Il progetto di Sasson in definitiva non fu bocciato, ma una prospettiva di 20 anni era un termine troppo lungo per prevedere degli investimenti importanti, gli venne permesso di continuare a lavorare su macchine fotografiche digitali e schede di memoria nel suo piccolo laboratorio.
E poi nessuno si era mai lamentato dopo quasi 100 anni di macchine analogiche, pellicole e stampe su carta, settori su cui l’azienda americana esercitava una sorta di monopolio. Dalle Instamatic al Kodak Film, dai cubetti per il flash alle soluzioni chimiche, dalle diapositive alla carta, ogni passo del processo fotografico arricchiva i successori di George Eastman, perché imporre un cambiamento che sembrava contro i propri interessi? E a pensarci bene come dargli veramente torto, chi avrebbe mai immaginato quello che sarebbe successo dopo, se non forse la mente visionaria di George.
Quel momento storico poteva essere l’inizio di una nuova era, che avrebbe travolto il mondo della fotografia tradizionale, come poi è veramente accaduto molti anni dopo. Solo che in Kodak non lo avevano capito, “convinti che nessuno avrebbe voluto guardare i propri scatti su uno schermo”, racconta Sasson.
Due anni dopo, nel 1978, Kodak brevetta la “fotocamera elettronica” in assoluta segretezza. Sasson non potè parlarne pubblicamente o a nessuno al di fuori di Kodak. Anche continuando a lavorarci con Sasson, kodak non investì abbastanza.
Passano così 3 anni, il 24 agosto 1981 l’allora presidente di Sony, Akio Morita, annunciava al mondo quella che sarebbe stata la prima vera svolta nel mondo della fotografia dai tempi di Daguerre e Talbot, la prima fotocamera elettronica. La Sony Mavica (Magnetic Video Camera) registrava le fotografie scattate su un piccolo disco magnetico capace di contenere circa 50 foto a colori, utilizzando un sensore CCD da 280.000px. La corsa era iniziata, alla faccia della Kodak.
Nel 1988 fu il turno della DS-1P di Fuji, la prima ad essere completamente digitale. È a questi apparecchi che si affida la paternità dell’attuale settore della fotografia digitale.
Nel 1989, paradossalmente in ritardo di 8 anni rispetto alla Sony Mavica, Sasson e il collega Robert Hills creano la prima reflex digitale, una fotocamera con sensore da 1,2 megapixel, con sistema di compressione delle immagini e archiviazione su memory card. Lo stesso sistema che si utilizza oggi.
Ma anche qui il marketing Kodak, si oppose incredibilmente alla commercializzazione, nel timore di erodere i profitti provenienti dalle vendite di pellicole.
Grazie al brevetto di Sasson, Kodak fece un sacco di soldi, vendendo i diritti di utilizzo della tecnologia digitale alle case che credettero nella rivoluzione della fotografia. Resta paradossale il fatto che l’azienda di Rochester, pur vedendo passare sotto i propri occhi questa mutazione epocale, si sia limitata a lucrare sul brevetto senza mettersi a produrre le fotocamere che erano il vero business.
Così mentre altri brand fiutavano l’affare del digitale, tra la fine degli anni ’80 e inizio anni ’90, in Italia la Kodak, sulla citazione cinematografica di un cult come Blade Runner, ci martellava con l’alieno-nanetto Ciribirì, che intimava al negoziante, nella sua lingua poco comprensibile, di usare carta Kodak. Il motto finale: “quando la carta è importante” la diceva lunga sulle intenzioni dell’azienda in quel momento, della volontà di non diversificare la propria produzione.
Nel 2007 il brevetto è scaduto e nonostante abbia fruttato a Kodak miliardi di dollari, non è riuscito a salvare la Eastman Kodak dalla bancarotta.
Nel 2009 il presidente Barack Obama insignisce Steve Sasson della Medaglia Nazionale della Tecnologia e dell’Innovazione in una cerimonia alla casa bianca, il massimo riconoscimento negli usa per gli ingegneri e per gli inventori. La sua prima fotocamera digitale del 1975 è conservata al National Museum of American History.
Nel 2010 la Leica dedica a Sasson una versione limitata della Leica M9.
Nello stesso anno la Kodak decide di ritirare la produzione della pellicola Kodachrome e concede l’utilizzo dell’ultimo rullino, prodotto il 30 dicembre 2010, a Steve McCurry (il quale aveva fatto molte delle sue migliori foto con questa pellicola, compresa quella della ragazza afgana Sharbat Gula nel 2002) per utilizzarlo in un reportage chiamato The Last Roll. McCurry dichiarò: “è stata una pellicola meravigliosa”. Queste foto sono state esposte anche al Macro di Testaccio.
Nel 2011 Sasson viene introdotto nella Hall of fame degli inventori.
Ai primi del 2012 il ramo fotografia (pellicole e macchine fotografiche) della Eastman Kodak è finito in amministrazione controllata.
Nel 2013 si è esaurita la procedura di fallimento della società e ne è emersa una nuova, che mantiene il marchio storico e ha deciso di concentrarsi su alcuni settori, nessuno dei quali è rivolto al grande pubblico.
Durante le procedure di fallimento sono stati venduti molti degli oltre 1.100 brevetti registrati nel corso degli anni per le pellicole fotografiche e nel settore del digitale, mentre per pagare le pensioni degli ex dipendenti sono state scorporate o vendute anche molte altre attività della società nel settore degli scanner e dei prodotti da vendere al dettaglio. È stato chiuso anche il settore che si occupava di macchine fotografiche. La rete dei circa 105 mila chioschi e piccoli negozi per lo sviluppo di fotografie è stata venduta al fondo pensioni della società nel Regno Unito.
A parte le miopi strategie di mercato dei dirigenti Kodak, è stata la tecnologia, con la possibilità di digitalizzare le immagini, a sancire la fine della pellicola e, di conseguenza, della Kodak stessa.
Il cambiamento al digitale è stato epocale: la fotografia esce dalla carta, si tuffa sul web e soprattutto sulle piattaforme social. L’esigenza di avere la foto tra le mani viene sempre meno e la fine della Kodak è arrivata così, lenta ma inevitabile. Ad ucciderla quindi non è stata la tecnologia, ma tutti noi, assecondando, senza colpa, i nuovi strumenti, in modo spesso esasperato.
A quel punto, forse era necessario chiudere. Il compito della Kodak, cioè rendere la fotografia una cosa di tutti, era compiuto. Perché aspettare oltre?
Ma la storia si sa, non sempre va come ce l’aspettiamo, così succede che nel 2015 sei tra le maggiori case di produzione cinematografica americane si sono unite per farla sopravvivere, firmando un accordo che prevede acquisti anticipati di pellicola Kodak così da mantenere ancora operativi gli impianti di produzione della società.
Non si tratta solo di un intervento di solidarietà. Dietro c’è anche la predilezione per un certo tipo di fare cinema che resiste al più avanguardistico digitale. Basti pensare che il regista J.J. Abrams ha girato il settimo episodio di Star Wars su celluloide, che Christopher Nolan l’ha usata per Interstellar e poi Tenant e che Martin Scorsese, uno dei promotori dell’iniziativa, in una lettera aperta pubblicata da la Stampa, aveva ricordato come la “pellicola, ancora oggi, offra una tavolozza visuale più ricca di quella del digitale, la migliore maniera per conservare i film, l’unica a prova di tempo”.
Nel 2018 Kodak annuncia il lancio di una criptovaluta, chiamata KodaCoin, le azioni dell’azienda salgono del 125%. Progetto poi miseramente fallito.
Nel 2020 Eastman Kodak, riceve un finanziamento pubblico di 765 milioni di dollari per avviare un processo di trasformazione in produttore di componenti per medicinali. La straordinaria operazione ha scatenato un’impennata del titolo del gruppo a Wall Street, dove è salito di oltre il 200 per cento.
Purtroppo il finanziamento è stato in seguito bloccato a causa di sospetti sul comportamento dei vertici dell’azienda nella gestione delle azioni prima dell’annuncio dell’operazione stessa.
La Kodak nel tempo è diventata qualcosa di molto distante da quanto idealizzato dal suo fondatore e di tutto quello che è successo dopo la sua morte ci piacerebbe proprio sapere cosa ne pensa George Eastman da lassù.
Enrico Quattrini