Il dibattito sì
In un panorama cinematografico globale sempre più dominato dalla comodità (e spesso dalla solitudine) dello streaming on-demand e dalla potenza omologante delle grandi catene multisala, realtà come Il Cinemino emergono non solo come atti di resistenza, ma come veri e propri fari culturali. Nato a Milano, in via Seneca 6, con l’ambizione di essere un “cinema resiliente“, Il Cinemino si propone sin da subito come qualcosa di più di una semplice sala di proiezione: un luogo fisico e simbolico che “c’è” e che richiede, per potervi accedere, il possesso di una tessera al costo di 5 € (gratuita per i minori). Tale tessera, oltre a garantire l’accesso, simboleggia l’impegno del pubblico verso un’esperienza culturale condivisa, in cui la partecipazione attiva e il dialogo sono elementi fondamentali.


La sua filosofia rifiuta l’idea del cinema come mero contenitore di film da consumare passivamente. Al contrario, Il Cinemino celebra e coltiva attivamente la dimensione collettiva della visione, trasformandola in un’esperienza condivisa, un’occasione di incontro e di crescita. Questo si manifesta in modo potente nell’importanza cruciale data al dopo: il dibattito post-proiezione, spesso arricchito dalla presenza di registi e autori, non è un accessorio, ma un elemento centrale dell’offerta, un momento per approfondire, confrontarsi, litigare allegramente come succede spesso tra cinefili e rendere la fruizione cinematografica un atto partecipativo. La sua identità si forgia anche attraverso scelte di programmazione coraggiose e distintive. Lontano dalla frenesia delle prime visioni a tutti i costi, Il Cinemino abbraccia la “terza visione”, dando nuova vita e contesto a film che meritano un’attenzione prolungata. Dedica spazio prezioso a formati spesso marginalizzati dai circuiti tradizionali, come i cortometraggi (con le sue “Serate Corti”) e i documentari, riconoscendone il valore artistico e sociale. Un occhio di riguardo è riservato al recupero della memoria cinematografica, con la proiezione di film restaurati e l’organizzazione di rassegne di classici, come la fortunata “Cinemino Classic”, che sorprendentemente o forse no, attraggono un pubblico giovane desideroso di (ri)scoprire pietre miliari su grande schermo. La scelta predominante della lingua originale sottotitolata (pur con un’attenzione pragmatica alle esigenze di un pubblico specifico di anziani nella prima proiezione pomeridiana) sottolinea ulteriormente l’impegno verso un’esperienza filmica autentica e rispettosa dell’opera originale.

Ma Il Cinemino è anche, e forse soprattutto, uno spazio sociale pensato per abbattere le barriere. L’atmosfera vuole essere accogliente, mai intimidatoria, promuovendo un senso di “accettazione, inclusione, riconoscimento e comunità”. Questa filosofia si traduce in scelte concrete: una politica di prezzi volutamente accessibile, con un biglietto unico basso e numerose convenzioni; un’attenzione all’accessibilità fisica, testimoniata dalla presenza di un montascale; e persino una politica di apertura verso gli amici a quattro zampe, gestita con equilibrio e rispetto reciproco. Questo approccio fa del Cinemino un vero e proprio polo culturale che dialoga con la città. Le collaborazioni (come quella con Longtake per le monografie sui registi), le presentazioni di libri legati al cinema e le altre iniziative tessono una rete che va oltre la singola proiezione, contribuendo al vivace tessuto culturale milanese. È un modello che, come sottolineato dai suoi stessi artefici, trae forza vitale dalle persone che lo animano quotidianamente, rendendolo un’entità quasi artigianale e forse difficilmente replicabile nella sua esatta forma. Eppure, proprio nella sua unicità e nella sua capacità di rispondere alle sfide del presente, dalla concorrenza alla pandemia, risiede il suo valore e il suo interesse.

Per comprendere a fondo questa realtà sfaccettata, la sua evoluzione, le sue sfide e le sue aspirazioni future, abbiamo posto una serie di domande al Cinemino, per esplorare dall’interno questo prezioso ecosistema culturale.
Il dibattito post-proiezione è un elemento centrale della vostra identità. In un’epoca dominata dallo streaming, qual è il valore aggiunto di questa esperienza collettiva e come costruite un dialogo autentico tra registi e pubblico? Come gestite dibattiti che possono divenire esplosivi?
Il confronto è parte integrante della nostra proposta culturale. Siamo convinti che vedere un film in sala sia solo il primo passo: ciò che accade dopo – che sia una chiacchierata, un dibattito o anche solo uno scambio di sguardi – è il vero valore aggiunto. Questo vale soprattutto per i film più piccoli, che spesso hanno bisogno di essere accompagnati e valorizzati nel dialogo. Quando il dibattito si scalda, cerchiamo di lasciare spazio ma anche di guidare la conversazione, mantenendo sempre il rispetto come principio cardine.
Il vostro approccio alla programmazione privilegia i film in “terza visione”, cortometraggi, documentari e classici restaurati. Quali criteri guidano queste scelte e come bilanciate la vostra linea editoriale con la necessità di mantenere un pubblico costante?
La nostra è una programmazione di prossimità, nel tempo e nello spazio. Programmare film in terza visione non è un limite, ma un’opportunità: permette al pubblico di recuperare titoli che magari ha perso o che ha appena scoperto tramite il passaparola. La scelta di documentari, corti e classici nasce dalla voglia di offrire qualcosa di stimolante, fuori dal consumo veloce delle piattaforme. In questi anni abbiamo costruito un rapporto di fiducia con il nostro pubblico: molte persone vengono al Cinemino anche senza conoscere il film in programma, semplicemente perché si fidano della nostra proposta. Il nostro equilibrio sta nelle rassegne e negli eventi speciali, che tengono alta la curiosità e la partecipazione.
“Cinemino Classic” sembra attrarre particolarmente i giovani. Cosa rende questa rassegna così popolare nonostante la facile disponibilità di film classici sulle piattaforme di streaming? C’è un legame specifico con la vostra programmazione di film restaurati?
C’è sicuramente un fascino intramontabile nel vedere un classico sul grande schermo, magari per la prima volta. I giovani che vengono al Cinemino spesso ci dicono che è un’occasione per colmare un vuoto culturale, o semplicemente per vivere insieme un’esperienza diversa, fuori dall’algoritmo. I film restaurati, poi, hanno un valore aggiunto tecnico ed estetico che in sala si percepisce in modo unico. Sono quei film di cui hai sempre sentito parlare.
La vostra politica linguistica prevede sottotitoli per la maggior parte delle proiezioni, ma con un’eccezione per le prime proiezioni pomeridiane in italiano. Come avete sviluppato questa strategia e che impatto ha sull’accessibilità e sull’esperienza del vostro pubblico diversificato?
Abbiamo ascoltato il nostro pubblico. La scelta di proiettare film in versione originale sottotitolata è parte della nostra identità culturale, ma abbiamo deciso di mantenere alcune fasce orarie – la prima proiezione pomeridiana – con film doppiati, per rispondere alle esigenze di chi cerca un’esperienza più immediata. È un modo per essere inclusivi, non solo dal punto di vista linguistico, ma anche generazionale e pratico.

Avete creato diverse iniziative di inclusività (prezzi accessibili, montascale per disabili, possibilità di portare cani in sala). Come queste scelte si integrano nella vostra filosofia generale e quali altre pratiche quotidiane adottate per rendere Il Cinemino uno spazio veramente accogliente?
L’inclusività per noi non è uno slogan, ma un esercizio quotidiano. Cerchiamo di eliminare tutte le barriere – fisiche, economiche e culturali – per rendere Il Cinemino uno spazio davvero aperto a tuttə. Dai prezzi accessibili alla libertà di portare il proprio cane, fino al bar che funziona come punto di incontro anche per chi non entra in sala. Ci interessa creare un luogo vivo, dove la cultura non sia un lusso ma un diritto.
Come è cambiato il vostro pubblico nel tempo? Avete notato un’evoluzione demografica o nei gusti cinematografici, e come vi adattate a queste trasformazioni mantenendo la vostra identità?
Essendo un cinema di quartiere, abbiamo il privilegio di conoscere il nostro pubblico e vederlo crescere con noi. Negli anni si è allargato, diversificato. Ci sono gli appassionati cinefili, certo, ma anche chi viene per caso o per socializzare. Notiamo una crescente curiosità verso il cinema d’autore e le esperienze collettive, soprattutto da parte delle generazioni più giovani. Cerchiamo di rispondere con una programmazione che sia accogliente, ma mai banale.
Tra dibattiti post-film, Serata Corti, collaborazioni con Longtake, e presentazioni di libri, avete creato diverse “anime” per Il Cinemino. Come integrate queste attività in una visione coerente e quale contributo danno alla vostra missione culturale?
Tutte queste anime rispondono a un’unica missione: creare comunità intorno al cinema. Ogni evento, ogni collaborazione nasce dal desiderio di trasformare la visione in qualcosa di partecipato, vivo, condiviso. Non ci interessa solo “programmare film”, ma alimentare un ecosistema culturale. E quando le persone restano a parlare anche dopo la fine dell’evento, capiamo che siamo sulla strada giusta.

Avete affermato che Il Cinemino è difficilmente replicabile perché fatto dalle persone che ci lavorano. Quali sono, secondo voi, gli elementi essenziali che caratterizzano l’esperienza Cinemino e potrebbero ispirare iniziative simili altrove?
Il Cinemino è fatto di relazioni: tra chi lavora alla programmazione, tra chi serve da bere al bar, tra chi viene spesso e chi entra per la prima volta. C’è uno scambio continuo, una familiarità rara. Questo legame umano è difficile da riprodurre altrove, ma forse è proprio questo che può ispirare: l’idea che un cinema sia prima di tutto una comunità, non un servizio.
In che modo la pandemia ha sfidato e potenzialmente trasformato il vostro approccio alla programmazione, alla comunità e al rapporto con il pubblico? Quali lezioni avete tratto da quel periodo?
La pandemia è stata un momento durissimo: avevamo aperto da poco, stavamo ancora costruendo il nostro pubblico. Ma ci ha fatto capire quanto sia importante lo spazio fisico del cinema come luogo di incontro. Dopo quel periodo, abbiamo sentito ancora più forte la responsabilità di offrire esperienze significative, che potessero davvero far bene alle persone.
Guardando ai prossimi anni, quali sono le principali aspirazioni o progetti futuri per Il Cinemino? Come immaginate il vostro ruolo nell’educazione cinematografica delle nuove generazioni e nel panorama culturale milanese?
Vorremmo crescere senza snaturarci. Continuare a offrire cultura accessibile, a sperimentare, a collaborare con realtà affini. Vogliamo rafforzare il nostro impegno verso le scuole e le nuove generazioni, affinché il cinema non sia solo intrattenimento, ma anche un’occasione di formazione e consapevolezza. Milano ha bisogno di spazi culturali vivi, e noi vogliamo esserci.
Qual è il film che meglio rappresenta lo spirito del Cinemino e perché?
Più che un singolo film, ci sentiamo rappresentati da una corrente: la Nouvelle Vague. Per il suo spirito libero, per l’attenzione ai dettagli quotidiani, per il modo in cui ha reinventato il rapporto tra cinema e pubblico. È un po’ quello che cerchiamo di fare anche noi, ogni giorno, con passione e curiosità.
