«Io sono tutto ciò che dice il mio album di fotografie»
Nella coinvolgente e ben realizzata miniserie francese Becoming Karl Lagerfeld, interpretata in maniera convincente da Daniel Brühl, la presenza di Andy Warhol, impersonato da Paul Spera, non poteva che essere imprescindibile. Sebbene sia una breve apparizione, limitata al terzo episodio, intitolato “A letto con Karl“, la sua partecipazione è tanto incisiva quanto ben sceneggiata. Le poche battute che pronuncia, infatti, sono capaci di restituire l’essenza di un personaggio complesso, timido, affascinante, dotato di un magnetismo unico e di una forte ironia:
«Tutte le volte che vengo a una soirée parigina, ho l’impressione di rovinare la festa. Anche se è in mio onore.»
La battuta avrebbe potuto proseguire riprendendo quanto Warhol stesso ha scritto in America: «Sono uno a cui piacerebbe starsene a casa ad assistere a ogni festa dove è stato invitato, standosene davanti a un monitor in camera da letto.» Tuttavia, nella caratterizzazione del personaggio, gli sceneggiatori hanno scelto non solo di limitare la sua apparizione, giustamente, ma anche di mostrarlo privo della sua inseparabile macchina fotografica, ingiustamente, considerato che era noto per scattare almeno un rullino al giorno.
In effetti, Andy Warhol aveva un legame simbiotico con il mezzo fotografico, utilizzato sia come strumento di registrazione sia come parte fondamentale del suo processo creativo. Per quanto sia ricordato come un grande artista, celebre per le sue serigrafie e per il suo ruolo di principale esponente della Pop Art, nonché come interessante sperimentatore nel cinema, illustratore e stilista, scrittore, la sua figura di fotografo è spesso trascurata. Warhol ha dedicato gli ultimi vent’anni della sua vita alla fotografia, con una produzione di 130.000 scatti, eppure non viene riconosciuto come uno dei più singolari e importanti fotografi del Novecento. Ben vengano, pertanto, tutte le pubblicazioni che mostrano il lavoro di Andy Warhol come fotografo.
Tra queste, un posto di rilievo lo occupa sicuramente la Taschen, che ha avuto il coraggio e l’intuizione di dedicare più di un libro alle sue fotografie. Il primo di cui ci occupiamo è quello intitolato Andy Warhol. Polaroids 1958-1987,che raccoglie una nutrita selezione di immagini che vanno dal 1958 al 1987 in un solo e unico formato, per l’appunto quello della Polaroid. La proposta editoriale è del 2015, presentata in un’edizione pregiata e molto costosa, di lusso e da collezione per intenderci, per poi essere riproposta successivamente in una versione più accessibile, di grande formato, stampato in alta qualità, ma comunque non particolarmente costosa, infine anche in una versione tascabile, di rapida consultazione. Polaroids di Andy Warhol è un libro assolutamente da avere, ancora oggi rappresenta una novità, grazie al rinnovato sentimento e interesse per la fotografia istantanea.
«Una persona bella in fotografia è diversa da una persona bella in carne e ossa.»
Andy Warhol si avvicinò alla Polaroid durante i suoi primi anni a New York, tra il 1958 e il 1959, principalmente per documentare le sue opere e per trarre ispirazione per le sue campagne pubblicitarie. Le prime Polaroid, prevalentemente in bianco e nero, mostrano già il suo interesse per questo mezzo. Con il tempo, la Polaroid divenne lo strumento per immortalare soprattutto gli amici, catturando attimi di vita nella Factory, con le sue opere d’arte come sfondo. In questi anni, gli autoritratti di Warhol, realizzati con doppie esposizioni o davanti a specchi, testimoniano la sua voglia di sperimentare con la fotografia.
«La fotografia era al centro delle attività di Warhol dopo il 1962, e ne sfruttava le proprietà meccaniche — la facilità e velocità con cui si creavano le immagini, il realismo a basso costo, la serialità automatica e la straordinaria capacità riproduttiva — con una dedizione senza pari rispetto ai suoi contemporanei.»
Andy Warhol impiegava la fotografia come base per le sue serigrafie, nonostante molte delle sue opere fossero create a partire da immagini non sue. Per onestà di cronaca, questo ha sollevato interrogativi nel corso degli anni riguardo al suo diritto di utilizzare queste fotografie come punto di partenza per le sue creazioni, senza il consenso dei fotografi originali. Un caso significativo è quello della fotografa Lynn Goldsmith cha ha ottenuto un verdetto favorevole riguardo l’uso della sua fotografia di Prince da parte di Warhol.
L’aspetto commerciale di un’opera non dovrebbe interessare l’arte, soprattutto nel caso di Warhol che ha dedicato gran parte della sua produzione a esplorare la relazione tra arte e mercato, come già aveva concettualizzato Walter Benjamin ne “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, mettendo cioè in discussione l’unicità dell’opera d’arte e la sua autenticità quando questa può essere facilmente riprodotta, copiata. Per questa ragione le sue scelte tematiche spesso sono legate a icone della cultura pop, come celebrità e prodotti di consumo, perché vogliono sottolineare la superficialità e il valore simbolico di tali immagini. D’altra parte, Warhol stesso è parte integrante di questo sistema: anche egli è un prodotto di consumo, e figure come Prince rappresentano solo una delle tante celebrità che popolano la cultura di massa, la quale tende a ridurre o annullare l’autenticità di un’opera. Richard B. Woodward, nell’introduzione a Andy Warhol. Polaroids 1958-1987, evidenzia questa intercambiabilità dei soggetti, partendo da un’osservazione interessante, definendola una curiosa anomalia: Warhol è stato il primo artista a scattare fotografie di altri e a essere fotografato in uguale misura. Quanti artisti possono vantare di aver immortalato i propri simili e di essere stati altrettanto rappresentati? Questo mette in luce l’importanza della fotografia per Warhol e spiega la sua frenetica attività fotografica.
«Mi ingelosisco quando uno fa una foto mossa con la sua Instamatic, anche quando scatto la più nitida Polaroid della stessa scena. Insomma, vado fuori di testa quando non posso avere la prima scelta di tutto.»
La conseguenza di questa necessità è che a partire dal 1968, l’uso della Polaroid da parte di Warhol diventa più metodico e raffinato. Le sue Polaroid assumono diversi ruoli: fungono da bozze per opere future, come per l’appunto le serigrafie; diventano opere finite destinate a riviste, copertine di album o campagne pubblicitarie; includono ritratti su commissione, infine, si trasformano in un diario visivo della sua vita, un album di volti che spazia da celebrità ad amici intimi. Tutte queste diverse possibilità di espressione affidate alla Polaroid possono essere apprezzate nella selezione offerta dalla Taschen. Attraverso una divisione in periodi, pagina dopo pagina, si incontrano un’incredibile varietà di personaggi: artisti come Jasper Johns, Robert Rauschenberg e Roy Lichtenstein; figure dell’era modernista come Man Ray, Max Ernst e Salvador Dalí; artisti emergenti degli anni ’80 come Julian Schnabel e Robert Mapplethorpe; personalità del mondo dell’arte come curatori, mercanti e collezionisti; un’infinita schiera di attori, musicisti, fotografi, scrittori e amici che animavano la vita di Warhol.
«La gente mi considera un festaiolo da rotocalco anni ’60, che gira abitualmente con “seguito” di almeno sei persone, può chiedersi come io possa considerarmi un “solitario”.»
È anche un libro che permette di conoscere i diversi tipi di fotocamere Polaroid: dalla Polaroid Big Shot, tanto impopolare tra i fotografi professionisti, quanto la preferita di Warhol; alla Polaroid SX-70, notevolmente più versatile. Grazie a un ottimo lavoro di impaginazione, è possibile scoprire l’approccio alla fotografia di Andy Warhol, così come calarsi in un mondo talmente spensierato e festaiolo, da sentirne oggi la mancanza. Ogni ritratto, ogni oggetto, ogni paesaggio, con il flash, senza, con un filtro, senza, è una testimonianza di cosa volesse dire abbandonarsi al divertimento, all’allegria, alle passioni, al sesso. Era una società che non sapeva ancora mettersi in posa, che non conosceva la codificazione dell’apparire mediaticamente, senza parole chiave e alla ricerca di un’approvazione. Sono scatti che mostrano la facilità e il desiderio di uscire dagli stretti confini di una morale rigida, per abbracciare una vita vissuta intensamente.
«Mi piace dipingere su un quadrato perché non hai bisogno di decidere se deve essere orizzontale o verticale o più lungo o più corto: è semplicemente un quadrato»
Il successo di Instagram è proprio il quadrato, non è pertanto una fantasia pensare a un profilo di Andy Warhol con le sue Polaroid. Richard B. Woodward, sempre nell’introduzione, pur accarezzando questa fantasia, afferma di non essere sicuro che egli ne sarebbe rimasto affascinato, limitandosi ad ipotizzare che molto probabilmente ne avrebbe apprezzato “il feedback istantaneo”. La Polaroid, con la sua immediatezza, anticipa certamente alcuni aspetti della fotografia digitale e dei social media, ma malgrado l’ipotetica attrazione che Warhol avrebbe potuto provare per queste tecnologie, è molto probabile che il suo spirito anticonformista lo avrebbe portato a distinguersi dalla massa. Le Polaroid di Andy Warhol non sono solo un documento visivo di un’epoca, ma anche un’esplorazione profonda della società dell’immagine. Qual è la nostra identità in un mondo sempre più dominato dalle immagini?
«La gente dovrebbe innamorarsi a occhi chiusi. Basta chiudere gli occhi. Non guardare.»
Federico Emmi
Andy Warhol. Polaroids 1958-1987
Edizione: Multilingue (Francese, Inglese, Tedesco)
Copertina rigida, 22.9 x 28.9 cm, 2.31 kg, 408 pagine
https://www.taschen.com
Le citazioni sono estratte dai seguenti testi:
Andy Warhol. La filosofia di Andy Warhol. Da A a B e viceversa. Feltrinelli, 2016
Andy Warhol. America. Feltrinelli, 2017
Richard B. Woodward. Andy Warhol. Polaroids 1958-1987. Taschen, 2022
Becoming Karl Lagerfeld, miniserie, 2024