Giovanni Cecchinato, fotografo professionista di architettura e interni, molto attivo in ambito culturale fotografico, ha recentemente lanciato un nuovo interessante progetto che riguarda la statale SS51. Quattro anni di lavoro lungo questa strada che ha tante storie da raccontare.
Abbiamo raggiunto Giovanni affinché ci raccontasse il suo approccio alla fotografia di paesaggio e il suo nuovo progetto.
Raccontaci la tua personale storia con la fotografia.
La fotografia è da sempre una grande passione che dagli anni 2000, per tutta una serie di vicissitudini personali, è diventata anche una professione. Ho iniziato in uno studio importante a Mogliano Veneto, con un socio, per poi affrancarmi ed avviare un’attività tutta mia dal 2010. Ho collaborato con molte aziende, ho un pubblicato molto vasto proprio per il lavoro che ho svolto con gli hotel e le grandi catene alberghiere, ma anche lavori di advertising (still life e moda).
Sono molto attivo anche in ambito culturale, relativamente alla fotografia; prendendo avvio da un mio progetto del 2015 che si chiama “Evolutio viso”, ispirato a un lavoro di Gabriele Basilico degli anni 2000, innestai infatti una collaborazione con l’Assessorato alla Cultura di Venezia ed il Centro Culturale Candiani ed insieme avviammo una manifestazione, “Lo sguardo e l’ombelico”, che porta grandi autori della fotografia qui a Mestre, per parlarne direttamente di fronte ad un pubblico di 250-300 persone. Uno dei primi autori fu Efrem Raimondi.
Qual è la tua formazione e quali sono le tue fonti di ispirazione, anche al di fuori del campo fotografico?
Sicuramente il cinema, assieme alla letteratura e alla musica. Per me è una di triade magica.
Per quanto riguarda i libri, fondamentali sono quelli dei grandi maestri di fotografia, non solo del paesaggio, ma anche dedicati alla figura umana o al reportage: l’analisi dei loro lavori è per me essenziale.
Certo poi mi sono dedicato molto anche alla fotografia di luogo e paesaggio, le città, le parti urbane e l’edificato, perché a differenza della figura umana sono per me molto più importanti nell’identificare ciò che l’uomo ha fatto e continua a fare.
Una domanda ancora generale prima di parlare del tuo ultimo progetto, focus di questa intervista. Prende però spunto dal sottotitolo del progetto “Luoghi e paesaggi lungo la SS51”. Il quesito è: qual è la differenza tra luogo e paesaggio?
Domanda difficile, ci sarebbe da parlarne molto! C’è certamente un’interpretazione lessicale, ma anche personale.
Luogo in termini lessicali, è una porzione di una posizione geografica; relativamente al termine paesaggio, il significato e la definizione sono invece più recenti. Ho avuto modo di leggere un importante libro della Borgherini che riprende questo tema nella fotografia; il termine “paesaggio” è nato dai francesi a metà ’800 e si differenzia dal concetto di territorio, qualcosa di ben definito, con confini; a partire dall’arte pittorica il paesaggio, infatti, identifica ciò che è visto dall’occhio umano, una sensazione, emotiva, personale. Sempre soggettiva. Il paesaggio è dunque una interpretazione che fa il fotografo, una visione di una persona, nel mio caso, di un fotografo. Il luogo esiste senza chi osserva, il paesaggio no.
Relativamente al mio lavoro sono fondamentali i luoghi, ma anche i paesaggi perché interpretati da me, dal fotografo.
Che tipo di approccio fotografico al paesaggio (sia esso naturale che urbano e quindi di architettura) hai? Emotivo o di indagine? Estetico o etico?
Anche questa è una domanda molto pregnante.
Le scuole a cui attingo sono prettamente americane, ma prima di parlare di questo, ripensando al mio lavoro, devo dire che in alcune fasi della mia produzione (ad esempio il lavoro su Mestre “Evolutio viso”, sulle orme di Gabriele Basilico) l’approccio è molto analitico, senza lasciare spazio alla emozione. C’era una visione molto precisa di quello che era l’esame di una città, di un luogo, dopo 15 anni dalla visione del grande Gabriele Basilico. Io ebbi la fortuna di collaborare con lo stesso curatore del Maestro, il Prof. Caldura, che mi ha seguito e continua a seguirmi anche sul progetto sulla Statale 51 e che in quell’occasione mi indicò il tipo di percorso documentativo analitico da seguire.
Con il lavoro sulla Statale 51 c’è invece una parte fortemente nostalgica. Insieme all’analisi dei luoghi – peraltro non di tipo critico o polemico, tento di porre delle questioni – c’è anche il mio coinvolgimento personale perché io quella strada la percorrevo di frequente da bambino e ragazzo. Come me e tanti veneziani quella strada era il punto di passaggio obbligato per andare a fare le vacanze. La sua evoluzione e metamorfosi nel corso degli anni, cui mi sono dedicato, è anche motivo di confronto tra la visione adolescenziale e quella attuale, e quindi un confronto con me stesso e lo scorrere del tempo. Quello che vedo non è solo il passare del tempo su un manufatto, ma anche su di me.
L’approccio che seguo, dunque, dipende molto da quello che sto affrontando. Penso ai lavori sugli Ipogei di Ventotene o alcune commissioni che mi stanno arrivando adesso sull’hinterland di Chioggia e sulla Laguna: hanno delle motivazioni molto più precise, più tecniche, lo sguardo diventa dunque più asettico. In un progetto personale, la spinta è invece più emotiva.
Rimane sempre l’assunto che lo sguardo di fronte ad un paesaggio, a differenza che di fronte a un oggetto deve essere molto più maturo, come sosteneva E. Weston, in quanto non puoi modificare nulla; quindi al di là del coinvolgimento emotivo di fronte ad un paesaggio lo sguardo deve essere più “esperenziato”, maturo, consapevole.
Quindi tu, nel realizzare il tuo lavoro sulla Statale 51, non tornavi più volte sullo stesso luogo, ad esempio perché la luce era diversa in differenti momenti del giorno?
Per affrontare questo lavoro è stato determinante il tipo di progettualità sottesa: la produzione di un libro. Poiché, come nel caso di questo lavoro, il libro nasce dalla collaborazione con altri punti di vista (storici, geologici, didattici), in fase di editing alcune fotografie prodotte sono stata cassate, magari per un’ombra o un tipo di luce. Per questo il lavoro è durato quattro anni, su questa strada che si snoda per 134 km sino al confine austriaco.
Nel video di presentazione del tuo ultimo progetto, sul finire dichiari che ciò che è stato importante per te è “il viaggio”. Spulciando sul tuo sito, nella sezione Diary, ho letto questo “La vita non è un viaggio e spesso ancora inciampo come da piccolo”. Cosa rappresenta dunque per te il viaggio?
Le due osservazioni non sono in contraddizione. La prima riguarda in effetti proprio il viaggio in senso letterale, il moto dal punto A al punto B, e le emozioni che porta con sé.
Nell’articolo del blog invece rifletto sulla vita, che, a mio parere, non è un passaggio dal punto A al punto B, ma semmai un insieme di eventi, di considerazioni, di morti, lutti, malattie, scontri, battaglie; la vita per me è una battaglia, non un viaggio. Ne abbiamo un esempio in quest’ultimo anno di pandemia e lockdown, questa è la nostra battaglia oggi. Il viaggio, inteso in senso letterale, oggi ci viene a mancare, perché chiusi in casa! Mi viene in mente quello che scrive Salvatores al termine del suo film “Mediterraneo”: «Dedicato a tutti coloro che sono in fuga»; la fuga, il viaggio sono perciò spesso di supporto, un momento di leggerezza, durante la battaglia che per me la vita rappresenta.
Parlaci del tuo ultimo progetto “Alemagna. Luoghi e paesaggio lungo la SS51”. Perché è nato, che obiettivi ti poni?
È un progetto che nato quattro anni fa, per confrontarmi con un territorio che faceva parte delle visioni della mia adolescenza: questa strada che si snoda dalla Marca Trevigiana, da Conegliano, fino a Dobbiaco, al confine austriaco, era un percorso obbligato per andare nel Cadore, per le vacanze, quando ero giovane.
Ripercorrendo questo territorio in questi quattro anni, mi sono però anche reso conto di una serie di tematiche che potevano essere raccolte e raccontate in un libro fotografico per diventare una sorta di fotografia dello stato dell’arte di questa strada, oggi.
Per il progetto ho infatti coinvolto diversi professionisti ed esperti, per dare all’impianto fotografico una interpretazione completa ed esaustiva.
Innanzitutto un geologo, Emiliano Oddone (di Dolomiti Project), che è uno degli incaricati UNESCO sulla gestione dei progetti sulle Dolomiti; lui mi ha parlato dei problemi di franosità di questa strada che è l’unica direttrice che abbiamo da Venezia verso il Nord. Quando abbiamo queste colate detritiche, la strada viene bloccata e si sta da tempo cercando di trovare dei modi per arginare la problematica, che è d’altronde fisiologica.
Ho coinvolto anche uno storico, Dionisio Gavagnin; grande collezionista, scrittore, critico d’arte, che nel libro ha scritto le sue considerazioni personali su di questo viaggio.
Questa strada ed il Piave che gli scorre di fianco hanno una fondamentale importanza per la città di Venezia, che senza di loro non sarebbe esistita: tutto il legname che è servito per costruirne le fondamenta arrivò tramite questa strada. Il paese di Perarolo, ad esempio, viene chiamato “il paese dei zatéri”, perché è riuscito a sviluppare una grande esperienza nel trasportare il legname proveniente dal Cadore lungo il Piave, fino a Venezia.
La stessa strada era importante per il collegamento al Nord; al tempo si chiamava Via Regia, era percorsa dai re; famoso il ponte di Rualàn dove ci fu una famosa battaglia tra austriaci e veneziani, dipinta anche da Tiziano.
Altra tematica riguarda la tecnologia: la strada fu protagonista per prima di un progetto pilota dell’ANAS che l’ha costellata di una settantina di postazioni a basso impatto visivo multifunzionali che dialogano con le autovetture; è la prima strada in Italia che ne è stata dotata.
La vecchia ferrovia fatta dagli Austriaci per raggiungere Venezia è stata smantellata da qualche tempo ed è diventata una pista ciclabile che unisce Calalzo a Dobbiaco seguendo la strada: anche questo è un altro punto di interesse importante.
Ancora, questa strada ci racconta anche del decadimento dei fasti del Cadore degli anni ’60 e ’70, quando tutto sembrava destinato a diventare solo e unicamente turismo, mentre poi con le crisi successive ci sono stati degli abbandoni e molti edifici sono diventati fatiscenti.
Le tematiche sono davvero tante.
Coinvolto nel progetto, come anticipato poco fa, c’è anche il Prof. Caldura, Direttore dell’Accademia delle Belle Arti di Venezia: per questo lavoro ha scritto un saggio di apertura che unisce la parte storica e artistica con il corpo fotografico.
Tutti i contribuiti sono sovraintesi dal prof Steve Bisson (del Paris College of Art, Urbanautica Institute), che ha valutato e coordinato tutti gli apporti; si è occupato anche della parte grafica, per la produzione del libro finale, che sarà infatti edito da Penisola Edizioni insieme all’Urbanautica Institute.

“Viaggio in Italia” di Ghirri (e non solo) ti ha ispirato?
Sappiamo bene che Ghirri è uno dei fotografi più poetici che si conosca! Mi ritrovo molto in quel lavoro se comparato con un altro mio progetto che si chiama “Serena inquietudine del territorio”. “Viaggio in Italia” era nato dall’apporto di un insieme di fotografi che diedero il loro contributo nel descrivere il territorio italiano, per poi creare un volume unico; uno di loro Gianantonio Battistella, un caro amico, ha collaborato anche con il mio progetto sopra citato che riunisce il lavoro di 35 autori.
Certamente “Viaggio in Italia” è una pietra miliare nella storia della fotografia di paesaggio in Italia, ma lo vedo molto più lirico rispetto al mio progetto sulla SS51. Piuttosto, se devo fare un riferimento ad altri lavori, io trovo più assonanza con alcune produzioni americane: “American prospects” di Joel Sternfeld, o “American Power” di Mitch Epstein, o, ancora, “American surface” di Stephen Shore. Questi tre lavori sono vicini e fortemente ispiratori della mia indagine.
Vuoi raccontarci qualche aneddoto di questa esperienza fotografica durata 4 anni?
L’aneddoto è “monta in macchina, prendi un panino, gira, fotografa tutto il giorno e torna”. Io, l’auto, la macchina fotografica e la strada!

Quale è stato il fil rouge dell’editing di 90 fotografie, tratte, immagino da un corpo più consistente di scatti?
L’editing è stato difficile e corposo. Partendo da San Fior in avanti abbiamo raccolto fotografie di alcuni luoghi imprescindibili che riguardavano la strada. La fotografia doveva dunque contenere assolutamente una informazione del luogo (un abitato, una centrale elettrica, una colonia abbandonata, un bacino di contenimento, una stazione, un edificio, ecc.), ma nello stesso tempo doveva avere un rigore compositivo che contribuisse alla stesura di un libro coerente ed omogeneo.
Nel descrivere le sensazioni che hai provato lungo la SS51 parli di “diffusa desistenza”; desistenza sta a significare una rinuncia volontaria, una interruzione voluta, spesso a causa della sopraffazione. Forse, in questo caso, la sopraffazione arriva dalla A27. Nella tua opera io invece respiro anche un altro concetto: resistenza. Nonostante tutto. Mi pare, in fondo, che il fatto di portare alla nostra conoscenza questa strada, le sue storie, la sua gente sia un atto di resistenza, compiuto da te attraverso la tua macchina fotografica. Mi sbaglio? Quali di queste due parole, diverse solo per una consonante, “desistenza” o “resistenza”, è più coerente con il tuo lavoro?
In realtà dipende da quale tratto di strada si parli.
Ho scritto “diffusa desistenza”, relativamente a questa strada, per le fotografie che ho scelto di inserire nel libro “Fotografia a due tempi”, frutto del laboratorio “Isozero” creato da Efrem Raimondi. Quelle fotografie riguardavano i primi 70 km della SS51, che sicuramente sono desistenti e sopraffatti dalla via a scorrimento veloce che è la A27. Il senso di abbandono c’è, la tematica dello spopolamento c’è.
Il tratto che corre da Tai di Cadore verso Cortina d’Ampezzo è invece più vivo, brulicante, turisticamente attivo; sino poi ad arrivare all’ultimo tratto che da Cortina gira intorno al Monte Cristallo e arriva a Carbonin e poi Dobbiaco ed è immerso in una natura rigogliosa, verde; la strada si snoda attraverso i boschi ed è bellissima paesaggisticamente parlando. Queste ultime due parti sono “resistenti”, anzi l’ultima parte è rimasta come prima, naturale.
La cosa che vorrei uscisse dal libro è il racconto e l’interpretazione di questo tipo di viaggio. Le “parole” (immagini e testo) di questo mio lavoro vorrei parlassero anche a chi è distante da questi territori, attraverso una sorta di trasposizione, esattamente come avviene nella letteratura. La SS51 può portare a riflettere sulle proprie strade anche chi vive lontano da essa, in altre regioni.


Parlaci di come sostenerti nel progetto.
Sul sito Produzionidalbasso, piattaforma di crowfunding, digitando “Alemagna” o “SS51”. È possibile sostenere il progetto con una donazione libera, piuttosto che come sostenitore, o collezionista (con l’invio, a seconda della quota prescelta, di una stampa dal progetto, a tiratura limitata) o, infine, partner.
Progetti per il futuro?
Sono ancora molto impegnato con le fasi finali del libro: il passaggio in quadricromia, l’impaginazione, la scelta dei materiali, ecco. La azienda che stamperà è Antiga, una delle più rinomate qui al Nord per la produzione di libri di alta qualità.
Sì, ho qualche progetto che mi è stato commissionato, che riguarda la Laguna Sud Veneziana e Chioggia.
Luisa Raimondi
Il sito di Giovanni Cecchinato: giovannicecchinato.it
Il progetto “Alemagna. Luoghi e paesaggi lungo la SS51” raccontato sul sito dell’autore.
Il video di presentazione del progetto.
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