Mandy Barker è una fotografa britannica di risonanza internazionale, riconosciuta per la sua capacità unica di trasformare uno dei disastri ambientali più gravi del nostro tempo – l’inquinamento da plastica negli oceani – in immagini che toccano le corde dell’emozione e della coscienza. I suoi lavori non sono semplici fotografie: sono atti di denuncia, testimonianze visive che parlano di un mondo naturale sopraffatto dai rifiuti, e di una bellezza che resiste anche sotto la superficie della crisi.
Con una carriera che abbraccia oltre quindici anni di ricerca visiva, Barker ha collaborato con scienziati, biologi marini e istituzioni accademiche in tutto il mondo. Ha preso parte a spedizioni scientifiche in luoghi remoti, documentando con rigore il tipo, l’origine e la quantità dei rifiuti plastici presenti in mare. In alcune di queste missioni ha raccolto detriti provenienti da tsunami, da isole patrimonio dell’UNESCO, da habitat naturali a rischio, portandoli poi in studio per trasformarli in composizioni visive che mettono insieme caos e ordine, degrado e bellezza.

Questa attenzione al dato scientifico, unita a una sensibilità visiva spiazzante, le ha fatto guadagnare un posto di rilievo nella scena artistica contemporanea. I suoi progetti, come SOUP, Beyond Drifting e Altered Ocean, sono stati esposti in spazi museali di altissimo profilo, tra cui il MoMA di New York, il Victoria and Albert Museum di Londra, Fotografiska a Stoccolma, e perfino nella sede delle Nazioni Unite. Le sue opere fanno parte di collezioni pubbliche e sono state presentate anche in contesti scientifici, educativi e politici, dal Parlamento Europeo alle conferenze internazionali sui rifiuti marini.
Il suo lavoro unisce bellezza e verità, arte e responsabilità. Mandy Barker non si limita a rappresentare un problema: lo affronta con ogni scatto, trasformando l’estetica in un ponte verso la consapevolezza. I suoi scatti sono affollati di frammenti di plastica raccolti a mano, ma disposti con un’intenzione visiva quasi coreografica, capaci di far riflettere senza moralismi.
Ha ricevuto premi, borse di studio e riconoscimenti da organizzazioni come la Royal Photographic Society e la National Geographic Society. Ma la sua vera forza sta nella coerenza e nella dedizione: ogni progetto nasce da anni di raccolta, documentazione e riflessione.



Grazie a iniziative come In Plain Site, che portano l’arte nelle strade e nelle piazze, il suo lavoro ha raggiunto anche un pubblico non specialista, aprendo nuovi spazi di dialogo sull’ambiente. Mandy Barker dimostra che la fotografia non è solo memoria o forma, ma può essere anche strumento di cambiamento. Un linguaggio che va oltre la superficie, come il mare che ama e difende.
Ecco la sua voce, diretta e senza filtri: le sue parole, il suo sguardo, la sua visione.
1. Raccontaci un po’ di te: come è iniziato il tuo percorso artistico e cosa ti ha portato a concentrarti sul problema dell’inquinamento da plastica negli oceani?
Sono Mandy Barker, una fotografa pluripremiata a livello internazionale, proveniente dall’Inghilterra, Regno Unito. Il mio lavoro si concentra sulla rappresentazione dell’enorme accumulo di detriti di plastica negli oceani di tutto il mondo, tema per il quale ho ricevuto riconoscimenti a livello globale. La motivazione del mio lavoro è sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tema cruciale e sui danni che provoca alla vita marina e, in ultima analisi, a noi stessi. Ho sempre avuto un forte interesse per la fotografia, ma ho iniziato a studiarla part-time e poi ho proseguito con un Master in Fotografia presso la De Montfort University. È stato proprio durante questo corso che ho cominciato a fotografare i detriti di plastica. Da bambina amavo stare vicino al mare e raccogliere oggetti naturali come legni levigati e conchiglie. Nel corso degli anni questi oggetti naturali sono stati sempre più sostituiti da rifiuti prodotti dall’uomo, in particolare la plastica. Ho iniziato a notare elettrodomestici come frigoriferi, computer, televisori sulle spiagge e mi sono chiesta come ci fossero arrivati. Ho sentito che era una questione ambientale di cui gli altri dovevano sapere, ed è stato questo che ha stimolato il mio lavoro: condividere questa esperienza con un pubblico più ampio.
2. Le tue opere uniscono estetica e impegno ambientale. Come bilanci questi due aspetti nel tuo lavoro?
Sebbene l’estetica sia importante, è un mezzo per attirare l’attenzione dell’osservatore. La parte fondamentale arriva quando le persone leggono le didascalie e le informazioni che rappresentano i fatti: come stiamo influenzando gli oceani e modificando gli ambienti naturali.
3. Hai collaborato con scienziati in varie spedizioni. In che modo questa collaborazione ha influenzato la tua pratica fotografica?
Lavorare con gli scienziati conferisce credibilità al mio lavoro, perché deve essere accurato per essere credibile. È essenziale per l’integrità del mio lavoro non distorcere le informazioni solo per creare un’immagine interessante e restituire la fiducia che gli scienziati hanno riposto in me, sostenendo il mio lavoro.
4. Come scegli i materiali per i tuoi progetti fotografici?
Gli oggetti di plastica che scelgo sono specificamente legati a un determinato luogo, oggetto o marchio che ritengo importante evidenziare come problema. Raccolgo una varietà di materiali quando visito le coste: a volte ci sono oggetti che colleziono per anni, altre volte posso trovare ciò che mi serve in poche ore o in un pomeriggio. Per l’immagine EVERY… Snowflake is Different, i pezzi di plastica bianca sono stati raccolti in due brevi visite a una riserva naturale. Per il mio lavoro recente Photographs of British Algae: Cyanotype Imperfections, che sensibilizza sul tema della fast fashion e delle fibre sintetiche, ho recuperato indumenti dal mare per 10 anni.
5. Quali tecniche fotografiche utilizzi per ottenere l’effetto visivo distintivo delle tue immagini?
Uso una varietà di tecniche diverse per coinvolgere pubblici differenti: da tecniche analogiche ai cianotipi, fino a una fotocamera che ho creato con detriti di plastica marina.
Per la serie SOUP l’approccio è nato dal messaggio che volevo comunicare: rappresentare l’accumulo di massa. Fotografare insieme plastiche di dimensioni diverse, dai minuscoli frammenti agli oggetti più grandi in primo piano, su sfondo nero, crea una sensazione di profondità. Ogni progetto è una scelta consapevole per riflettere un aspetto diverso del problema dei rifiuti di plastica, e il mio lavoro è in continua evoluzione.
6. Hai ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali: cosa significano per te e come hanno influenzato la tua carriera?
Non è mai stato il mio obiettivo vincere premi o concorsi, ma sono un riscontro positivo che mi permette di raggiungere un pubblico diverso. Quando ho iniziato, nel 2010, poche persone sapevano che la plastica si trovava nel mare; ora il mio lavoro ha avuto una risonanza che va ben oltre quello che avrei mai potuto immaginare. In questi 15 anni ho contribuito a sensibilizzare a livello internazionale, con il mio lavoro utilizzato da governi, nei programmi educativi in tutto il mondo, a conferenze internazionali sui detriti marini e alla Commissione Europea.




7. Le tue fotografie sono state esposte in musei e istituzioni in tutto il mondo. Qual è stata l’esperienza espositiva più significativa per te e perché?
Ho avuto esposizioni importanti in grandi istituzioni, ma ciò che conta davvero per me è l’interazione e la reazione del pubblico, ovunque essa avvenga. Spesso mi capita che le persone piangano durante le mie mostre. Se c’è una risposta positiva e le persone vogliono sapere cosa possono fare, per me questa è una mostra di successo, indipendentemente dal luogo.
8. Hai partecipato al progetto In Plain Site Exhibition: pensi che eventi come questo aiutino a sensibilizzare il pubblico su questi temi ambientali?
È un’opportunità per raggiungere nuovi pubblici e comunità in un altro Paese, città o ambiente. È un’occasione per coinvolgere le persone in un dialogo uno a uno, in uno spazio sicuro e aperto, attirarle e poi informarle e sensibilizzarle sul problema.
9. C’è un momento o un rituale che ti aiuta a entrare nel “flusso” creativo durante le tue sessioni fotografiche?
Fotografo in un seminterrato buio con una sola fonte di luce direzionale, così è facile immaginare di essere sott’acqua. Cerco di immaginare l’oceano senza plastica e di pensare a tutta la vita marina che lo abita.
10. C’è un libro, un film o un artista che ti ha particolarmente ispirato nel tuo percorso artistico?
Silent Spring di Rachel Carson è un libro iconico che ho letto molti anni fa e che continua a rimanermi impresso. Ci sono molti artisti, scrittori e musicisti che collettivamente mi hanno ispirata, ma l’influenza più importante è la natura stessa: può essere qualsiasi cosa, dal modo in cui la plastica si presenta sulla riva ai canti degli uccelli.
11. Che consiglio daresti a un giovane fotografo che vuole intraprendere un percorso simile, unendo arte e impegno ambientale?
Scegli un tema che abbia un significato per te, perché è probabile che allora sarà interessante anche per gli altri. Cerca consigli e feedback, non deve essere necessariamente da un’istituzione accademica: chiedi a familiari, amici, persone della comunità, perché sono loro il pubblico che vuoi raggiungere. Fai conoscere il tuo lavoro, esponilo anche in un caffè o in un negozio: non puoi sapere chi lo vedrà e come questo potrà far evolvere il tuo percorso.
12. Su cosa stai lavorando attualmente? Hai un nuovo progetto o un tema che ti appassiona e vorresti esplorare in futuro?
Sono impegnata a fotografare il tema dei detriti di plastica marina finché ne avrò la possibilità. Ci sono sempre nuove ricerche scientifiche e ancora molto da scoprire, purtroppo: ho lavoro a sufficienza per il futuro prossimo. Ora abbiamo microplastiche nei nostri organi, nel cervello e nel sangue. Credo che scopriremo gli effetti di tutto questo solo negli anni a venire.



Per chi desidera approfondire la sua storia e il suo lavoro, potete visitare il sito www.mandy-barker.com
Inoltre, informiamo i nostri lettori italiani che Mandy Barker esporrà in Sicilia, a Gibellina, da giugno durante il Gibellina PhotoRoad Festival, che celebra la sperimentazione artistica e le grandi installazioni fotografiche all’aperto. Le sue opere saranno presentate nella piazza centrale e proiettate sulla sfera monumentale della Chiesa Madre. Alcune delle fotografie esposte a Gibellina saranno inedite rispetto a quelle presentate a In Plain Site.
In chiusura, vogliamo ringraziare Mandy Barker per questa intervista appassionata e per il suo instancabile impegno nel dar voce al mare e alle sue ferite. Le sue fotografie ci ricordano che l’arte può diventare uno strumento potente per combattere l’indifferenza e costruire un futuro più consapevole.
Mariantonia Cambareri