George ma che hai combinato!?!
Nella versione originale de “Star Wars” del 1977, Han Solo spara per primo, uccidendo Greedo, un cacciatore di taglie Rodian che lavora per Jabba the Hutt. Han Solo deve a Jabba molti crediti e ha una taglia sulla testa. La scena in cui Greedo minaccia Han nel bar di Mos Eisley è diventata celebre. Greedo dice: “Tempo scaduto, Solo!” e Han risponde con un rapido sparo in quello che appare come un atto di auto-difesa preventiva, a voler essere buoni, ma da realisti: il normale atteggiamento di un contrabbandiere galattico. Tuttavia, nelle millemila edizioni successive, in cui il film viene migliorato o meglio cambiato con la CGI (computer grafica), Lucas ha alterato la scena facendo sparare prima Greedo, trasformando l’azione di Han in una risposta diretta piuttosto che in un’aggressione.
Questo cambiamento ha avuto un impatto significativo sulla caratterizzazione di Han Solo, riducendo la complessità e l’ambiguità morale del personaggio. Nella versione originale, Han è presentato come un anti-eroe cinico e pragmatico, disposto a fare ciò che è necessario per sopravvivere in un universo ostile. Il fatto che spari per primo lo dipinge come un personaggio che vive ai margini della legge, pronto a prendere decisioni difficili e moralmente ambigue.
La modifica di Lucas, tesa a rendere Han più “eroico”, finisce per appiattire il personaggio, privandolo di quella sfumatura grigia che lo rendeva così affascinante e realistico. È un mascalzone che poi, alla stretta dei fatti, diventa un eroe. Non lo è già dall’inizio. Questo cambiamento riflette una tendenza più ampia nelle narrazioni contemporanee, particolarmente evidente nell’era del movimento #MeToo, dove c’è una pressione a presentare personaggi principali con tratti esclusivamente positivi. Il che finisce per distruggerne quelle caratteristiche che rendono un personaggio umano e fallibile. E quindi anche capace poi di riscattarsi e cambiare. Almeno questo nei film con struttura classica.
Il perfetto contraltare di Luke Skywalker
La caratterizzazione originale di Han Solo non solo lo rendeva un personaggio affascinante di per sé, ma fungeva anche da perfetto contraltare di Luke Skywalker. Mentre Luke rappresentava l’eroe idealista, guidato da un forte senso di giustizia e da nobili ideali, Han incarnava una visione più cinica e pragmatica della galassia. Questo contrasto arricchiva enormemente la narrazione, creando una dinamica complessa tra i personaggi principali.
Han, con la sua moralità ambigua e il suo atteggiamento scettico, metteva in risalto l’innocenza e l’idealismo di Luke. Allo stesso tempo, il suo graduale avvicinamento alla causa dei ribelli e il suo sviluppo verso un eroismo più convenzionale risultavano più credibili e soddisfacenti proprio perché partivano da un punto di partenza moralmente grigio.
Tutti e due hanno nella saga, e con saga intendo i film dal 1977 al 1983, un percorso cristologico in cui muoiono e rinascono. Si pensi a Solo imprigionato nella grafite e come la sua liberazione ci dia non più un contrabbandiere ma un ribelle, un eroe.

L’impatto del movimento #MeToo sulla caratterizzazione dei personaggi
Oggi, questa tendenza a “purificare” i personaggi rischia di produrre figure meno credibili e meno coinvolgenti. La complessità morale di Han Solo, evidenziata dalla sua decisione di sparare per primo, era parte integrante del suo fascino. Rappresentava un personaggio in evoluzione, capace di crescita e redenzione, proprio perché partiva da un punto moralmente ambiguo.
Nell’era post #MeToo, molti film hanno cercato di presentare personaggi principali esclusivamente positivi, perdendo spesso di vista la complessità che rende i personaggi memorabili. Ecco sei esempi di personaggi recenti che soffrono di questa tendenza:
1. Carol Danvers in “Captain Marvel” (2019): Mentre il film cerca di presentare un’eroina forte e indipendente, Carol spesso appare unidimensionale. La sua perfezione e invincibilità la rendono meno relazionabile, privandola di un vero arco di crescita personale che avrebbe potuto renderla più interessante.
2. Rey in “Star Wars: L’ascesa di Skywalker” (2019): Nonostante le premesse promettenti, il personaggio di Rey finisce per essere eccessivamente idealizzato. La sua rapida padronanza della Forza e la mancanza di vere lotte interiori la rendono meno coinvolgente rispetto ai protagonisti delle trilogie precedenti, che mostravano maggiori conflitti interni.
3. Diana Prince in “Wonder Woman 1984” (2020): Sebbene il primo film avesse presentato un personaggio più sfaccettato, in questo sequel Diana appare spesso come una figura troppo perfetta e priva di difetti significativi. Questo approccio riduce la tensione drammatica e le opportunità di crescita del personaggio.
4. Sabina Wilson in “Charlie’s Angels” (2019): Nonostante il tentativo di presentare un personaggio forte e indipendente, Sabina (interpretata da Kristen Stewart) manca di profondità e complessità. Il film evita di esplorare le sue vulnerabilità o conflitti interiori, presentandola come una figura quasi infallibile che non affronta vere sfide personali.
5. Erin Bell in “Destroyer” (2018): Sebbene il film cerchi di presentare un personaggio femminile complesso, la caratterizzazione di Erin (interpretata da Nicole Kidman) tende a cadere in stereotipi di “donna dura” senza esplorare pienamente le sfumature della sua personalità. Il suo arco narrativo, pur essendo drammatico, manca di una vera evoluzione emotiva che potrebbe renderla più relazionabile.
6. Amy in “Single ma non troppo” (2016): Mentre il film tenta di sovvertire le convenzioni delle commedie romantiche, il personaggio di Amy (interpretata da Rebel Wilson) rimane largamente unidimensionale. La sua fiducia e positività, sebbene presentate come punti di forza, non sono bilanciate da momenti di vera vulnerabilità o crescita personale, rendendo il suo percorso meno coinvolgente.






Impatto sulla rappresentazione femminile e sulla lotta al patriarcato
È importante notare che questa tendenza a semplificare i personaggi, paradossalmente, può andare a detrimento della rappresentazione femminile e banalizzare le questioni di genere; senza effettivamente servire a combattere la cultura patriarcale.
Presentare personaggi femminili come eroine perfette e prive di difetti può sembrare un modo per contrastare gli stereotipi negativi, ma in realtà rischia di creare nuovi stereotipi altrettanto limitanti.
Questo approccio:
1. Nega la complessità dell’esperienza femminile: Le donne, come tutti gli esseri umani, sono individui complessi con pregi e difetti. Rappresentarle come figure perfette le priva della loro umanità e relazionabilità.
2. Crea aspettative irrealistiche: Personaggi femminili “perfetti” possono creare standard impossibili da raggiungere, potenzialmente danneggiando l’autostima delle spettatrici. Oltretutto mostra ancor più il fianco a critiche da parte di commenti maschilisti.
3. Limita la profondità narrativa: Personaggi senza difetti o conflitti interni offrono meno opportunità per esplorare temi complessi e sviluppi narrativi interessanti.
4. Può rinforzare inconsapevolmente stereotipi di genere: L’idea che le donne debbano essere “perfette” per essere valorizzate è di per sé un concetto patriarcale.
5. Non affronta le vere questioni di genere: Concentrarsi sulla creazione di eroine “perfette” può distogliere l’attenzione dalle reali problematiche di disuguaglianza e discriminazione di genere nella società.
Conclusioni
Il caso di Han Solo e l’evoluzione della caratterizzazione dei personaggi nell’era post-#MeToo offrono importanti spunti di riflessione. Mentre è comprensibile il desiderio di presentare modelli positivi nelle narrazioni, è fondamentale riconoscere il valore della complessità caratteriale, sia per i personaggi maschili che femminili.
Personaggi come l’Han Solo originale, con le loro contraddizioni e aree grigie, offrono un ritratto più ricco e realistico della condizione umana, permettendo al pubblico di esplorare temi morali complessi in modo più profondo e stimolante. Allo stesso modo, personaggi femminili complessi e sfaccettati possono contribuire a una rappresentazione più autentica e ricca delle donne sullo schermo.
Il cinema post-#MeToo dovrebbe cercare di mantenere questa complessità caratteriale per creare narrazioni davvero significative. Solo attraverso personaggi autentici e multidimensionali, che riflettono la vera complessità dell’esperienza umana, possiamo sperare di affrontare e sfidare efficacemente le strutture patriarcali e promuovere una vera uguaglianza di genere nella narrazione e oltre.
La vera forza della narrazione sta nella sua capacità di mostrare la crescita, il cambiamento e la redenzione. Personaggi come Han Solo, che partono da un punto moralmente ambiguo e crescono nel corso della storia, offrono un potente messaggio sulla possibilità di cambiamento e miglioramento. Applicare questo approccio a personaggi di tutti i generi non solo arricchisce le nostre storie, ma può anche contribuire a una comprensione più profonda e sfumata delle questioni di genere e della lotta contro il patriarcato.
Poi nulla ci vieta di prendere un personaggio femminile positivo e renderlo negativo. Ricordiamoci che il cinema, la pittura, la fotografia, la scrittura… sono arte. L’arco di trasformazione del personaggio non dev’essere per forza positivo. Non pretendiamo sempre che il cinema debba cambiare la società. Alcune volte deve solo descrivercela. Altre anche solo farci divertire con delle storie.