“Metanopoli è molto più di un quartiere. Per noi è l’espressione di una speranza” (Enrico Mattei).
Fino al 29 giugno è possibile visitare, presso la Cascina Roma di S. Donato Milanese (MI), la mostra “Metanopoli. Attualità di un’idea”, realizzata in collaborazione con l’Archivio Gabriele Basilico, che, attraverso le immagini del noto fotografo milanese scattate negli anni ‘90, documenta il progetto visionario – forse troppo poco noto – di Metanopoli: una sorta di “città ideale” voluta all’inizio degli anni ‘50 da Enrico Mattei per i dipendenti dell’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI), esperimento urbanistico all’avanguardia che costituisce ancora oggi un museo a cielo aperto di architettura, con edifici immersi nel verde a firma di grandi progettisti del tempo.
La “città del Metano” nacque agli inizi del 1952, quando Mattei – a capo della neonata Società ENI – affidò all’architetto e urbanista Mario Bacciocchi la pianificazione di una nuova “città-giardino” nel territorio di San Donato Milanese, alle porte di Milano, a metà strada fra le zone di estrazione del metano della Pianura Padana e gli altiforni di Sesto San Giovanni, in un’area strategica tra la storica via Emilia, l’aeroporto di Linate e l’Autostrada del Sole.
Il modello urbanistico cui guardava Mattei era il villaggio aziendale, in linea con la concezione italiana di paternalismo industriale alla base dei villaggi operai ‘800-‘900eschi e ispirato alle new town o ai garden suburbs britannici e americani, in sintonia con la coeva realizzazione di Ivrea da parte di Adriano Olivetti, seppur, a differenza di quella, fondato ex novo in un’area circondata da risaie e campi di granturco in cui non esisteva alcun impianto produttivo. Mattei voleva infatti un centro organizzativo e amministrativo efficiente, moderno e vitale, in cui convivessero funzioni produttive, sociali e residenziali a bassa densità abitativa, in grado di garantire ai dipendenti comodità e benessere – aspetti centrali per il buon funzionamento dell’azienda – attraverso “un atteggiamento progettuale non usuale nell’affrontare il tema della città nel quale architettura e natura, con pari dignità, concorr[eva]no alla definizione dello spazio abitato” (A. Nulli).
In breve tempo la zona, sulla base di un masterplan caratterizzato da uno schema libero e aperto, adattabile nel tempo, nel quale inserire progressivamente le diverse funzioni in relazione all’evoluzione demografica e produttiva (cosa che avvenne dagli anni ‘50 agli anni ’90 con espansioni e modifiche successive attraverso nuovi piani urbanistici volti ad armonizzare la città di SNAM con l’intorno) si trasformò in “città del terziario”, polo direzionale di eccellenza e innovazione in cui agli uffici centrali delle società del gruppo si affiancavano il quartiere scientifico – fiore all’occhiello della ricerca in Italia – con i laboratori scientifico-tecnici e la Scuola di Studi Superiori sugli Idrocarburi per la formazione di quadri e dirigenti, e il quartiere industriale, con le officine e i magazzini della SNAM.

A fianco delle zone destinate a uffici, entro viali alberati e spazi a verde progettati da Piero Porcinai (uno dei più grandi paesaggisti del Novecento italiano), attraverso un sistema viario volto ad unire anziché separare, furono edificati i quartieri residenziali per i lavoratori, con le case “a vita di vespa” di Vittorio Gandolfi alternate ad edifici in linea o a “V” e a palazzine per dirigenti con loggiati, oltre a un centro sportivo con campi da calcio e tennis, piscina coperta e scoperta, un poliambulatorio, una scuola ed esercizi commerciali, tra cui uno dei primi supermercati.

A completamento del quartiere la chiesa di Santa Barbara (1955), con opere di Arnaldo e Giò Pomodoro, Cassinari e Cascella, e quella di Sant’Enrico (1962-65), in cemento armato a vista con pianta a “resega”, realizzata su progetto di Ignazio Gardella e così intitolata a ricordo di Mattei.


Il quartiere si sviluppò nel corso del tempo con esperienze architettoniche diversificate in relazione alla crescente importanza di ENI, tali da diventare icone della Società: dal Motel per camionisti – nuova tipologia edilizia importata dagli USA (oggi trasformato in hotel) – alla Stazione di Servizio Carburanti (oggi riconvertita in bar-tavola calda), entrambi di Bacciocchi, fino ai palazzi per uffici realizzati nell’arco di trent’anni.

Tra questi il primo, detto il “Castello di Vetro”, degli anni ’50, di Marcello Nizzoli (ideatore della macchina da scrivere Olivetti “Lettera 22”) e Gianmario Oliveri, è una torre di 14 piani caratterizzata da tecnologie costruttive avanzate per l’epoca, composta da corpi esagonali sovrapposti – a ricordo di una molecola di benzene – sulla cui sommità c’era un giardino pensile su cui affacciava l’appartamento di Mattei; il secondo, degli anni ’60, opera di Marco Bacigalupo e Ugo Ratti, con pianta a forma di Y e facciate in curtain wall; il terzo, degli anni ’70, dello studio Albini-Helg-Piva, con planimetria a crociera e prospetti a fasce orizzontali rosse alternate a bande vetrate; il quarto, degli anni ’80, a corte, formato da due volumi a “L”, con un’austera facciata continua in calcestruzzo a vista.


Non da ultimo il quinto, degli anni ’90, di Roberto Gabetti e Aimaro Isola, che fronteggia i primi due formando un ideale ingresso tecnologico alla città di Milano, è costituito da una composizione modulare di elementi cubici con profilo a gradoni in cristallo verde-azzurro, concepito come “una sorta di concrezione geologica artificiale, in cui la vegetazione cresce romanticamente come in un paesaggio ruderale di Poussin” (A. Nulli), con specchi d’acqua, giardini pensili sulle terrazze e una serra di idrocultura che avvolge l’intero edificio.

Nonostante le successive trasformazioni della zona, giunte fino ai giorni nostri (con il Quartiere Affari dello studio Kenzo Tange, Le torri lombarde e il sesto Palazzo per Uffici dello Studio Morphosis e Nemesi & Partners), “l’avventura di Metanopoli si potrebbe definire conclusa negli anni Novanta”, con la creazione di “una città giardino ordinata e ariosa, che ancor oggi segna un salto di qualità rispetto a tutto ciò che è venuto nel suo secondo trentennio di espansione” (F. Irace).
Ed è proprio a questo periodo che risale l’incarico – da parte della SNAM – di documentare la vicenda edilizia e urbanistica di Metanopoli chiamando Gabriele Basilico (1944-2013), uno tra i più importanti fotografi italiani del Novecento, all’epoca già noto a livello internazionale, chiedendogli di raccontarne il progetto con un nuovo sguardo, immortalando in soli tre giorni – il 15, 16 e 24 maggio 1993 – non solo gli edifici simbolo dell’azienda, ma anche il “villaggio per i dipendenti, dall’impianto razionalista modellato sulle stratificazioni della gerarchia aziendale” (come era definito nelle Guide di architettura del tempo, senza che ci si soffermasse sulla sua vicenda edilizia e urbanistica).
Per il fotografo, di formazione architetto, da sempre guidato da un profondo interesse per le architetture e per il paesaggio urbano e le sue trasformazioni, “grande conoscitore della complessità delle strutture costruite dall’uomo e della progressiva e inarrestabile antropizzazione del territorio che caratterizza l’epoca industriale e postindustriale”, questo rappresentava “un incarico professionale entusiasmante”, che gli offriva “la possibilità di alimentare il suo interesse per le “periferie”, uno dei territori di indagine preferiti, ma al tempo stesso di misurarsi con un progetto urbanistico di grande lungimiranza che si ispirava programmaticamente alla Ivrea dell’Olivetti, dove già aveva lavorato”.
A distanza di 32 anni, la mostra di San Donato Milanese propone una selezione di questo lavoro – all’epoca parzialmente pubblicato nel volume da cui prende il titolo la mostra – con fotografie ritrovate perfettamente conservate all’interno dell’archivio.

L’allestimento, semplice ed essenziale, disposto lungo le pareti delle sale del primo piano di un complesso agricolo di antica fondazione oggi trasformato in spazio espositivo e culturale, evidenzia il contrasto tra la storicità del luogo e la modernità (seppur datata) di quanto raffigurato, con una selezione di fotografie tratte dall’originario corpus di 144 immagini (48 rulli a colori in due diversi formati, da 6×9 cm e 6×12 cm, di cui solo 50 consegnate al committente), che immortalano le varie tipologie di edifici, raccontando “un quartiere, anzi una città, a misura d’uomo, del lavoro e dei suoi abitanti” e il ruolo strategico di primo piano che essa ebbe di fronte a una “città-regione” allora in formazione.


A differenza della fotografia a cui Basilico ci ha abituato, per lo più in bianco e nero, asciutta ed essenziale e di grande formato, qui siamo di fronte a immagini a colori di medio formato, realizzate in un breve lasso di tempo senza banco ottico, sempre però caratterizzate dalla medesima passione per il costruito e da uno stile documentario coerente e rigoroso privo della presenza umana, volto a restituire il senso delle architetture e del contesto che le circonda: il fotografo infatti, “come di consueto, percorre e ripercorre le strade in attesa del momento nel quale le presenze umane non disturbino la sua percezione degli spazi. La sua attenzione è concentrata sui nuovi, scintillanti edifici, sempre rispettosa, tuttavia, della loro relazione con l’ambiente circostante”.
Oltre al valore documentario delle fotografie esposte, che cristallizzano un’epoca ormai passata, la mostra ha il merito di riproporre all’attenzione del pubblico un’importante vicenda urbanistica, spesso sottovalutata, che ha consentito, nonostante le trasformazioni degli ultimi anni, di conservare l’identità di questa zona del sud-est milanese – altrove caratterizzato da un’edificazione caotica e disordinata – con case basse circondate da viali alberati e giardini, permettendo altresì – recandosi a poche centinaia di metri dal luogo di esposizione – di poter vedere dal vivo le architetture immortalate, in quel confronto tra passato e presente (alla ricerca delle trasformazioni del territorio) caro a Basilico stesso, affinché l’attenzione dell’osservatore vada oltre i palazzi per uffici e il Motel affacciati sull’Autostrada del Sole, “parti di quella quinta turrita e vetrata […] comunemente accettata come uno dei simboli dell’Italia in espansione”.
Patrizia Dellavedova
Foto di copertina: Secondo Palazzo Uffici, da via Bonarelli © Gabriele Basilico, 1993, Archivio Gabriele Basilico.
Ove non diversamente specificato le foto sono dell’autore.
La ringrazio davvero. Testo preciso, completo, ricco di informazioni e ben scritto.
Molte grazie a lei!