Oggi scrivere saggi in tempi bui comporta, nelle parole di Jonathan Frenzen, che: «l’assunto su cui si fondano i social media è che anche la più piccola micronarrazione soggettiva meriti non solo un’annotazione privata, come in un diario, ma una condivisione con altra gente» e c’è una pratica molto in voga che può essere assimilata a una micronarrazione, quella della selfie fotografia da viaggio.
Si stima che il numero di persone che visita Venezia in un anno è pari a 24.000.000, ventiquattro milioni. Considerato che i veneziani sono 260.000, per ogni abitante ogni giorno ci sono 25.3 stranieri, spalmati su 415 chilometri quadrati fanno 158.4 turisti per chilometro quadrato, contro 1.7 dei veneziani. Per fare un paragone, il Ministero dell’Interno, nella sezione dati e statistiche del suo sito istituzionale nella più recente comunicazione in tema di immigrazione, quella del 29/07/2019, dice che il trend è in forte diminuzione. Infatti, complessivamente nel 2017 gli sbarchi sono stati 119.369, nel 2018 23.370, infine nei primi sette mesi del 2019 3.640. Poca cosa, rispetto ai 24.000.000 di persone che ogni anno trascorrono qualche giorno a Venezia. Neanche considerando tutti gli stranieri presenti Italia che, secondo le ultime rivelazioni dell’Istat, supera di poco i cinque milioni di persone, si riesce ad arrivare al totale dei turisti annui.
In uno studio pubblicato alla fine del 2018 sul sito Think Tank della UE intitolato Overtourism: impact and possible policy responses, si porta all’attenzione della Commissione e del parlamento il fenomeno dell’overturismo, definito nel seguente modo:
Overtourismo descrive la situazione in cui l’impatto del turismo, in determinati periodi e in determinate località, supera le soglie di capacità fisica, ecologica, sociale, economica, psicologica e/o politica.
Un contributo importante a questo fenomeno, lo forniscono anche le piattaforme social che ormai vengono sfruttate dagli utenti per scegliere la destinazione “migliore”, quella più attraente, da visitare per pochi giorni. Non si contesta il fatto che il turismo abbia degli effetti positivi sull’economia, fin tanto che è controllato e regolamentato, ma l’eccesso perché le conseguenze diventano drammatiche e riassumibili in un accentuato malessere per i residenti, costretti a subire: l’affollamento della loro città, l’utilizzo intensivo dei mezzi di trasporto, l’aumento del costo delle utenze, i turisti fanno uso di acqua, energia e producono rifiuti, un maggiore inquinamento dovuto al numero giornaliero di autobus da turismo e aerei, il comportamento spesso maleducato dei visitatori, a cui corrisponde il progressivo degrado ambientale, i danni ai monumenti storici, la perdita di identità della città, l’aumento del costo della vita.
È pertanto quel connubio tra parole e immagini, alla continua ricerca della migliore posizione in classifica, di attrarre più persone possibile, di influenzare. La fotografia, quella social, fatta di condivisione compulsiva, di selfie, cioè la micronarrazione soggettiva per immagini, che collabora a questo consumo eccessivo delle città, delle isole, delle aree archeologiche e naturali, senza per altro raccontarne la vera bellezza, ma usandole spesso come sfondi. Tutto grazie alla possibilità di viaggiare e alloggiare a costi contenuti, eccessivamente contenuti. Una semplificazione distruttiva, basterebbe confrontare la Venezia intima e silenziosa affidata alla delicatezza del bianco e nero di Fulvio Roiter, di quaranta anni fa, con quella degli ultimi anni, in larga parte ottenuta con i telefoni, con filtri che amplificano colori e forme, per comprendere cosa il turismo di massa ha determinato, cosa ha portato via. Se da una parte i barconi del mare pieni di gente disperata sono il problema da risolvere, dall’altra le navi da crociera grandi e ingombranti e per giunta anonime entrano fin dentro la città di Venezia, non sembrano rappresentare un pericolo, neanche quando nel gioco degli inchini finiscono per colare a picco, come accaduto a ridosso dell’isola del Giglio.
Lontani gli anni in cui Guido Piovene scriveva: «mi chiedo se saprò veramente vedere una città come Venezia». Al contrario oggi pochi hanno idea di cosa vedono, l’importante è esserci stati, coraggiosi, senza sapere in quale storia sono finiti. È semplicemente un flusso continuo da una attrazione che viene prima di una a una che viene dopo un’altra, punti di transito da riprendere, fotografare e necessariamente da condividere.
La condivisione spacciata per promozione del territorio, innocente e scherzosa, con tutti gli hashtag messi in fila, finisce per diventare occasione per la progressiva invasione, come avvenuto con Val Verzasca o come nelle tradizionali occasioni di festa paesana che improvvisamente diventano sovraffollate.
Luoghi incontaminati che si contaminano, che vengono letteralmente modificati per un’accoglienza massiccia, sovradimensionata, tutto per soddisfare quello strano appetito che costringe le persone a mangiare sé stesse pur di rimanere sempre in primo piano, il tutto condito di emoticos, tra un igers qualcosa e un insta qualcos’altro.
Federico Emmi