La fotografia e le immagini computazionali

Ci troviamo in un periodo storico particolare, dove le definizioni, le regole, la pratica, sono oggetto di riscrittura, fanno cioè parte di un processo innovativo che non ha bisogno del passato.
La fotografia, nel suo aspetto tecnico, rientra in questa categoria. Che cosa è la fotografia oggi non fornisce la stessa risposta alla domanda fatta ieri.

Chi segue un corso di fotografia, quello dove vengono insegnate le basi, impara che essa consiste in due passaggi: l’esposizione, cioè il saper regolare tempo e diaframma in funzione della sensibilità, della pellicola o del sensore; lo sviluppo di un negativo o di un file RAW.
Scrivere con luce è questo esercizio, consapevole, che permette a ogni fotografo di rallentare il tempo o di fermarlo immediatamente in un istante preciso, ottenendo risultati opposti; oppure di mettere a fuoco ogni elemento della scena o di farlo su un punto in particolare, lasciando il resto sfocato. Di aumentare il contrasto o di ridurlo, di intervenire sulla gamma cromatica. Ci sono fotografi che addirittura considerano il taglio delle luci o delle ombre, come elementi della narrazione, non come difetti e quindi li cercano durante l’esposizione oppure in fase di sviluppo.
Il risultato di questa pratica è l’immagine fotografica o per semplicità, fotografia.

Andreas Feininger, in un libro del 1951 “Successful Photography”, arrivato in Italia esattamente dieci anni dopo con il titolo “Il libro della fotografia” scrive:

“Oggi un negativo tecnicamente perfetto può essere ottenuto da chiunque sappia usare i quattro seguenti strumenti di controllo: TELEMETRO (OPPURE VETRO SMERIGLIATO) per la messa a fuoco, ESPOSIMETRO per la posa, TERMOMETRO e CRONOGRAFO per lo sviluppo. La fotografia, in sostanza, è tutta qui.”

La bellezza di una immagine fotografica era innanzitutto abilità tecnica, quella di riuscire a ottenere un negativo perfetto; ma, attenzione, già Feininger notava come molta della «capacità tecnica» fosse inclusa nella macchina fotografica, permettendo anche un dilettante di non sbagliare.
Le fotocamere sono state, dunque, sviluppate in questo senso, vale a dire cercando di attrarre sempre più persone, con un apparecchio che semplifica la tecnica. Analogamente, anche il processo di sviluppo ha seguito lo stesso percorso, i laboratori di stampa prima, i software dopo.
L’astio che, per esempio, il grande fotoreporter Gianni Berengo Gardin ha sempre manifestato nei confronti delle fotocamere digitali durante le presentazioni dei sui libri o nelle interviste, mai considerate autentiche macchine fotografiche, perché piene di automatismi; non dovrebbe sorprendere.
Questi oggetti dalle capacità tecniche sofisticate, non hanno comunque impedito alle immagini ottenute di essere considerate ancora fotografiche. D’altra parte, il solo sviluppo di un file richiede studio e pratica.

L’immagine, però, smette di essere fotografica e diventa computazionale, quando l’esposizione non è più decisa da una persona, ma affidata al calcolo di un processore che, nelle intenzioni del costruttore, garantisce un risultato infallibile. La fotocamera non è più fatta di componenti che semplificano il lavoro, ma si sostituisce in tutto al fotografo.

Tutti gli smartphone di fascia alta hanno un modulo che produce immagini computazionali: messa a fuoco predittiva, intervento sulla profondità di campo successivamente allo scatto, HDR con soggetti in movimento, riconoscimento di oggetti o persone, di seguirlo con il cosiddetto tracciamento, capacità di distinguere una fonte luminosa da un riflesso, bilanciamento del bianco in maniera selettiva, machine learning per sviluppare lo scatto. Le animoticon, percui possiamo sostituire i nostri volti con le faccine delle emoticon, sono immagini computazionali.

Non scandalizza, perciò, il fatto che le immagini dei telefoni siano definite – con orgoglio – computazionali e non vere e proprie fotografie. Dovremmo, tra le altre cose, chiederci quanto una serie di algoritmi che semplificano il lavoro di composizione, esposizione e sviluppo, influiscano sulla libertà creativa di una persona; di come poter scattare alla maniera di un grande fotografo del passato, con l’apparecchio che si preoccupa di fornire tutti gli ingredienti e lasciare solo lo scatto alla persona, abbia senso; soprattutto, del fatto che anche le macchine fotografiche tradizionali, benché in parte già dotate di caratteristiche capaci di semplificare la tecnica, possano implementare questa tecnologia.
Nella definizione di Feininger, è il chiunque, la persona, a essere responsabile di ottenere un negativo tecnicamente perfetto, sapendo però padroneggiare la tecnica; non è il risultato in quanto tale che interessa.

Le immagini computazionali correggono continuamente gli errori, perché programmate per ottenere sempre risultati perfetti. Il racconto dello sbarco in Normandia di Robert Capa, così poetico per via di un errore in fase di sviluppo, non ci sarebbe. Il leggermente fuori fuoco è impossibile, al massimo contemplato come effetto. L’errore è un filtro, una scelta estetica.

Il futuro non sembra molto diverso per i software di sviluppo, in grado di fornire una regolazione automatica in funzione della tipologia di immagine, sfruttando l’intelligenza artificiale; di correggere le distorsioni geometriche con un click; di individuare il soggetto e ricomporre la scena, quindi i ritagli automatici; di rimuovere cose che vengono ritenute difetti, che sporcano il frame; di cancellare il micro-mosso o il mosso; di estendere la scena aggiungendo pixel; di sostituire lo sfondo, il meglio conosciuto content-aware. Senza contare che lo sviluppo non è mai definitivo, ogni regolazione diventa aggiornabile perché soggetta ai perfezionamenti software e hardware della macchina che li realizza, quindi avremo di un frame diverse release, release candidate, le versioni alpha, quelle beta, per non parlare delle correzioni intermedie che permetteranno di aggiungere addirittura un punto.

Ogni genere fotografico, lasciato nelle mani della computazione, può essere contaminato da logiche di profitto, di specifica divulgazione, di opportunismo politico. È possibile, per esempio, istruire una macchina a fotografare un conflitto bellico in funzione delle necessità editoriali, programmandola a eseguire un reportage che eviti di registrare le scene più crude, più drammatiche. Allo stesso modo si può programmarla a fare diverse pose, sovrapponendole per ottenere un frame dove ci sono solo le persone che sorridono. Si può dirle di distinguere i tratti somatici, quelli del colore della pelle, di escludere o includere determinate combinazioni cromatiche.

Il continuo accesso alla computazione per migliorare le immagini pone, inoltre, il problema del valore artistico ed economico delle fotografie, grazie a questo clima di esaltazione che esulta perché una macchina riesce a fare velocemente e facilmente, quello che le persone fanno faticosamente e con difficoltà. Alla fine, ci si ritrova con una verità, computazionale, in grado di affermare e confermare le abilità di calcolo e selezione, escludendo quella meravigliosa e faticosa pratica che è la dialettica.

 

https://graphics.stanford.edu/talks/compphot-publictalk-may08.pdf

Federico Emmi