L’eleganza dell’armonia. Intervista a Giorgio Di Maio

Incominciamo a parlare di te. Quando hai cominciato scrivere la tua personale storia della fotografia e quali sono i momenti che ritieni più significativi?

Il mio rapporto con la fotografia nasce casualmente. Dopo la morte di mio padre, mia madre volle regalarmi una macchina fotografica. Non so perché lo fece. Non era solita farmi regali grandi, senza alcuna ricorrenza. Né io le avevo mai mostrato un particolare interesse per la fotografia. Pochi mesi dopo ebbi il primo momento di scoperta nell’uso dell’apparecchio fotografico: nella campagna di mio zio in Basilicata, privo di ogni cultura fotografica, feci una strana foto, un’immagine un po astratta dove c’era l’azzurro del cielo, il giallo della terra e un albero che a stento si intravedeva. La successiva crescita in campo fotografico mi è stata suggerita dall’istinto, che mi portava a fotografare sempre oggetti poveri e un po’ decadenti. Una fase decisiva è stata quando, dopo anni di abbandono dell’attività fotografica, deluso dal fatto che sei mostre napoletane non mi avessero aperto nessuna strada, ripresi a fotografare nella campagna intorno Venosa, il paese di Orazio, dove avevo preso una casa per trascorrere i week-end con mia figlia dopo la separazione con la madre. Fu allora che presi coscienza del mio amore per la Natura e avviai un percorso di purificazione del mio essere in senso ambientalista. Infine nel 2013 decisi di dedicarmi totalmente alla fotografia dopo le fuggevoli parole di una donna americana, che mi apparve un giorno inaspettata, a complimentarsi con le mia foto come se le avessero toccate nella profondità dell’anima. La crisi economica incombeva e la mia attività di architetto era pressoché ferma. Così, studiando e fotografando, sono arrivato all’Armonia nascosta.

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© Giorgio Di Maio – Genzano di Lucania 25.11.2013

 

Nella tua professione, quella di architetto, la macchina fotografica è diventata, nel tempo, uno strumento importante, forse necessario. Dove finisce la fotografia di documentazione e inizia quella che definisci di profonda riflessione e indagine sul linguaggio visivo stesso?

In realtà per la mia attività professionale di architetto adoperavo una compatta, il mitico ovetto dell’Olympus, e le foto che facevo, solitamente di rilievo dei luoghi, erano foto svogliate, scattate con scarsa attenzione se non quella rivolta alla raccolta delle informazioni necessarie al lavoro. Compresi che la documentazione era un valore fondamentale della fotografia nel 2003 ad una lezione di Uliano Lucas mentre seguivo un Master di Fotografia dello Spettacolo a Milano. Ma nel mio personale percorso non ho mai pensato a documentare qualcosa. Anche quando ero ragazzotto ai primi scatti, camminavo per le strade cercando la poesia. Agli inizi ero portato a individuare frammenti un po malinconici, volevo toccare la parte delicata di chi vedesse le mie foto. Commuoverlo verso se stesso e la vita. Poi, dal 2013, ho iniziato a trasferire alla fotografia tutte le mie conoscenze sul linguaggio che mi provenivano dalla formazione di architetto. E’ stato un percorso lungo e non facile. Oggi, se proprio devo dire che voglio documentare qualcosa, quello è l’Immutabile. Come un fisico che cerca la formula matematica ultima che regole tutte le leggi dell’Universo.

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© Giorgio Di Maio – Oppido Lucano 17.12.2015

 

Guardando i tuoi lavori, è possibile apprezzare la continua ricerca di equilibrio tra pieni e vuoti, questo sembra essere un segnale dell’influenza della tua formazione. Quando hai acquisito questa vocazione verso l’equilibrio compositivo?

L’equilibrio compositivo è la chiave dell’arte. Non c’è opera d’arte se non c’è equilibrio compositivo. Un’opera d’arte è creazione e la creazione si realizza se c’è equilibrio. Un film è riuscito quando, anche attraverso successivi spostamenti che sembrano disorientarci, scopriamo che il regista ci ha portato lungo un unico filo, dall’inizio alla fine. Un’opera è arte quando costituisce un’unità cui non si può togliere o mettere nulla senza turbarne l’equilibrio compositivo. L’artista genera una creatura che deve corrispondere all’unità che si è preposto. Queste cose le ho imparate disegnando all’università accompagnandomi con la lettura di testi sulla semantica, per comprendere le possibilità di comunicazione attraverso i segni. Capii che un segno-linea aveva le stesse possibilità di espressione di un segno-lettera come di un segno-nota. “L’insieme va sempre considerato un’unità integrale” scrisse Frank Lloyd Wright e così ho poi sviluppato il senso dell’equilibrio studiando le planimetrie dell’architetto organico americano. Ad ogni mio progetto, per trovare la soluzione ai miei enigmi compositivi, sfogliavo il volume pubblicato dall’editore tedesco Wasmhut nel 1911, un libro di soli disegni di Wright che tenevo sempre aperto sulla scrivania.

© Giorgio Di Maio - Iseo 28.03.2019
© Giorgio Di Maio – Iseo 28.03.2019

 

Il costruito fa parte del paesaggio, l’uomo antropizza, invade l’ambiente, te in questo stato di cose trovi il modo di ritrarre l’equilibro, facendo una ricerca compositiva, su forme e colori. Tagli via dal contesto, rappresentando un dettaglio, quasi come se fossero pezzi di un collage, da dove deriva questa scelta? E hai mai trovato equilibrio ed armonia aprendo l’inquadratura sull’intero costruito?

Sono felice di questa domanda: significa che si vede quello che faccio e quella che io considero un’assoluta novità nella ricerca fotografica. Spesso vengo liquidato da esperti del settore con il “è già stato fatto”. Ma io non vado alla ricerca del minimalismo, né documento la quiete. Adopero piuttosto nella fotografia il linguaggio delle Avanguardie pittoriche dei primi del ‘900 per esprimere la Pace, ricavandolo dal circostante. E’ come se volessi lanciare nell’oceano dell’umanità tante bottiglie, ognuna contenente un foglio con su scritto la parola Pace, in un linguaggio che non necessita di traduzioni e che perciò è comprensibile a tutti. E come quei pittori trattavano la tela, cosi io tratto la foto: come un piano bidimensionale. Quando passeggio ho acquisito un occhio che riesce a immaginare la composizione formata da elementi che sono su piani diversi e che vengono ricondotti in un equilibrio compositivo sul piano bidimensionale della foto. Da dove deriva questa scelta? Dalla vita! “L’architettura è una avventura nell’avventura più ampia che è la vita” scriveva ancora Wright. Seguendo i miei istinti, le mie passioni. Leggendo, studiando e approfondendo coloro con i quali mi è sembrato di avere una affinità nel sentire il mondo. Se ho mai trovato equilibrio ed armonia aprendo l’obiettivo? Si, l’armonia aprendo l’inquadratura la si può trovare. Ma io non fotografo l’armonia evidente, ma la legge che la sottintende che è astrazione.

©Giorgio_Di_Maio_Marcelli di Numana 08.03.2020
© Giorgio Di Maio – Marcelli di Numana 08.03.2020

 

Le ombre sono anche tracce, tracce di presenze, così come di assenze, le potremmo definire esse stesse rappresentazioni. Cosa ti ha spinto a dedicargli attenzione e a farle emergere quasi come oggetti materiali?

Una delle mie prime mostre fu ‘Ombre’. Era il periodo dell’assedio di Sarajevo e ogni giorni vedevamo in tv le immagini di quelle donne che andavano a fare la spesa correndo sotto lo sparo dei cecchini. Era una cosa che soffrivo molto. Decisi di prendere un po’ di aria e mi recai da solo per sette giorni nell’isola greca di Alonissos. Partii con l’intenzione di fotografare ombre. Pensavo di esorcizzare cosi il peso, l’angoscia che sentivo dentro di me: la mia ombra. Ne andai alla ricerca per scoprire me stesso, per rivelarla a me stesso. Pochi giorni dopo il ritorno dal viaggio mi trovai per caso a una conferenza dello psicologo Raffaelle Ponticelli. Ascoltandolo capii che quella che era stata una mia scelta istintiva non era stata poi un’idea cosi balzana, ma anzi avevo esercitato spontaneamente un’azione Junghiana sul mio essere. Ponticelli fu subito entusiasta delle mie foto e mi curò la mostra, analizzandomi attraverso le immagini. Di seguito mi invitò assieme ad altri fotografi a parlare del rapporto tra fotografia e psicologia. Di tutt’altra natura è stato lo studio delle ombre dopo il 2013, quando ho iniziato a dedicarmi all’individuazione dell’Armonia nascosta nel reale. Ho fotografato prima le linee, adoperando come pretesto i tubi, ‘I sentieri dell’acqua’ e poi i chiaroscuri, appunto le ombre. Ho seguito gli insegnamenti di Paul Klee, che riteneva questi studi fondamentali e propedeutici. Ma non lo sapevo! Ho seguito l’istinto e solo di seguito, leggendo la Confessione creatrice, ho compreso la correttezza del mio agire. Oggi, che ho acquisito una discreta consapevolezza nell’uso del medium fotografico, l’ombra è diventata un elemento formale, un segno come come tutti gli altri nella mia ricerca dell’Armonia nascosta. All’ombra riconosco però un importante significato filosofico: l’ombra è l’opposto della luce. L’Unità si realizza nella dualità degli opposti. Giorno e notte sono la stessa cosa.

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© Giorgio Di Maio – Camerano 21.09.2019

 

Spesso si insegna, in parte si crede, che il miglior modo di rappresentare fotograficamente le architetture sia usare il bianco e nero. Quanto, secondo te, questo modo di pensare è corretto?

Vedi, chi crede nell’armonia è portato a non giudicare. Dunque per me non c’è un più corretto e un meno corretto. C’è un diverso. Si tratta di scelte personali che insieme possono integrarsi e darci un salto in più verso la Verità. Posso dirti che come architetto, e non come fotografo, preferisco le foto a colori. Ma perché sono interessato alla documentazione dell’oggetto architettonico e non alla sua trasfigurazione. Il bianco e nero non rende i colori dei materiali che invece so che furono scelti con attenzione dell’architetto per costruire la sua creatura, per raggiungere l’equilibrio compositivo dell’opera.

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© Giorgio Di Maio – Vicenza 09.07.2019

 

“L’Armonia nascosta: I sentieri dell’acqua”. Si dice da sempre che l’acqua trova la sua strada, eppure l’uomo cerca da sempre di incanalarla o comunque di guidarla. Nelle tue intenzioni, c’è più la vocazione dell’uomo a convogliare l’acqua o la forza dell’acqua a sfuggire a questo controllo?

Ah io sono per la libertà! Assolutamente per sfuggire al controllo! Se proprio dovessi dare una metafora allora la forza dell’acqua è la Natura che scorre immutabile. L’uomo che si fa trascinare resta libero di nuotare; chi si oppone ne resta imprigionato.

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© Giorgio Di Maio – Oppido Lucano 29.10.2016

 

“L’Armonia nascosta: Cristianesimo, arte e paganesimo”. In questi tuoi scatti si percepisce un continuo dialogo tra l’arte pittorica, la scultura e quella che possiamo definire architettonica. Hai pensato ad un artista del passato che abbia potuto influenzarti nel cercare di rappresentare questo intimo dialogo? Sembra, infatti, ritrovare Piero della Francesca nell’uso dei piani paralleli e dei maestri del periodo Barocco, come Bernini, nelle ombre, nell’oro e nella scultura.

Guarda ti ringrazio per avere pensato a cosi importanti influenze e chissà, potrebbero anche esserci. Cristianesimo, arte e paganesimo è però un lavoro che ho prodotto mosso da un’altra intenzione: rendere le rappresentazioni presenti nelle chiese cattoliche per quello che sono: prodotti della manifattura umana che possono avere, semmai, un valore artigianale. Quando si prega una statua si commette idolatria. La crescita spirituale si ha quando ci si rivolge a Dio non a un legno o a un marmo. Non esiste santità e Dio non ha bisogno di migliaia di segretari che decidano per suo conto. Inoltre ho voluto denunciare la raffigurazione tenebrosa e di dolore di un Credo che dovrebbe annunciare felicità all’Uomo perché è stato sgravato dal peccato da un Dio che se li è accollati tutti, consapevole dell’impossibilità della sua creatura di essere esente da errori. Di un Dio che poi è peraltro anche risorto!
Mentre la vera arte sacra è quella che ci indica De Chirico, ovvero l’individuazione del divino nel proprio mondo, ove l’uomo possa riversarvi il suo bisogno di assoluto. La statua non ci porta all’assoluto, ma diventa un idolo al quale chiediamo la risoluzione dei nostri problemi. La statua è statica. L’opera d’arte rappresenta l’Immutabile, la forza dell’acqua che scorre. La statua ci lega. L’opera d’arte ci rende liberi, lanciandoci nell’infinito.

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© Giorgio Di Maio – Napoli 21.09.2014

 

Nel lavoro “Feminine” la donna c’è, sebbene non sia in realtà presente. I tuoi sono tagli di rappresentazioni femminili, che rimandano alla donna. Come mai questa scelta evitando di fotografare direttamente le donne?

Vedi io sono un bohémien: mi nutro di vita e di arte. Van Gogh si è fatto tanti autoritratti perché non aveva i soldi per pagare modelli o modelle. Voglio dire che non ci si improvvisa. Sono un architetto con una formazioni artistica non un fotografo che proviene da una scuola di fotografia. La mia ricerca fotografica l’ho sviluppata da autodidatta. Tanto più che mi sono evoluto sempre in completa autonomia e sovente in contrasto con un certo potere culturale che gestisce mezzi e risorse nella nostra Italia. Un giorno non mi dispiacerebbe avere tempi e possibilità per dedicarmi al ritratto femminile. Ma ho la consapevolezza che per ottenere qualcosa che mi soddisfi ho necessità di studio e sperimentazione. Si tratta di gettarsi in un sentiero senza sapere a cosa ti porterà. Con questo non voglio dire che il lavoro Feminine è nato come ripiego. E’ sorto spontaneo anche lui. Passeggiando scorgevo dei frammenti nei quali leggevo che il taglio delle rappresentazioni femminili potesse dar luogo, nel suo contesto, a una immagine poetica, di omaggio alla donna. E appartengo a quella categoria di artisti che ama sentirsi spronato da un sentimento di dedizione alla donna. Amare la donna è qualcosa che ti fa sentire migliore. E mi è capitato di amare avvertendo questo effetto in me stesso.

©Giorgio_Di_Maio__Milano 06.02.2016
© Giorgio Di Maio – Milano 06.02.2016

 

Citando un inciso del tuo portfolio “Non può esserci progresso spirituale che non passi per l’amore e il rispetto della donna”. Ritieni che anche la fotografia, ai giorni nostri, considerando anche l’uso dei social network, sia compatibile con questa affermazione? Stiamo facendo passi avanti o stiamo regredendo secondo te?

Sono un ottimista e credo che la legge armonica che regola il flusso del continuo divenire ci conduca verso il progresso. Insomma: alla fine i buoni vinceranno! Penso che il disagio della nostra epoca non derivi dal fatto che stiamo regredendo quanto piuttosto dalla mancata consapevolezza della nostra condizione di barbari rispetto alle potenzialità di progresso delle future generazioni. Abbiamo delirato di onnipotenza convinti di essere entrati in un meccanismo di crescita autoregolamentato; invece viviamo in una terribile discordanza tra il progresso materiale, economico e tecnologico, e quello spirituale. La tragedia del coronavirus di questi giorni è un evento che ci riconduce al Reale. Così, per la questione femminile. Pochi anni fa la donna non votava, non lavorava, e valeva ancora il delitto di onore. Il raggiungimento di alcuni diritti e libertà ci hanno fatto credere di avere raggiunto la consapevolezza della parità dei sessi. Ma il Reale è qualcosa di diverso dell’immagine che la cultura capitalista ci ha dato o, addirittura, imposto. Oggi ci stiamo svegliando da tanti sogni e scopriamo che la nostra società è ancora estremamente maschilista. Violenta nei confronti delle donne. Che non accetta che le donne siano completamente libere di essere, secondo la loro natura e i loro istinti. Leggevo pochi giorni fa su una rivista specializzata di quanto ancora l’orgasmo femminile sia considerato un tabù. La fotografia delle donne, che poi è in prevalenza quella di moda o pubblicitaria, la tratta come un manichino o un oggetto sessuale. Armani di recente ha parlato di stupro degli stilisti nei confronti delle donne. Instagram è poi pieno zeppo di foto di donne che utilizzano il loro corpo per raccogliere followers. Non giudico né sono una donna per sapere cosa o come desiderano conquistare la loro totale libertà. Posso esprimere soltanto un mio parere sotto il profilo artistico e per me di arte c’è n’è poca e, invece, tanto business. No, non penso che stiamo regredendo, soltanto abbiamo molto più strada da fare di quanto abbiamo creduto.

©Giorgio_Di_Maio__Milano 05.02.2016
© Giorgio Di Maio – Milano 05.02.2016

 

È più difficile formulare armonia fotografando il costruito o fotografando elementi della natura?

Sicuramente con il costruito perché presenta una linearità geometrica che facilita nell’espressione del rapporto equilibrato, così come sono le formule matematiche che descrivono le leggi naturali. Chiarisco quanto già ti ho accennato prima: io non fotografo l’armonia evidente, ma l’armonia nascosta, ovvero la legge che la sottintende, il logos del continuo divenire. Se ci troviamo all’interno di uno splendido paesaggio di montagna e scattiamo una foto, documentiamo la bellezza del luogo. Ma cosa ha determinato quella bellezza? Perché ci sembra tutto cosi perfetto? Perché c’è il logos, la legge universale, immutabile, che regola il continuo divenire. Mondrian ha provato a dipingerlo sulla tela, io cerco di trarlo nel circostante con la fotografia. Anzi con la fotografia si realizza ancora più compiutamente il concetto di astratto-reale di Mondrian, secondo il quale la realtà apparente dell’uno si trasmuta nell’altro. Pittura e fotografia come strumenti di indagine verso la Verità. Che però resterà irraggiungibile e noi immersi nel Mistero. Il logos appartiene a tutti gli uomini, provenendo tutti da un’Unità originaria. L’obiettivo della mia fotografia, il messaggio di Pace, è quello di contribuire a ricordare questa condizione di fratellanza che ci accomuna tutti. Con l’integrazione si costruisce l’equilibrio. Per il principio di equivalenza, definito dai fotografi americani Stieglitz e Minor White, se noi riconosciamo l’equilibrio allora significa che vediamo nell’immagine qualcosa che si ha già in sé.

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© Giorgio Di Maio – Oppido Lucano 17.12.2015

 

Quanto le scienze, per essere comprese, hanno bisogno della bellezza? Quanto la fotografia, che è essa stessa una scienza, può aiutarla ad essere compresa?

L’arte è strumento di conoscenza. Cosi come lo è la scienza. Cosi come lo è la filosofia. Con la mia ricerca propongo la trasmigrazione delle radice mistiche e filosofiche dell’arte astratta alla fotografia. Di fondo c’è la convinzione di una unità che presiede ai processi naturali, la legge del mutamento organico. La scoperta di questi ultimi secoli è stata che la Verità ci è però irraggiungibile. La fisica è arrivata a comprendere che esistono spazi talmente distanti da noi dei quali non potremo mai avare cognizione. La filosofia ha rinunciato a provare a spiegare i meccanismi dell’Universo e oggi il pensiero è rivolto alla comprensione della condizione dell’Uomo su questo minuscolo pianeta, a come condurre l’esistenza, all’esser-Ci. E, senza volere mettere in dubbio l’essenza del Cristianesimo, la Fede come strumento di potere che obbliga l’uomo a ubbidire a prescrizioni per dovere essere giudicato in funzione di una ‘vera vita’ ultraterrena, è stato sorpassato e non potrà mai più essere guida del comportamento umano. In questo scenario, persi senza ragione nell’infinito spazio, che resta da fare? Sentirsi parte del Tutto. Come ha affermato Whitehead “la vera prova non è quella della finalità, ma quella del progresso”. La presenza divina nell’uomo non potrà manifestarsi nel suo diventare governatore dell’universo, è una assurdità allucinante! Ma nel suo riuscire piano piano a integrarsi nella Natura e nel suo processo armonico. Ritornando all’Unità originaria. “Ciascuno in ciascuno e ciascuno nel tutto “ amava ripetere Wright. La fotografia può fare tanto. Oggi è forse il più potente mezzo di comunicazione perché con click arriva subito ovunque. Si tratta di cogliere l’elemento spirituale nell’elemento materiale, come diceva Kandinskij, per risvegliare questa capacità che sarà sempre più indispensabile per il nostro futuro.

©Giorgio_Di_Maio_Marcelli di Numana 10.10.2019
©Giorgio Di Maio – Marcelli di Numana 10.10.2019

 

Federico Emmi