In un recente articolo abbiamo sottolineato l’importanza dell’archivio storico fotografico e filmico di Fondazione AEM, una Fondazione privata d’impresa nata nel 2007 per iniziativa di AEM SpA (ex Azienda Elettrica Municipale di Milano, poi Azienda Energetica, protagonista nel Novecento dello sviluppo del capoluogo lombardo e della Lombardia e attore chiave nel panorama energetico nazionale) in occasione della sua fusione nel Gruppo A2A, al fine di conservarne e valorizzarne il patrimonio culturale.
Per approfondire meglio quanto indagato e conoscere meglio gli scopi e le attività di questa Istituzione abbiamo incontrato il suo Responsabile Scientifico Fabrizio Trisoglio, a cui abbiamo chiesto di raccontarci cosa avviene “dietro le quinte” di un lavoro complesso e stimolante come quello che la Fondazione affronta ogni giorno.
Come e perché è nata Fondazione AEM e quali sono i suoi obiettivi?
La Fondazione nasce in occasione della fusione nel gruppo A2A per evitare la dispersione del patrimonio storico dell’azienda, tutelandone la memoria storica e valorizzandola. A questa si aggiungono altre aree di indirizzo derivanti da obblighi statutari, che si compenetrano: dalla ricerca scientifica all’educazione sui temi dell’energia e dell’ambiente o su tematiche poco perseguite (musicale o sentimentale) o attuali (violenza sulle donne o equità di genere, povertà energetica), fino alla formazione specialistica. Noi creiamo progettualità e iniziative proprie anche attraverso erogazioni liberali, per le quali abbiamo un limite statutario del 20% che usiamo per sostenere iniziative sociali e culturali promosse da Enti e Associazioni non profit nei territori di Milano e della Valtellina.
Quanto è importante conservare la memoria attraverso l’archivio? Quali sono gli spunti che il passato di AEM può offrire per il futuro e le sfide della contemporaneità?
Per noi è fondamentale la conservazione della memoria, da mettere a frutto per il futuro su tematiche contemporanee. Un esempio è il Ledwall dell’AEMuseum: un exhibit interattivo, una specie di macchina del tempo che unisce storie del passato di AEM con gli “Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda ONU 2030” e le sfide dell’attualità, contestualizzando i singoli casi. Ad esempio, nel caso di accesso all’energia non si può parlare di idroelettrico come di una scelta sostenibile fatta da AEM a inizio Novecento, perché frutto di una mentalità contemporanea, anche se l’azienda ha investito nelle risorse idroelettriche del territorio utilizzando un mix intelligente di fonti, con piani industriali che oggi si possono definire virtuosi. Quindi l’installazione racconta come la struttura del territorio abbia indirizzato le scelte, che poi la classe dirigente ha proseguito in maniera attenta. In quest’ottica cerchiamo di ragionare anche su aspetti come l’equità di genere.


La Fondazione, a differenza dell’azienda – che porta avanti simili tematiche – ha un aspetto culturale più ampio legato alle esigenze della comunità, al di là delle linee di business: qui la memoria e la sua reinterpretazione, in dialogo con le comunità, ci aiutano a creare nuovi percorsi per il futuro.
Com’è composto l’archivio fotografico e come si è costruito nel tempo?
L’archivio fotografico è il nostro fiore all’occhiello, preservato e sottoposto a indagini, pubblicazioni e digitalizzazione già dagli anni ’80, in tempi pionieristici quando la fotografia non era ancora considerata bene culturale, con un processo di ricerca sulle immagini – soprattutto sotto la presidenza Martinelli – che ha portato a mostre e iniziative, fino alla realizzazione di una piattaforma on line che ne permette un’ampia fruizione. È un archivio che si è realizzato spontaneamente con successive addizioni, grazie al lavoro dei tanti fotografi che hanno collaborato con l’azienda e a cui essa ha commissionato incarichi, in un rapporto stretto – quasi osmotico – tra committente e fotografo. AEM ha investito moltissimo nella fotografia già dagli anni ’30, con grandissimi fotografi industriali come Antonio Paoletti, Vincenzo Aragozzini, Guglielmo Chiolini, per arrivare nel secondo dopoguerra ad avere un ufficio fotografico interno che produceva direttamente le immagini per “il chilowattora”, inaugurando una nuova stagione iconografica in cui, oltre a edifici e cantieri, venivano raffigurate persone e dipendenti, dentro e fuori la fabbrica.


Veduta dalla valle della diga AEM a speroni in Val Grosina © Guglielmo Chiolini, 1960, ASFAEM
Un altro passo in avanti nella costituzione dell’archivio è avvenuto nel 1981, quando l’azienda è diventata energetica, chiamando grandi fotografi a documentare non più l’attività industriale, ma i territori, ampliandone lo spettro (il corso del fiume Adda o la città in trasformazione), specchio di una comunità che stava cambiando (la “Milano da bere”).

L’archivio termina nel 2003 il processo di accumulazione come bene culturale, ma prosegue dal 2016 grazie alla Fondazione, che, dopo aver avviato una serie di grandi mostre, chiama nuovamente importanti fotografi – tra cui Francesco Radino, Marco Introini per gli scali ferroviari, Marco Garofalo per gli “Energy Portraits” – per nuove campagne sulla città e sugli impianti simbolo del gruppo, riallacciandosi alla tradizione iconografica precedente, con una committenza mista tra impresa e Fondazione.

Come nasce il rapporto tra industria e fotografia d’autore?
L’azienda ha commissionato negli anni servizi fotografici sia per documentare cantieri e attività industriali, sia quale autorappresentazione, rivolgendosi a inizio Novecento ai pochi fotografi specializzati a servizio dell’industria e, negli anni ’80 – quasi a testimoniare lo stacco con il passato – chiamando grandi nomi (che avevano già lavorato con aziende di spicco come l’Olivetti) per documentare gli ambiziosi piani contro le crisi energetiche degli anni ’70 e investendo in cospicue campagne fotografiche. A differenza del passato, però, quando venivano acquisite le lastre fotografiche e i relativi diritti, le campagne più recenti nascono in un rapporto di condivisione dei diritti fotografici con l’autore.


A differenza di altri archivi voi avete digitalizzato gran parte del patrimonio iconografico rendendolo accessibile on-line: da cosa deriva questa scelta?
La scelta nasce dalla matrice della Fondazione, frutto di un’impresa pubblica ed espressione di una comunità a cui restituire il patrimonio generato dall’azienda. Dopo una digitalizzazione parziale nel 2008 e un primo gestionale pionieristico, dal 2019 – in seguito alle trasformazioni digitali degli ultimi anni – abbiamo aperto un nuovo cantiere, in collaborazione con il Centro per la cultura d’impresa – che ci affianca nell’attività di riordino e digitalizzazione – attraverso un partner – DM Cultura (oggi Dot Beyond) – per realizzare una nuova piattaforma digitale su misura. Partendo dall’archivio fotografico, che integreremo con altri fondi, lavoriamo circa 5.000 immagini all’anno (attualmente siamo a 21.000), con un processo di lungo periodo e ampio respiro.
In cosa consiste e come viene valorizzato il patrimonio filmico?
È composto da circa 500 unità pellicolari con nitrati, acetati e un fondo audiovisivo sonoro recentemente digitalizzato. Per problemi di conservazione esso era stato in parte depositato presso l’Archivio Nazionale Cinema di Impresa di Ivrea e Cineteca Nazionale di Roma, mentre la parte audiovisiva è ancora presente in archivio. Dopo il primo progetto di scavo e la prima antologia “Cinema elettrico” del 2011, con la scoperta di materiali straordinari come “Un fiume di luce” del regista e poeta Nelo Risi, tra 2013 e 2014 abbiamo avviato lunghi piani di digitalizzazione e restauro digitale, in collaborazione con Fondazione Cineteca Italiana e Archivio Nazionale Cinema Impresa, attraverso un esame scientifico e un’accurata selezione delle pellicole, sviluppando l’attività per tranche tematiche a partire dai materiali più vecchi, fino ad arrivare alla pubblicazione nel 2020 dell’antologia “I film di AEM”. Questo ci ha permesso, in oltre 10 anni, di valorizzare e promuovere il cinema d’impresa, in collaborazione con Cineteca Milano, e di salvaguardare molte pellicole, seppur senza un restauro fisico, consapevoli che – nonostante il restauro – le stesse potrebbero essere nuovamente intaccate in futuro. Questo lavoro così oneroso, svolto in questo modo e con questa progressione, è probabilmente l’unico al mondo fatto da una Fondazione d’impresa.
Torniamo alla fotografia: quanto è importante, oltre che come fonte, nel programma di attività della Fondazione? Come la utilizzate e come selezionate le immagini?
La fotografia viene utilizzata innanzitutto per valorizzare l’archivio, in maniera integrata e trasversale in rapporto all’Heritage AEM, di cui è una delle fonti insieme a quelle orali, al patrimonio filmico e cartaceo e alla collezione d’arte. Avendo però – tra le fonti – il maggior impatto, essa viene spesso utilizzata per mostre, esposizioni e a scopi comunicativi: ad esempio la Newsletter – uno dei nostri strumenti di comunicazione privilegiati – riporta la “foto del mese”, che è sia presente sul sito (rifatto nel 2022, dando visibilità all’anima archivista della Fondazione), sia inserita in un exhibit dell’AEMuseum, consegnando agli appassionati una “pillola” frutto di un’ampia attività di ricerca, in modo da avere contenuti sempre nuovi.

Il museo, le mostre e le attività on line fanno parte infatti di un progetto unitario, alla base anche della recente pubblicazione AEMetropolis, una nuova antologia che racconta il processo di valorizzazione dell’archivio dagli anni ’80, abbracciandone gli attori e raccogliendo l’esperienza delle antologie precedenti, con una selezione di immagini derivante dalle mostre avviate dal 2013 implementate con attività di ricerca e con le “immagini del mese”.
La fotografia è fondamentale in un periodo in cui la cultura visiva è preponderante: noi siamo fortunati per queste 180.000 immagini che, raccontando storie diverse, ci permettono di prendere contatto con pubblici differenti e tematiche ancora attuali, su cui costruire nuovi percorsi. Esse infatti vengono valorizzate anche durante conferenze scientifiche o accademiche, nel Bilancio Sociale o per eventi in collaborazione con Enti e Istituzioni, come la mostra “Transizioni” di Fondazione Ansaldo che raccontava la transizione energetica di Milano dall’800 a oggi, o ancora per attività didattiche come “A Scuola di impresa”, in collaborazione con Museoimpresa (in cui è stato chiesto a studenti delle scuole superiori di raccontare in maniera social, rielaborando immagini del “chilowattora”, storie attuali sulla sostenibilità), o nel progetto “Debate” con Fondazione ISEC: un dibattito non competitivo sull’idroelettrico come miglior fonte di energia attraverso immagini e fonti d’archivio.

Fondazione AEM collabora con scuole, Enti e musei d’impresa, partecipando a eventi culturali e scientifici: chi sono i vostri partners e come nascono le collaborazioni? Come si fa rete oggi?
Noi siamo da sempre molto aperti alle collaborazioni, anche se una volta era più difficile fare rete; penso che oggi le Fondazioni, gli archivi di impresa e gli operatori della cultura si siano finalmente resi conto che da soli non si va da nessuna parte, ma solo insieme si può creare una massa critica, valorizzando il lavoro di ciascuno grazie alla diversità di punti di vista e patrimoni. Per noi è fondamentale l’ambito associativo, dove si ha una continua formazione ed è possibile confrontarsi creando sinergie e collaborazioni: con Museimpresa, Rete Fotografia (con cui abbiamo creato “Una Rete in viaggio”) e MuseoCity lavoriamo sulla memoria e la fotografia, un campo fertile che ci permette di dialogare con altre realtà; a livello internazionale siamo soci di EOGAN (Energy Archives Network), di ASviS per la ricerca scientifica e ASSIFERO in ambito filantropico.
Lei è anche presidente di Rete Fotografia: quale lo scopo e gli obiettivi di questa Associazione?
Sono onorato di rappresentare questa Associazione, che ha una storia più lunga rispetto alla sua costituzione nel 2016, nata come tavolo di lavoro per promuovere la cultura fotografica d’autore, attraverso anime diverse che si confrontano e dialogano tra loro: da un lato i conservatori di beni culturali legati alla fotografia, dall’altro chi svolge la professione, come Tao Visual e AFIP (Associazione Fotografi Professionisti) o GRIN (Gruppo Redattori Iconografici Nazionale). Un importante momento di riflessione della rete è “Archivi Aperti”, con cui per una settimana all’anno si aprono le porte degli archivi fotografici per mostrarne il patrimonio e diffondere la cultura fotografica. Ormai la rete è a livello nazionale, e, in sinergia con altre Associazioni come SISF (Società italiana per lo studio della fotografia), propone vari temi, come il rischio di perdita degli archivi dei fotografi italiani, ponendo il problema al Ministero della Cultura. Il prossimo obiettivo è quello di educare i giovani alla fotografia di qualità, sensibilizzandoli sul valore di memoria.
Come è nata l’idea del museo, che potenzia e valorizza il vostro archivio?
Il museo nasce nel 2022 grazie alla spinta della direzione Heritage di A2A, permettendoci di condensare l’esito di anni di ricerca, a partire dal 2013. È uno spazio vivo, elastico e rinnovabile che gioca tra analogico e digitale, in rapporto organico con gli eventi dell’auditorium (dal teatro alla musica, dalla storia alle narrazioni), tra cui l’appuntamento periodico “Incontri con la storia”, in collaborazione con Fondazione Corriere della Sera, in cui partendo dall’Heritage si trattano temi contemporanei, momento di visibilità nazionale che ci permette di raggiungere un pubblico non solo lombardo. Anche prima del museo esisteva una parte espositiva che accoglieva mostre temporanee, ma con la nascita di AEMuseum – e i successivi ampliamenti – abbiamo cambiato il taglio da dare: non più grandi mostre ricche di molti aspetti, ma giocate in verticale sulla sintesi, partendo da un tema ed esplorandone di nuovi, con immagini inedite, a volte innestando nella ricerca metodologie innovative o poco utilizzate come la “Public history” o le fonti orali – come abbiamo fatto per “Pataflai ciumba! – Bimbi in colonia” – rendendole così luogo di sperimentazione. Questa attività si compenetra nella struttura dell’AEMuseum, in cui agli exhibit permanenti si affiancano quelli in continua trasformazione, in modo da offrire sempre nuovi contenuti. In particolare l’allestimento, in un’ottica di sostenibilità, è stato realizzato riutilizzando parti di quello precedente, ed è stato concepito per essere ampliabile o trasferibile in altra sede in caso di necessità di cambio di edificio.
Parlando di edifici non si può dimenticare il vostro patrimonio di archeologia industriale: quanto è importante tutelarlo e valorizzarlo?
È importantissimo, anche se a volte non si dà importanza a questo aspetto, forse per questioni immobiliari. La sede della Fondazione, ad esempio, è la sottostazione di Piazza Po, una splendida architettura industriale che fornisce energia a gran parte della zona ovest di Milano, mentre gli archivi sono nella ex centrale termoelettrica di Piazza Trento, simbolo di modernità dipinta da Umberto Boccioni, futura sede di A2A nella zona dello scalo di Porta Romana. Per valorizzare questi edifici, in collaborazione con il Politecnico di Milano, sono stati creati 4 itinerari archeologico-industriali nei luoghi storici di AEM.

In Valtellina, invece, il patrimonio comprende le centrali idroelettriche (in funzione e non), tra cui quella dismessa di Fraele, che abbiamo riaperto con progetto internazionale “Po Valley Water Route“: il primo itinerario di turismo industriale in Italia in collaborazione con ERIH (European Route of Industrial heritage) e altri soggetti (MUSIL, Fondazione ISEC, Crespi D’Adda, Università LIUC e ANBI Lombardia) per valorizzare il patrimonio idraulico della Regione Padana (Lombardia, Emilia Romagna e Veneto) connesso all’agricoltura, all’idroelettrico preindustriale, ai mulini e alla produzione tessile, promuovendo il turismo per la rivitalizzazione locale. La Centrale potrà diventare strategica per la valorizzazione del patrimonio della Valtellina creando un indotto per il territorio, anche in connessione alle Olimpiadi Milano-Cortina, primo passo per un progetto, in collaborazione con il Parco Nazionale dello Stelvio, che toccherà le dighe e i serbatoi della Valle di Fraele, con l’antico paese di San Giacomo sommerso dall’omonimo bacino idroelettrico, di cui valorizzare gli affreschi della chiesa riscoperta.

Quali i nuovi progetti in cantiere?
Sono numerosissimi, dall’espansione della “Water Route” alla valorizzazione dell’archivio fotografico e professionale di Francesco Radino, donato dagli eredi, attraverso il suo riordino e digitalizzazione. Vorremmo poi promuovere ricerche di fonti orali legate al passaggio tra la fine di AEM e la nascita del gruppo A2A prima della scomparsa dei testimoni; ampliare l’offerta digitale del patrimonio fotografico, filmico e orale, proseguendo sia gli “Incontri con la storia” sia le attività di sensibilizzazione su temi come la violenza sulle donne, la salute e l’educazione, che AEM ha anticipato nella sua storia e la cui memoria è fondamentale a farci da guida.
E noi ci auguriamo che continuiate questo lavoro di tutela e valorizzazione con la stessa passione e competenza che emerge dalle sue parole e dalle innumerevoli attività che seguite.
Patrizia Dellavedova
Immagine di copertina: Veduta della Centrale AEM di Roasco e del sovrastante castello Visconti Venosta © Gianni Berengo Gardin, 1984, ASFAEM.
Tranne ove diversamente indicato, tutte le immagini sono tratte dall’Archivio Storico Fotografico AEM, Fondazione AEM, Milano (ASFAEM). Negli altri casi le foto sono dell’autore.