’ davvero un peccato non avere il tempo di fermarsi per goderne un po’ di più, ma ci ripromettiamo di tornare prima della fine del nostro viaggio. Attraversiamo la vecchia capitale quando ormai è calato il buio della sera. Si tratta di un piccolo paesino lontano dalle luci e dal caos dei turisti e per un attimo rimpiango di non alloggiare proprio li! La stanchezza prende poi il sopravvento e mi addormento cullata dalla bellezza della giornata appena trascorsa.

Il giorno seguente partiamo decisi a visitare Villaverde e i suoi caratteristici mulini per poi dirigerci verso quella che è stata per me un’esperienza davvero unica: la visita alla Cueva del Llano. Si tratta di un tubo vulcanico vecchio di migliaia di anni nel quale vive una specie di ragno unica al mondo. Sulla terra ne esistono diversi ma qui sull’isola è l’unico a essere aperto al pubblico. Vinco la mia aracnofobia (anche se, di fatto, si tratta di un ragnetto grosso poco meno di un millimetro che vive nella parte più remota del tunnel e che quindi non si riesce proprio a vedere) ed entro nella Cueva. Il tunnel è sprovvisto d’illuminazione il che rende ancora più emozionante la visita: ci addentriamo sempre più nelle viscere della terra, negli angoli più reconditi dell’isola muniti soltanto di piccole torce sul casco. Per la seconda volta dal nostro arrivo mi sembra di fare un tuffo nel passato, stavolta attraverso ere geologiche perdute le cui uniche tracce del loro passaggio sono rimaste intrappolate nella lava ormai solida che costituisce il tunnel. Migliaia di anni racchiusi in pochi metri di roccia lavica che ci sovrasta e circonda… sembra quasi incredibile ma è tutto qui, davanti ai miei occhi! Ad un certo punto la guida ci invita a spegnere le luci per immedesimarci nella vita del piccolo abitante. Un’esperienza magnifica! Un buio così pieno e intenso non l’ho mai visto prima: sembrava denso, quasi palpabile; avevo l’impressione che allungando un braccio avrei potuto toccarlo, afferrarlo e portarlo via con me. Anche la cognizione sensoriale di ciò che mi circonda è svanita. Mi trovo nel vuoto o c’è qualcosa intorno a me? Ho gli occhi aperti o sono chiusi? E il tempo si è fermato…o forse sta correndo più velocemente? Nessun rumore, nessun suono…si sente solo il silenzio, un silenzio sovrumano che non incute nessuna paura, nessun timore, ma che trasmette una sensazione di pace infinita difficile da esprimere a parole.

Riemergiamo poi in superficie ed è incredibile pensare che solo pochi metri sotto i miei piedi regni quel buio totale apparentemente privo di vita che mi ha rapito così tanto, mentre qui sopra la luce del sole è così chiara che quasi mi abbaglia e che in confronto sembra un inno alla vita. Ringraziamo la guida e proseguiamo verso El Cotillo per goderci mezza giornata in spiaggia aspettando il tramonto sull’oceano. Percorriamo un tratto di strada sterrata prima di fermarci. Il panorama è splendido! Ci troviamo in cima ad una scogliera e prima di scendere nella piccola spiaggetta decido di fare una passeggiata in solitaria. Cammino per un po’ con l’unica compagnia del vento e del suono delle onde che in lontananza s’infrangono sugli scogli ed è una sensazione magnifica. Mi siedo in terra, mi stendo sopra di essa e mi sento in simbiosi con la natura mentre ammiro l’immensità dell’oceano che si perde davanti e dentro di me con le sue mille sfumature… e mi sento come il “Re del Mondo”! Decido di tornare. Percorro poi la scala intagliata della roccia che mi fa scendere nella spiaggia dove rimango per il resto del pomeriggio. Purtroppo poi non riusciamo a vedere i caldi colori del tramonto che tingono l’atmosfera tutt’intorno: ci lasciamo questo scenario da sogno alle spalle e prendiamo la via del ritorno.

Quello che ha inizio è l’ultimo giorno in cui abbiamo a disposizione l’auto. Cartina alla mano pianifichiamo come sfruttare al meglio il tempo rimasto. Decidiamo di tornare a sud, stavolta l’obiettivo è andare oltre Morro Jable: vogliamo raggiungere Punta de Jandia, la punta estrema dell’isola e per farlo passiamo nell’amato entroterra attraverso Betancuria e Pajara come c’eravamo ripromessi qualche giorno prima. Attraversiamo la Vallebron sotto un cielo grigio, infatti, di lì a poco vedremo cadere piccole gocce di pioggia. Il tutto dura solo qualche minuto, quanto basta per poter dire di aver visto la pioggia in pieno agosto alle Canarie! Ancora una volta a colpirci sono i colori della terra. Se vogliamo questa è una delle cose che mi è rimasta più dentro quando ripenso a Fuerteventura.  Arriviamo a Betancuria e la attraversiamo, questa volta alla luce del sole decidendo poi di proseguire per Pajara lasciando purtroppo inesplorata Antigua. Abbiamo ora tutto il tempo per fermarci ad assaporare tutto quello che la natura ha da offrirci. E’ un banchetto fantastico. Notiamo anche resti di quelle che sono probabilmente antiche civiltà preispaniche che popolavano l’isola in epoche preistoriche. Si tratta di costruzioni circolari in pietra che troneggiano sul paesaggio circostante aumentandone il fascino. Ne raggiungiamo una dalla quale riusciamo ad avere una splendida panoramica sul deserto di La Pared. Deve essere davvero una meraviglia da esplorare ma purtroppo con la nostra macchina è troppo rischioso affrontare le strade che conducono agli angoli più inesplorati dell’isola; sarebbe necessario un 4×4. Ci accontentiamo quindi di ciò che c’è consentito rimpiangendo però un po’ quello che c’è precluso.

Recuperiamo la macchina e continuiamo il nostro cammino. Arrivati a Morro Jable dobbiamo proseguire su strada sterrata per 13 Km prima di raggiungere l’estremo sud. Fortunatamente la strada è particolarmente battuta e anche la nostra utilitaria riesce ad affrontare il tragitto. Notiamo che dallo sterrato principale si diramano un’infinità di piccoli sentieri, tanti sottilissimi fili di Arianna che finiscono nei posti più improbabili e si perdono chissà dove insieme ai miei pensieri che li percorrono trasportati dalla fantasia. Una volta arrivati lo spettacolo si è rivelato impagabile. Attraversiamo El Puertito De La Cruz, luogo di vacanza per gli isolani e raggiungiamo infine il faro dal quale è possibile vedere le due correnti oceaniche che s’incontrano e s’intrecciano in perfetta sincronia in una magica e ipnotica danza prima di perdersi e svanire sulla spiaggia. Le acque sono calme come lo è il mio spirito, totalmente appagato dalla magnificenza del panorama che ho davanti.

Il mattino seguente decidiamo di mettere la sveglia prima dell’alba per riuscire ad esplorare Antigua e cercare il relitto dell’American Star, una nave incagliata al largo della costa a ovest nelle vicinanze di Playa de Barlovento e poter rientrare prima di mezzogiorno poiché a quell’ora dobbiamo restituire le chiavi della macchina. Purtroppo proprio sul più bello la sveglia ci abbandona e ci svegliamo che ormai il sole è alto nel cielo ed è quindi troppo tardi per riuscire nell’itinerario prefissato. Optiamo quindi per una passeggiata in quel di Corralejo e decidiamo di prenotare un giro in buggy nel pomeriggio avendo così modo di poter esplorare una piccola parte dell’isola riservata a pochi. Raggiungiamo nuovamente El Cotillo ma questa volta lo facciamo percorrendo strette stradine sterrate che s’infilano nell’entroterra a nord e fiancheggiano le pendici dei vulcani: sembra quasi di vederli eruttare, di osservare colate laviche scendere lungo i fianchi e zampilli e colonne di fumo che si levano dalle loro cime mozzate. Sembra comunque incredibile pensare che una volta l’isola fosse ricoperta di lussureggiante vegetazione: un’enorme oasi nel bel mezzo dell’Atlantico. Passiamo da Lajares dove campi di aloe, la pianta simbolo dell’isola i cui prodotti sono esportati in tutto il mondo, si alternano a terreni completamente deserti ora neri come la pece ora color magenta prima di raggiungere la meta. Qui facciamo solo qualche minuto di sosta prima di riprendere la via del ritorno su sentieri costieri a ridosso di strapiombi mozzafiato. Un modo un po’ diverso e divertente per esplorare l’isola. Rientrati in hotel mi stendo sul letto e faccio il punto della situazione di quella che è stata una settimana decisamente ricca, penso alla moltitudine di cose viste e scoperte, a quelle che purtroppo ci sono sfuggite e mi tornano alla mente le parole che ho letto in questi giorni su una guida e che mi ritrovo a condividere a pieno.

“…Per me, Fuerteventura, fu come un’oasi, dove il mio spirito bevve acque rivitalizzanti, uscendone rinfrescato e rinvigorito per poter continuare il mio viaggio nel deserto della civilizzazione…”

LOS LOBOS

Ultimo giorno in quel di Fuerteventura, la nostra avventura sta per giungere al termine. Decidiamo di esplorare la vicina isola di Lobos. Di buon mattino ci rechiamo al porto: è una giornata magnifica, il sole splende nel cielo limpido e sgombro da nubi. Facciamo la traversata in traghetto guardando Corralejo rimpicciolirsi sempre più contrariamente a Lobos che si fa sempre più grande. Attracchiamo e ci incamminiamo subito verso le case del Puertito, dove abbiamo l’unica testimonianza della presenza dell’uomo: l’unico abitante è stato il guardiano del faro che vi ha risieduto con la sua famiglia fino al 1968 ma ora l’isola è disabitata diventando così un’oasi naturale con la “N” maiuscola.

Dal Puertito si gode una panoramica sulle dune di Corralejo: una striscia di sabbia bianca che scinde il blu del cielo da quello dell’oceano come fosse la scia di una freccia scoccata da chissà chi chissà dove. Procediamo nel sentiero che porta al faro. Il vento si è placato concedendoci così una tregua; la giornata è davvero torrida e mette a dura prova la mia resistenza fisica ma sono intenzionata più che mai a portare a termine il giro…infondo l’isola è di soli 6 Km quadrati e i sentieri sono pianeggianti. Lungo il percorso incontriamo diverse specie di uccelli e qualche timido rettile che si nasconde e ripara all’ombra di qualche roccia. Raggiunto il faro facciamo una breve sosta, dove ci accorgiamo di aver finito l’acqua… Fantastico quando accade su un’isola deserta sotto un sole cocente! Colmiamo però la nostra sete di emozioni contemplando il panorama che si gode dal faro dove in lontananza si scorgono le spiagge a sud di Lanzarote che ci invitano a raggiungerle. Continuiamo il nostro giro ad anello diretti nuovamente verso il molo per il traghetto del rientro. Passiamo ai piedi della Caldera, uno dei vulcani che originò Lobos e che con i suoi 110 metri rappresenta la cima più alta dell’isola. Sarebbe bello salire fino in cima e godere di uno spettacolo sicuramente unico ma fa veramente troppo caldo e nonostante ancora oggi mi rammarichi della decisione presa, procediamo oltre e raggiungiamo così La Caleta per un bagno. Raggiungiamo nuovamente il molo, dove attendiamo il traghetto che ci ricondurrà dove tutto è iniziato.

Simona Gosi