Torniamo lungo il Cammino di Santiago con questo intenso reportage di Nicola Congia.
DF: Benvenuto su Discorsi Fotografici e grazie per il tuo contributo! Per iniziare parlaci un poco di te.
NC: Ciao e grazie per la possibilità di condividere il mio reportage. Mi chiamo Nicola e attualmente risiedo in Sardegna, dove sono nato e cresciuto. Mi sono avvicinato alla fotografia da autodidatta e successivamente ho frequentato l’accademia di fotografia “Fine Art” di Cagliari e diversi Workshop. Prediligo il reportage e la street photography, e in questi ultimi anni sto portando avanti la ricerca di un linguaggio personale dove l’analisi antropologica rappresenta una costante. Cerco sempre di immergermi totalmente nell’ambiente e farne parte, utilizzando il mezzo fotografico per raccontarne l’essenza.
DF: Prima di partire ti sei documentato fotograficamente?
NC: Non volevo troppe informazioni sul viaggio perché mi piaceva l’idea di farmi trasportare dagli eventi, senza avere alcun tipo di aspettativa. Di conseguenza anche fotograficamente ho evitato di guardare troppe immagini quindi non sapevo proprio cosa aspettarmi! Ogni viaggio regala nuovi stimoli e volevo assolutamente farmi trasportare da quel senso di avventura e dallo stupore che si prova davanti alle novità.
DF: Che attrezzatura hai portato con te?
NC: Da anni uso una Nikon d7100 con un 35mm f1.8 e difficilmente uso altre lenti. Per il tipo di fotografia che sto ricercando non mi serve altra attrezzatura e anche se la focale fissa può sembrare un limite, questa si adegua perfettamente alla mia metodologia di scatto. Inoltre mi piace viaggiare leggero e stavolta era anche un obbligo, ma fortunatamente non sento mai la mancanza di altre focali.
DF: Quali soggetti hai fotografato più frequentemente?
NC: Sicuramente mi sono concentrato sulle persone, cercando come sempre di creare un legame tra il soggetto e chi osserverà la foto. Una sorta di immedesimazione dove non è necessario lo sguardo diretto in camera, ma è basata soprattutto sulle atmosfere create dall’interazione tra i soggetti ritratti e l’ambiente. Non ho trascurato neanche i dettagli e i paesaggi, ritraendoli comunque in maniera più evocativa che descrittiva. Volevo raccontare il viaggio in maniera emozionale, quasi sensoriale. Che poi è anche quello che si prova durante il Cammino di Santiago, essendo un viaggio davvero ricco di sensazioni.
DF: Hai sperimentato particolari difficoltà?
NC: Non ho riscontrato particolari difficoltà. Probabilmente anche perché si tratta di un percorso davvero molto organizzato, che nel 2017 è stato percorso da oltre 300 mila persone provenienti da tutto il mondo. Ovviamente i piccoli imprevisti sono all’ordine del giorno, soprattutto in un percorso lungo circa 800 chilometri.
DF: Se dovessi avere l’occasione di tornare negli stessi luoghi cosa fotograferesti ancora?
NC: Fotograferei nuovamente le atmosfere e le persone che si incontrano. C’è davvero tanto da fotografare: paesaggi, foreste, montagne, pianure, albe, tramonti, cattedrali, ostelli.
DF: Cosa non sei riuscito a fotografare e avresti voluto?
NC: Mi concentrerei sullo sforzo e sulla stanchezza che si prova durante tutto il viaggio. Di questo si parla sempre poco ma il sacrificio è davvero tanto, sia fisico che mentale. Non sono riuscito a fotografare questo aspetto perché svanisce totalmente nel momento in cui si arriva ogni sera alla meta. Tutto lo sforzo e la stanchezza vengono sostituiti dal senso di appagamento e dalla gioia che si prova quando si arriva in un nuovo paese e in nuovo ostello che in poche ore riesce a diventare “casa”.
DF: Hai trovato la forza di spegnere la fotocamera e goderti il viaggio ogni tanto?
NC: La maggior parte del tempo si trascorre camminando, a volte anche per 40 chilometri al giorno e in quei casi è difficile avere la reflex a portata di mano. Ma in generale non scatto mai molto, mi piace godermi il momento e osservare cosa mi succede attorno, respirare l’essenza di un luogo e infine fotografare. Inoltre, trattandosi di un progetto personale non avevo alcuna pressione e i momenti migliori ho preferito viverli piuttosto che fotografarli.
DF: Cosa consiglieresti a chi vuole intraprendere il tuo stesso percorso?
NC: Assolutamente è un viaggio da fare da soli. Lungo la strada si incontrano i giusti compagni di viaggio che vanno alla tua stessa velocità, la stessa lunghezza d’onda sia mentalmente che fisicamente.
DF: Al di là dell’aspetto puramente legato alla fotografia, hai qualcosa da aggiungere riguardo questa esperienza?
NC: Avrei tanto da aggiungere perché è davvero un’esperienza fantastica. Ogni viaggio è una scoperta e in questo caso si tratta di un viaggio molto personale, quasi interiore, dove ognuno può provare un’esperienza diversa.