Dal 5 aprile al 23 luglio lo storico Palazzo Cipolla di Roma, risalente alla seconda metà dell’ottocento e che deve il suo nome all’architetto che lo ha costruito Antonio Cipolla, apre il suo ingresso di Via del Corso al futuristico mondo del Metaverso.
Una mostra che mantiene un forte dialogo con la precedente, dedicata all’artista di origini romane Quayola e tra i più significativi esponenti della media-art a livello internazionale. Con Quayola, attraverso l’utilizzo di sistemi di robotica, intelligenza artificiale (AI), software ricodificativi, eravamo stati spettatori di come l’arte rinascimentale e barocca dei grandi maestri del calibro di Botticelli, Rubens e Bernini veniva scomposta e frammentata e attraverso gli algoritmi del mondo digitale riorganizzata, mostrando nuovi canoni del mondo estetico del tutto originale. Il filo rosso che lega le due mostre è lungo e sottile, intricato da codici binari e sequenze numeriche.
La mostra è stata pensata ed ideata dal Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele, Presidente della Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, che dal 1999 anima le sale dello storico palazzo spaziando dall’arte classica all’arte contemporanea, arrivando ad ospitare ben 59 mostre in 24 anni. Questa mostra nello specifico, curata da Gabriele Simongini e Serena Tabacchi, è promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale ed è realizzata da Poema SpA.
Questo spazio espositivo mette in parallelo i mondi di diversi artisti, da quelli del panorama storico come Piranesi, Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Giorgio de Chirico, Maurits Cornelis Escher; a quelli del panorama italiano e internazionale contemporaneo come Refik Anadol, Alex Braga, Joshua Chaplin, Damjanski, Primavera De Filippi, fuse*, Fabio Giampietro con/with Paolo Di Giacomo, Mario Klingemann, Sasha Stiles e Pinar Yoldas. Vengono create delle nuove dimensioni spaziali/esistenziali che diventano dei veri e propri mondi a sé, all’interno dei quali sono definiti regole e spazi diverse.
Nella prima sala, l’opera di Giovan Battista Piranesi Scale, arcate e capriate – serie delle carceri (1749-1761), viene scandagliata attraverso l’opera immersiva dell’artista Gregoire Dupond Le Carceri d’Invenzione (2010). L’opera è proiettata in 3D e permette al visitatore di fare un vero e proprio viaggio attraverso le architetture illusionistiche e disorientanti di Piranesi. Queste ineccepibili seppur sfuggenti geometrie non hanno più segreti per l’osservatore che riesce a raggiungere anche il punto più ignoto, che prima animava in lui il “Sublime”. Sembra quasi di essere catapultati nel contorto labirinto piranesiano, un intricato viaggio nell’inconscio dell’artista che svelerà alla fine le sue inquietudini.
Se pensiamo ad un mondo visionario e fatto di illusioni prospettiche non possiamo non citare Maurits Cornelis Escher, protagonista della sala successiva. L’artista è noto per le sue deformazioni spaziali e la creazione di nuovi mondi fatti di paradossi prospettici, geometrici e compositi. Con l’opera Il Planetoide tetraedico (1954), costituito da due piramidi che si oppongono per la base quadrata, l’artista si contrappone alle illusioni prospettiche di Andrea Pozzo. Il tutto viene concepito come un nuovo corpo celeste animato da strade, piazza, case, giardini. Ancora una volta possiamo osservare la capacità di Escher di creare mondi immaginifici e impossibili dove confluiscono arte, matematica e scienza.
In questa stessa sala troviamo un’istallazione interattiva formata da un’altalena che permette al visitatore di tuffarsi in un mondo parallelo, attraverso sensori di movimento e proiezioni. L’istallazione, intitolata Aiora: Floathing Tales, in onore delle feste dionisiache in cui si facevano dondolare delle bambole per placare le ire degli dei, attraverso il dondolio scadenzato dallo spettatore sull’altalena crea delle immagini 3D del pittore Fabio Giampietro. La parte tecnologica è curata da Fabio Giampietro, ogni oscillazione è accompagnata da una parte sonora di Alessandro Branca (Human Touch) che amplifica ancora di più questo viaggio attraverso il Metaverso.
Procedendo nelle sale successive veniamo catapultati attraverso visori della realtà virtuale in mondi nuovi fatti interamente di immagini digitali che prenderanno improvvisamente corpo nella realtà fisica. Fino a giungere nella sala dedicata a Multiverse.echo l’opera dello studio artistico fuse*, che si pone l’obiettivo di interpretare la complessità dei fenomeni umani, sociali e naturali. L’istallazione assume un aspetto audiovisivo poiché immagini la coesistenza di infiniti universi paralleli al di fuori del nostro. Per la sua realizzazione è stato preso spunto dalle teorie del fisico statunitense Lee Smolin, che afferma che il nostro universo è solo uno dei tanti contenuti in una dimensione molto più vasta conosciuta come multiverso, dove ogni realtà si forma dal collasso conseguente alla formazione di un buco nero. Una serie di dipinti digitali di diverse dimensioni si susseguono creando un collage di visioni parallele ma lontane, simili ma discordanti: una serie di finestre che, attraverso prospettive uniche, esprimono la ciclicità e l’eterna sequenza di morte e rinascita, comune a tutti gli elementi dell’universo.
Per concludere voglio citare l’opera conclusiva della mostra, un’istallazione interattiva che unisce le scienze biologiche e le tecnologie digitali con la creazione di una “seconda natura”. Refik Anadol, pioniere nella creazione di arte multimediale, attinge ai dati di 90 milioni di immagini disponibili relative alla natura come fiori, alberi, funghi, paesaggi; il tutto viene rielaborato grazie ad un software appositamente creato dal suo studio per generare nuove interpretazioni e trasportare il visitatore in uno spazio immersivo. Viene concepita così una dimensione alternativa della natura, vista come un’entità culturale complessa e dotata di memoria.
Dichiarano i curatori Simongini e Tabacchi “Al fine di sottolineare che l’ipotetico Metaverso, nuova dimensione ipertecnologica, si debba aggiungere alla vita reale senza sostituirla, quadri e sculture di artisti che hanno creato “mondi” alternativi coesistono con opere immersive, per proporre al visitatore, spesso chiamato in causa come “attore” della mostra, un rapporto equilibrato, anche se talvolta spiazzante, fra “fisico” e “digitale”. Una sorta di “laboratorio per il futuro”, con l’intento di offrire al visitatore un’esperienza che si suppone essere, per certi aspetti, simile a quella degli anni a venire, nella coesistenza di contemplazione ed immersione, percezione quasi simultanea del materiale e dell’immateriale, fra stabilità e fluttuazione.”
Ipotesi Metaverso ci pone molti quesiti su come sarà il nostro futuro e su come il mondo si stia muovendo verso questa realtà apparentemente sconosciuta. Possiamo concludere però che: “Il Metaverso è un luogo dove puoi fare qualsiasi cosa, esser chiunque, senza andare da nessuna parte. Un luogo dove il limite della realtà è la tua immaginazione” (Steven Spielberg, Ready Player One, 2018).
Alice Basili