Invito alla mostra “L’Adieu des glaciers. Il Monte Rosa” presso il Forte di Bard

«Un’antica tradizione popolare racconta che, in tempi molto lontani, al posto del ghiacciaio esisteva una città che si chiama Félik.

Quella città si trovava ad occidente del Lyskamm, là dove si stende il ghiacciaio che porta ancora il suo nome. Il colle del Félik o Felikjoch, che si trova a 4068 metri sul livello del mare, era allora molto frequentato e serviva di passaggio agli abitanti che vivevano sui due versanti.

La strada era agevole, facile e in gran parte lastricata. La città di Félik non aveva una buona reputazione; gli abitanti erano piuttosto barbari e i loro costumi erano liberi e perfino selvaggi.

Una sera d’autunno, al cader della notte, un povero vecchio con un bastone in mano arrivò alla città e chiese da mangiare un po’ di fieno o di paglia per passarvi la notte. Lo misero spietatamente alla porta, dopo averlo preso in giro e un po’ maltrattato. Il mendicante attraversò la città e si diresse verso il colle, ripetendo queste parole: “Stasera nevicherà, dopodomani nevicherà e la citta maledetta non si salverà più!”

“Vattene!” gli gridava la gente, “Ritirati, uccello del malaugurio! Profeta sinistro! Che la tua magra carcassa non lasci l’ombra nella nostra città né nei dintorni!” Il povero diavolo passò il colle e dalla sera stessa cominciò a cadere una neve rossa come il sangue.

Gli abitanti, nella loro colpevole noncuranza, passarono la notte nei piaceri e perfino nell’orgia. Intanto continuava a nevicare senza smettere e l’indomani nessuno poté uscire. Nei giorni seguenti, la neve continuò ostinatamente a cadere seppellendo la città maledetta sotto il suo lenzuolo, formando così ciò che oggi si chiama il ghiacciaio di Félik. 

Dei pastori dotati senza dubbio di una vista privilegiata, vedendo soprattutto attraverso l’immaginazione, hanno assicurato d’aver scorto in estate la punta del campanile della chiesa di Félik emergere di alcuni piedi al di sopra della neve indurita dal ghiaccio.»

Questa è solo una delle tante leggende che si narrano sulla Valle del Lys, ed in particolare del ghiacciaio sul Monte Rosa. È tratta dal libro “Leggende e racconti della Valle del Lys”  di J.J. Christillin (1863-1915), edizioni Guindani; un volume di grande pregio che non può mancare nella libreria di chi ama le leggende, la storia, la montagna e la Valle del Lys ed il Monte Rosa.

Il libro da cui è tratta la storia, "Leggende della Valle del Lys", J.J. Christillin - Edizioni Guindani
Il libro da cui è tratta la storia, “Leggende della Valle del Lys”, J.J. Christillin – Edizioni Guindani

È proprio a questo massiccio che è dedicata la prima mostra di una rassegna che esporrà fotografie e documenti riguardanti ghiacciai della Valle D’Aosta. Il progetto è stato fortemente voluto dalla Associazione Forte di Bard e seguiranno altre tre edizioni, ognuna dedicata a un’area glaciale diversa – il Cervino, Il Gran Paradiso ed il Monte Bianco – con il fine ultimo di divulgare sia l’aspetto iconografico che quello scientifico dei ghiacciai nel momento decisamente critico che stanno vivendo (si pensi soltanto alla recente notizia del ghiacciaio del Planpincieux, in Val Ferret, a rischio di distacco).

Il Forte di Bard, sede della mostra (©Luisa Raimondi)

Dal primo Agosto 2020 al 6 Gennaio 2021, grazie alla collaborazione dei curatori Enrico Peyrot, fotografo e esperto ricercatore storico-fotografico, e di Michele Freppaz, professore del Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino, è dunque possibile visitare “L’Adieu des glaciers – il Monte Rosa. Ricerca fotografica e scientifica”.

Come si evince dal titolo di questa prima esposizione e dalla natura dei due curatori, il percorso proposto ha una duplice anima: da un lato, a cura di Enrico Peyrot, la ricerca fotografica, un «visivo, molteplice dialogo sul Rosa», con fotografie dal 1880 al 2020; dall’altro, grazie al contributo di Michele Freppaz, la ricerca scientifica, «il Monte Rosa, un laboratorio per la ricerca glaciologica contemporanea».

Per quanto riguarda il primo percorso, come lo stesso Peyrot dichiara nel capitolo “Sedimenti fotografici del sempre presente” all’interno del catalogo della mostra (il curatissimo volume “Il Monte Rosa”, edizioni Forte di Bard): «Via via le otto sezioni presentano un visivo e molteplice dialogo di fotografi, mossi gli uni da ragioni scientifiche e/o documentarie, altri da esigenze artistiche, commerciali o vernacolari».

Dal catalogo della mostra “L’Adieu des glaciers. Il Monte Rosa”, edizione Forte di Bard
Dal catalogo della mostra “L’Adieu des glaciers. Il Monte Rosa”, edizione Forte di Bard. Una immagine di Umberto Monterin

La prima sezione della mostra ci presenta immediatamente il drammatico ritirarsi dei ghiacciai sul Monte Rosa e non solo: notevoli le opere di Francesco Negri, tra cui “Il Gruppo del Monte Rosa dalla Gobba di Rollin allo Stolemberg” che è stata realizzata  nel 1896 dall’autore, inventore di alcuni teleobiettivi, dalla cima del Monte Zerbion a 15 km di distanza dal Rosa; si può ammirare questa opera accanto ad una fotografia realizzata dallo stesso punto di ripresa da Enrico Peyrot nell’Ottobre del 2019, che ci evidenzia il cambiamento del ghiacciaio. Nella stessa sala il confronto tra una fotografia panoramica del Ghiacciaio Upsala, tra Cile e Argentina, del 1931 (ad opera di Alberto Maria De Agostini) e una uguale ripresa del 2016 (ad opera di Fabiano Ventura) ci conferma la tendenza globale della riduzione dei ghiacciai.

La successiva sezione riguarda lo studioso Angelo Mosso, la cui fama è dovuta soprattutto ai suoi studi di fisiologia umana ad alta quota (nel 1902 grazie a lui presso la Capanna Margherita, mt 4454,  viene completato il Laboratorio Internazionale di Fisiologia Angelo Mosso; mentre nel 1907 viene inaugurato l’Istituto Angelo Mosso, a mt. 2091 al Col d’Olen, Monte Rosa). Grazie al Fondo Fotografico dell’Istituto di Fisiologia Umana conservato presso ASTUT (Archivio Scientifico e Tecnologico dell’Università di Torino) è possibile ammirare numerose riproduzioni digitali di fotografie che riguardano il grande studioso.

In totale 61 lastre negative e diapositive realizzate da autori vari tra la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento. Sei di queste si pregiano della firma del celebre fotografo Vittorio Sella: la seconda sala della mostra si apre proprio con una immagine mozzafiato di questo autore, “Il gruppo del Monte Rosa vista dal versante  Val Sesia e Valle Anzasca, panoramica di 180° dalla Punta Groger, ripresa 1883-1892 , stampa del 1932, gelatina ai sali d’argento”, un’opera  proveniente dall’Archivio Fotografico del Centro di Addestramento Alpino e tratte dalla mostra  ENIT del 1932, cui si attingerà anche per le successive edizioni del progetto “L’Adieu des glaciers”.

Indimenticabile, sempre di Sella, la stampa di gelatina ai sali d’argento che ritrae il principe Strozzi, la Regina Margherita, la marchesa Villamarina ed il barone Luigi Beck Peccoz tra il 1884 e il 1889 nei pressi del Colle del Lys a 4000 mt; sulla destra la Punta Gnifetti che ancora non vede la sagoma così nota ai frequentatori del Monte Rosa, del rifugio dedicato alla Regina Margherita. In mostra, peraltro, si può ammirare un ritratto alla Regina, ad opera di Guigoni & Bossi (aristotipo al collodio matt, con doppio viraggio oro e platino) con dedica (“Per l’istituto Scientifico Angelo Mosso al Col d’Olen”, 18 Febbraio 1908).

Fotografia di una pagina del prestigioso catalogo della mostra, edizioni Forte di Bard

Sempre dalla mostra ENIT, cui corrisponde un’altra sezione della mostra presso il Forte di Bard, possiamo godere di opere di autori di importanza internazionale come  Ernesto Curtaz (1890-1967) e Adolfo Freppaz (alcune sono stampate direttamente da Vittorio Sella, come”La Catena del Monte Cervino e del Monte Rosa, panoramica di 180° dalla vetta della Testa Grigia” degli anni ‘20).

Un’ulteriore sezione della parte iconografica/fotografica riguarda un altro personaggio immenso: Umberto Monterin, glaciologo nato nel 1887 a Gressoney La Trinitè.

La mostra  ha rappresentato una preziosa occasione per accedere alla grande produzione fotografica del glaciologo. Grazie alla collaborazione con il professor Michele Freppaz ed alla disponibilità della famiglia Monterin si è avuto accesso a centinaia di fototipi in vetro, alcuni non ancora inventariati, e si è proceduto ad una classificazione del vasto contenuto fotografico dell’archivio.

In mostra troviamo qualche ritratto dello stesso, come quello sulla torretta della sopra citata Capanna Margherita nel Settembre del 1929 o due ritratti formali in studio (1916 e presunto 1922), ed anche qualche fotografia con la famiglia o in occasione di conviviali gite sul Ghiacciaio del Lys (ed è sempre affascinante, soprattutto per chi conosce la montagna, notare come si avventuravano sui ghiacciai gli uomini di una volta), ma soprattutto le sue fotografie del ghiacciaio, a dimostrazione che per Monterin la fotografia aveva prettamente uno scopo di documentazione scientifica.

La quinta sezione della mostra, “Tredici variazioni sul Rosa” è un omaggio alla produzione fotografica di diversi autori, del passato e contemporanei, che hanno vissuto l’area del Monte Rosa come focus della propria espressione artistica. È una sezione dal contenuto molto vario: si parte da  Davide Camisasca, il cui nome è dai primi anni ’70 legato al Monte Rosa, per arrivare ad un fotomosaico (tre stampe all’albumina/carta) inedito di Vittorio Bosso del Ghiacciaio del Lys, datato tra il 1880 e il 1885.

Una sesta sezione è invece dedicata alle quattro generazioni di fotografi di Gressoney Saint Jean: in mostra fotografie di Alessandro Bonda (1844-1905), Valentino Curta (1851-1929), Ernesto Curta (1890-1967)  e Lino Guindani (1933) ancora in vita e al lavoro nel centro storico di Gressoney Saint Jean. 

Un percorso di tipo storico (sia scientifico che antropologico) che naturalistico. Decisamente di grande interesse per chi frequenta questo paese, gioiellino Walser nella Valle del Lys.

Nella settima sezione, la mostra sul Rosa dedica spazio al mitico Trofeo Mezzalama, competizione sci-alpinistica che data la sua prima edizione nel 1935. È possibile godere di fotografie storiche del 1936 (autori non identificati), fino a stampe fine art in grande formato di edizioni più recenti (ad opera del già citato Davide Camisasca, Marco Monticone o Luogotenente Stefano Jeantet).

L’ultima sezione, una chicca: dieci fotografie realizzate con fotocamere bifocali storiche, grazie soprattutto alla passione della famiglia Beck Peccoz e soprattutto ad Egon (1876-1970) grande appassionato di fotografia.  Attraverso la rivisitazione appositamente progettata per questa mostra (omaggio al primo sistema stereoscopico inventato nel 1832 da Sir Charles Wheatsone) è possibile godere della visione in 3D, come voluto dagli stessi autori tra fine Ottocento e primo Novecento.

Immagine tratta dal lIbro "La fotocamera" di Ansel Adams, Ed. Zanichell
Immagine tratta dal libro “La fotocamera” di Ansel Adams, Ed. Zanichelli

Se vi abbiamo allettato presentandovi la gloria delle fotografie di montagna del secolo scorso, vi invitiamo tuttavia a soffermarvi anche sulla sezione scientifica a cura di Michele Freppaz. 

Il titolo di un capitolo a cura di Michele Freppaz, nel catalogo della mostra “L’Adieu des glaciers. Il Monte Rosa”, sezione scientifica

Relativamente a questo percorso, le numerose fotografie in mostra ci raccontano le attività scientifiche sul ghiacciaio; dai ghiaccia stessi, alle necessarie operazioni di rilevazioni e misurazioni alle alte quote, per monitorarli: i campi di perforazione al Colle del Lys, le carote di ghiacciaio prelevate per le analisi, il lago proglaciale del Lys con le sue variazioni, i suoli e le morene, la vegetazione. 

«Indicatissimo come oggetto di regolari e svariate osservazioni», scriveva nel 1914 Umberto Monterin ed è in suo onore che nel 2017 è stato istituito un itinerario glaciologico che ricalcando la sentieristica esistente si propone come occasione di turismo sostenibile e culturale.

Per concludere, Discorsi Fotografici è lieta di invitarvi alla visione di una mostra che riteniamo di grandissimo interesse, sia sotto il profilo scientifico che iconografico, storico e di conservazione di un grande patrimonio artistico (la mostra è stata occasione di restauro attento e successiva digitalizzazione delle opere, a cura di Daniela Giordi).

Apprezziamo notevolmente la scelta di abbinare i due aspetti che concernono i ghiacciai, perché, citando Maria Cristina Ronc, direttore della Associazione Forte di Bard «Stiamo perdendo non solo il ricordo visivo dei riflessi del candore dei ghiacciai, stiamo perdendo la memoria del mondo contenuta, anche, nelle piccole bolle d’aria del passato racchiuse nel loro corpo gelido, nei microrganismi che risalgono alla vita di milioni di anni or sono e che partecipano alla conoscenza dell’habitat, del clima della Terra» (dal capitolo “Occuparsi di una fine possibile”, tratto dal catalgo della mostra, curato da Thomas Linty e che vi consigliamo vivamente di acquistare per le tante notizie in più che aggiunge a quanto si può leggere nelle sale della mostra).

Noi ci auguriamo che il campanile della città sepolta di Fèlik, di cui ci raccontava J.J Christillin nella storia narrata all’inizio di questo articolo, non si offra davvero mai alla nostra vista, ma resti parte della nostra immaginazione, così come ci auspichiamo che i ghiacciai continuino ad alimentare il nostro immaginario. L’unica cosa che davvero ci dispiace di questo progetto del Forte di Bard è il nome: l’addio ai ghiacciai vorremmo tanto non doverlo mai pronunciare.

Luisa Raimondi

Di seguito i riferimenti per la mostra:

Forte di Bard

La mostra

Alcune storie tratte dal libro di J.J. Christillin, un pdf scaricabile