Dante Spinotti è un famoso direttore della fotografia con all’attivo più di 50 film. È famoso per non aver pregiudizi nel girare in digitale, essere stato candidato due volte al premio Oscar per la Fotografia e anche per essere uno dei pochi direttori della fotografia che sono passati con successo dalla televisione al cinema.

Arrivato al suo ottantesimo compleanno, spinto e aiutato da Nicola Lucchi, ha deciso di pubblicare, per la Nave di Teseo, la sua autobiografia in cui racconta tutta la sua lunga carriera cinematografica. L’approccio è di raccontare il suo amore per il cinema e il suo lavoro. Questo libro non inizia con la sua nascita e la storia della sua famiglia bensì, come succede per molti altri cineasti e gente di cinema, con il primo film visto. Per Dante Spinotti il primo film di cui ha memoria è “Il Cucciolo” (1946), film di discreta fattura con Gregory Peck. Il film deriva dall’omonimo romanzo di Marjorie Kinnan Rawlings. La scena in cui Peck viene morso da un serpente lo colpì molto e gli diede parecchi incubi nelle notti seguenti. Quando si dice la forza del Cinema.



Poi come accade a moltissimi dop (director of photography) la madre gli regalò una macchina fotografica: una Vest Pocket della Kodak. Questo perché nella famiglia di Spinotti la fotografia era ed era stata una passione e professione e Dante aveva già da piccolo una predisposizione per il disegno e per l’immagine.

Spinotti iniziò a fotografare spinto dalla passione e scoprì un’altra passione: LA CAMERA OSCURA. Infatti, pur essendo un grande sostenitore del digitale, ed essendo un direttore della fotografia entusiasta di girare film in digitale, la cosa più importante per lui nella fotografia è l’Oggetto, l’immagine stampata. Quindi la camera oscura, luogo in cui l’immagine prende forma, non può che essere per lui un luogo magico.
La passione si fece più forte quando anche il padre gli regalò la sua macchina fotografica: una Zeiss Ikonta 6×6 con un obiettivo Tessar 3,5.

Poi intervenne il destino. Spinotti non era un uno studente brillante al Liceo Classico ma la cosa poteva essere accettabile in un Liceo Classico a Rovigo. Purtroppo per motivi economici la famiglia Spinotti si trasferì a Milano, dove i professori erano più esigenti; molto più esigenti. Spinotti fu bocciato in Prima Liceo e le sue conoscenze di Greco e Latino considerate molto carenti. Andava presa una decisione, inoltre la famiglia era in sofferenza economica. Il nonno disse: “Gli piace la fotografia? Mandiamolo da zio Renato.” Zio Renato faceva il cineoperatore in Kenya. Qui Dante imparò l’inglese e a caricare le macchine da presa.

Nairobi era una città popolosa e “britannica” dove anche grazie all’aiuto dello zio poté iniziare a girare qualche documentario come operatore e a smontare e rimontare la macchina da presa Mitchell. Lo zio Renato gli insegnò a trasferire le sue conoscenze dalla fotografia, immagine statica, all’immagine in movimento, Cinema. Dopo un anno tra i due ci fu una enorme litigata e Spinotti ritornò a Milano, ma aveva imparato un mestiere e anche a parlare in inglese; cosa che gli sarebbe poi servita negli U.S.A.

A Milano Spinotti riuscì a diventare un collaboratore della Rai di Milano. Questo gli consentì una sicurezza economica e anche la possibilità di sperimentare nella realizzazione dei grandi sceneggiati che allora la Rai produceva. Cominciò a pensare all’applicazione delle tecniche di illuminazione adottate dagli inglesi: l’utilizzo della luce naturale, l’utilizzo di lampade meno potenti che non creassero molteplici ombre. Tuttavia, in tutto questo periodo che va dal 1964 al 1981 l’unico lavoro degno di nota, in cui fece l’operatore di ripresa, è probabilmente “La Freccia Nera”, una storia d’amore e avventura ambientata nel 400 inglese, che fu per l’epoca un piccolo kolossal per impiego di comparse, effetti scenici, cavalli e maestranze.


Il lavorare in Rai e avere una famiglia con un bimbo divenne a poco a poco una gabbia. Spinotti sapeva di poter aspirare a girare di meglio, a diventare uno dei più importanti e famosi direttori della fotografia ma c’era la paura in lui a compiere questo salto nel buio. Il licenziamento avvenne nel 1980. Fu aiutato anche da Elio Petri che aveva detto a Roma, nella cerchia romana, che “a Milano, un certo Dante Spinotti si dice che abbia talento.”.
Spinotti, post Rai, decide di narrare la sua vita cinematografica a capitoli in cui per ogni capitolo c’è spesso un film a cui ha collaborato.
Da qui in avanti sceglieremo i capitoli-film che riteniamo più interessanti.

IL MINESTRONE (1981)
Tre vagabondi sono alla disperata ricerca di cibo.
Il film di Sergio Citti si doveva inizialmente chiamare “La Fame” ed è chiara ed evidente la sua natura pasoliniana. La ricerca di cibo è presente in alcuni film di Pasolini come “Accattone” e “La Ricotta”. Spinotti si trovò a girare a Roma e a essere etichettato come “Il Milanese”. Il clima per lui era sicuramente rovente dato che doveva assolutamente dar prova della sua bravura e valore. L’inizio fu complicato e la troupe, abituata a lavorare con Tonino Delli Colli, mosse qualche critica ma dopo qualche difficoltà le capacità di Spinotti emersero. Il film è molto bello.


MANHUNTER – FRAMMENTI DI UN OMICIDIO (1986)
Un ex agente dell’FBI, Will Graham, viene riportato in servizio per catturare un serial killer noto come il “Denti di Fata”.
L’incontro di una vita: Micheal Mann. Spinotti e Mann si sono conosciuti grazie a Dino De Laurentis produttore di Manhunter. Spinotti sapendo l’inglese non ebbe problemi in California. Mann stava girando un film professionalmente per lui importante. Il film che gli aveva dato notorietà era stato “Thief” (1981) e questo era un film con una buonissima storia, tratta dal libro di Thomas Harris, sceneggiatura scritta dallo stesso Mann. È il primo romanzo e film in cui compare il famoso personaggio di Hannibal Lecter, lo psichiatra cannibale.
In Manhunter esistono due colori dominanti: il verde per ogni scena di pericolo in cui aleggia la presenza del serial killer, e il blu per ogni scena sentimentale tra il detective e sua moglie.


Il verde è una scelta di Mann, il blu una scelta di Spinotti.
Mann si dimostrò un regista pazzo perché per avere più realismo sostituì i proiettili falsi con dei proiettili veri, con l’effetto che buona parte della troupe disertò il set andandosene. Spinotti rimase e concluse il film con Mann e una troupe ridottissima.
Manhunter è un gran film e permise a Mann e a Spinotti di lavorare stabilmente a Hollywood.
L’unica cosa con cui ci permettiamo di dissentire è la voce di qualche cinefilo e critico che afferma che il Dr Lecter di Brian Cox è superiore a quello di Sir Anthony Hopkins.

L’ULTIMO DEI MOHICANI (1992)
La storia, ambientata durante la guerra franco-indiana nel 1757 nello Stato di New York, segue Natty Bumpoo, un cacciatore bianco soprannominato “Lungo Fucile”, e la sua avventura tra conflitti tra Francesi e Inglesi e le tribù dei Mohicani e degli Uroni.
Anticipiamo che il film ha una sceneggiatura che funziona a tratti. Spinotti però fa un lavoro egregio. Subentrato a un altro dop che dopo 4 settimane di lavorazione non aveva convinto Micheal Mann, Spinotti si rese subito conto degli errori commessi da colui che andava a sostituire. Jon Landau aveva mal interpretato il girare nelle foreste appiattendo tutte le inquadrature con lampade cinematografiche durante il giorno, invece di sfruttare la luce che passava tra le fronde degli alberi e che donava alle scene un carattere magico e meraviglioso.
Per girare con meno luce dovette convincere Mann a cambiare la pellicola. Si passò dall’Agfa alla Kodak.
Spinotti, come referente pittorico, si ispirò a Caspar David Friedrich.

Il film piacque a tutti e permise a Spinotti di vincere il BAFTA, prestigioso premio dell’Accademia del Cinema Inglese.
Il film come abbiamo scritto prima è abbastanza debole come sceneggiatura ma la fotografia è bellissima; poi ci sono grandi interpreti tipo Daniel Day-Lewis. Spesso anche una grande fotografia salva un film da essere mediocre.

HEAT – LA SFIDA (1995)
La guerra tra un gruppo di criminali e un poliziotto che vuole catturarli.
Il suo migliore film per Spinotti. Un film d’azione in cui la componente drammatica è importantissima e i suoi personaggi sono imperfetti e cercano di aggiustare vite che non girano per il verso giusto. Un film sugli affetti in cui Robert De Niro, il ladro, e Al Pacino, il poliziotto, riescono a darci due grandi prove attoriali.
Spinotti fu alle prese con scene molto difficili da girare. La rapina alla banca richiese ben 4 settimane di lavorazione. Tutto venne pianificato alla perfezione, soprattutto l’uso delle lenti da utilizzarsi.
Una scena impegnativa per la fotografia fu la scena in cui la figliastra di Al Pacino, interpretata da una giovane Natalie Portman, tenta il suicidio tagliandosi le vene in una vasca da bagno.
Mann e Spinotti dovettero fare molte prove prima di trovare il giusto colore dell’acqua mista a sangue.

Nota a margine: è interessante notare come il personaggio della Portman si suicidi vestita. Questo perché l’attrice non voleva fare scene di nudo. Il suo primo nudo fu nel cortometraggio di Wes Anderson “Hotel Chevalier”.
Il film piacque tantissimo al pubblico.

L.A. CONFIDENTIAL (1997)
Nella Los Angeles degli anni 50, tre poliziotti dai caratteri molto diversi tra loro indagano sulla carneficina avvenuta al Nite Owl.
Curtis Hanson voleva Spinotti per questo film. Il film è basato sullo straordinario e monumentale romanzo di James Ellroy, un delinquente prestato dalla letteratura, che descrivere una Los Angeles crepuscolare e decadente. La location permise a Spinotti di avere la meravigliosa luce losangelina, motivo per cui Hollywood è stata costruita in quel luogo, e immagini notturne oscure e dark.
Una sfida superata con classe fu quella di decidere come fotografare, come riprendere, la bellissima Kim Basinger: cappuccio nero, rossetto rosso e pelle candida di una bambola di porcellana.

Il riferimento fotografico per Spinotti fu il fotografo svizzero Robert Frank.


È interessante notare come Spinotti abbia riferimenti pittorici o fotografici e mai si ispiri al lavoro di altri direttori della fotografia, non citi mai un film di riferimento; il massimo che possa accadere è che sia un regista a suggerirgli un film a cui ispirarsi.
Il film permise a Spinotti la prima candidatura a un Oscar per la Fotografia.

THE INSIDER – DIETRO LA VERITÁ (1999)
La storia di Jeffrey Wigand, un informatore che svela segreti del settore del tabacco.
Ritorna il sodalizio con Micheal Mann. Spinotti e Mann concepirono delle sequenze che chiamarono “inner shots” (riprese interiori): l’obiettivo era girare le scene come se la posizione della cinepresa fosse all’interno della testa di Russel Crowe, il protagonista. Questo per amplificare il dramma interiore del personaggio. Spinotti risolse il problema tecnico utilizzando una Frasier Lens che avvicinata alla tempia di Crowe e grazie a un alto livello di luce, riusciva a mettere a fuoco sia la montatura degli occhiali del protagonista sia ciò che stava accanto a lui.

Mann complicò ancora le riprese utilizzando solo la macchia a spalla o a mano. Questo per dare un senso di costante precarietà.

Il risultato è un film coinvolgente.
CONSIDERAZIONI FINALI SUL LIBRO
La Nave di Teseo continua a pubblicare interessanti libri di Cinema. L’autobiografia di Spinotti è scritta in modo chiaro, interessante e con una gran dovizia di particolari. Ogni capitolo è denso di storie sul mondo del cinema, sulla fotografia cinematografica e su cosa voglia dire compiere scelte lavorative in un contesto artistico.
Spinotti ha il pregio di non santificarsi, di mostrare i suoi dubbi e difetti ma soprattutto di descrivere il cinema e il fare cinema con occhio critico e allo stesso tempo di colui che ama il suo mestiere.
Il libro è ben stampato e ha un prezzo corretto.
