Se nel 1839 la storia della fotografia inizia a Parigi sotto l’egida della Académie des sciences e della Académie des beaux-arts che sin da subito, e per sempre, pongono questa nuova tecnica sul doppio binario di fotografia come documento e fotografia come arte, un’altra importante dicotomia prende le mosse nello stesso periodo, quella tra unicità e riproducibilità dell’opera fotografica, tra positivo diretto e negativo stampabile all’infinito. Nel tempo la prima categoria è stata rappresentata dal dagherrotipo, dall’ambrotipia, dall’autocromia, dalle più recenti Polaroid, tecniche volte alla produzione di oggetti unici, in netta minoranza numerica rispetto alla moltitudine di stampe da negativo che hanno avuto sicuramente il ruolo di rendere possibile il dilagare della pratica fotografica a tutti i livelli.
L’avvento del digitale sembrava aver posto fine per sempre a questa dicotomia, ormai ogni scatto è per sua natura qualcosa che possiamo replicare quante volte vogliamo e soprattutto rendere fruibile all’istante sia al fotografo che agli eventuali destinatari. Di più, negli ultimi tempi l’utilizzo di tecniche di postproduzione non distruttive permettono di poter tornare sempre sui propri passi anche a distanza di anni, rendendo ogni fotografia un oggetto in eterno divenire e forse rispecchiando un poco anche le ansie contemporanee di non accettare che qualcosa prenda una forma definita una volta per tutte.
La serie Instax di Fujifilm si pone esattamente al centro di queste riflessioni, abbraccia sia il mondo digitale che fisico, pone l’accento sull’unicità di una fotografia, sulla sua irrepetibilità specialmente nei primi modelli in cui al clic poteva seguire solo la stampa istantanea dello scatto. Ma è con la serie Evo che, probabilmente, si compie quel connubio tra arte, documento, unicità e ripetibilità che riassume in una sola fotocamera la storia e la filosofia della fotografia.
La Instax Wide Evo è il più recente modello, l’abbiamo provata in anteprima (qui l’articolo relativo) e nelle scorse settimane, grazie alla cortesia di Fujifilm, ci è stato possibile effettuare una prova sul campo e riportare alcune considerazioni a supporto di quanto finora affermato.
Tutto in questo modello punta alla riflessione, al rapporto fisico con l’oggetto fotocamera, al decidere una volta per tutte quale sarà la fotografia definitiva. Al cuore della linea Evo c’è sicuramente la possibilità di scegliere quali fotografie stampare, che stimola la creatività e incoraggia a cercare la composizione migliore, ma ogni opera è unica nel senso che la scelta della pellicola, degli effetti e della loro intensità si imprime per sempre al momento dello scatto. Anche un successivo ritaglio modifica senza possibilità di ritorno all’originale, come nella realtà fisica. Questo è sicuramente l’aspetto che abbiamo apprezzato maggiormente e che ha portato un po’ di freschezza nel nostro modo di fare fotografia, rendendo la Wide Evo non l’ennesima fotocamera, ma qualcosa di più.
L’esperienza di utilizzo è stata stimolante, il fattore di forma del corpo macchina, non molto ergonomico e l’assenza di un oculare portano a concentrarsi ancora di più sul momento dello scatto, nessuna raffica, nessun clic a caso nella speranza di recuperare qualcosa in postproduzione. Attraverso le ghiere laterali è possibile scegliere di volta in volta il tipo di pellicola (ce ne sono 10) e di effetto dell’obiettivo (dai fasci di luce alla doppia esposizione, anche qui 10 tipologie differenti), un pulsante permette inoltre di selezionare gli stili della pellicola (6, interessante lo stile stampa al collodio) portando quindi le combinazioni creative a ben 600, con possibilità di salvarne 10 preferite da richiamare all’occorrenza. Se si aggiunge a tutto questo il fatto di poter regolare l’intensità degli effetti obiettivo ruotando una ghiera, posta sempre sull’obiettivo, si capisce come la creatività sia messa al centro dell’esperienza di utilizzo.
La personalizzazione dello scatto è qui praticata quindi non attraverso i classici parametri di apertura (che è fissata a f/2,4), tempi e sensibilità della pellicola, gli ultimi due rigorosamente automatici (con possibilità di compensazione dell’esposizione tra -/+ 2EV), ma attraverso i filtri creativi, un cambio di paradigma a cui sono abituati gli utenti Instax e che potrebbe essere una felice novità nella pratica fotografica di chi ama sperimentare e non si accontenta solo dei prodotti digitali che utilizzano filtri à la Instagram.
Sempre nell’ottica della manualità, la stampa della fotografia avviene attraverso la rotazione di una manovella che ricorda quella del riavvolgimento del rullino e aggiunge all’esperienza di utilizzo un pizzico di divertimento, specialmente quando la si mostra agli amici che ancora ricordano quei tempi. Inoltre, l’unico modo di portare le fotografie digitali sul proprio computer consiste nel copiarle prima su una scheda micro-SD, nessuna possibilità di trasferimento via cavo o via bluetooth da fotocamera. Apparentemente una mancanza, ma in realtà anche in questo caso si riproducono quei gesti ormai antichi di estrazione del “rullino” per portarlo in camera (non) oscura.

È possibile invece il viceversa, attraverso una app che collega lo smartphone alla fotocamera si possono non solo scattare e/o stampare le foto direttamente dal telefono (comprese quelle già presenti nello smartphone), ma anche scaricare dei preset di combinazioni di effetti visualizzate in anteprima attraverso un feed “social” di fotografie, che espande ancora di più la presenza della Wide Evo dal mondo fisico a quello digitale ed è anche utile per farsi un’idea delle possibilità espressive e di come queste vengano utilizzate dal resto del mondo. Abbiamo inoltre apprezzato molto la possibilità di poter condividere in pochi passaggi le fotografie scattate con la Wide Evo direttamente su Instagram, dalla app si sceglie lo scatto e questo sarà poi incorniciato come nella stampa originale (con possibilità di modificare il background), inoltre sono aggiunti in automatico alcuni hashtag che riassumono gli effetti usati, oltre all’indicazione che si tratta di una fotografia scattata con #instaxwideevo. È possibile aggiungere altre informazioni e infine condividere su Instagram.
Per quanto quindi rivolta alla riflessione, il settaggio degli effetti, della modalità di autoscatto, del flash, della lunghezza focale (attraverso una leva anteriore si passa dal grandangolo al medio-tele) sono ben congegnati e praticamente immediati, si ha la sensazione di esercitare il controllo totale su ogni fotografia effettuata e questo alimenta anche un senso di attaccamento a ciascuna di esse, in special modo a quelle che poi saranno stampate.
L’autofocus ci è sembrato sufficientemente rapido per il tipo di approccio fotografico riflessivo e soprattutto molto preciso. Anche la funzionalità di riconoscimento del volto non ha mai sofferto, neanche in condizioni di luce scarsa o con soggetti in movimento.
Un paio di elementi potrebbero comunque essere oggetto di miglioramento a nostro avviso: il display LCD, per quanto reattivo, non rende giustizia all’ottimo sensore dal punto di vista della resa cromatica, non si tratta di una feature fondamentale visto che il risultato finale del processo resta la fotografia stampata, ma quando si scaricano le fotografie e si visualizzano su un monitor calibrato si apprezzano ancora di più sia le scelte stilistiche applicate che la qualità di ripresa del sensore da 16 MP. Anche la batteria ha sofferto nelle nostre prove di durata limitata, ma c’è da considerare che il modello testato era una versione di preproduzione, e non è escluso che la versione finale della fotocamera offra una batteria più performante. Resta comunque un aspetto da monitorare per chi intende utilizzare la fotocamera durante eventi lunghi o viaggi.












La fotocamera è sicuramente pensata per un pubblico ampio, la possibilità di usarla anche come stampante “esterna” ad uno smartphone ne aumenta l’universalità, ma ci piace sottolineare che a nostro avviso soprattutto i veri appassionati di fotografia sapranno riconoscerle quelle qualità che ne hanno narrato la storia sotto forma di dualità: arte/documento, unicità/riproducibilità, digitale/fisico, tutto dentro un solo laboratorio tascabile chiamato Instax Wide Evo.
Per tutti gli ulteriori dettagli tecnici rimandiamo alla pagina ufficiale del prodotto.
Silvio Villa