Senza aver paura della morte, il cinque luglio scorso Lisetta Carmi abbandonava le sue cinque vite terrene lasciandoci in eredità un’esistenza spesa a cercare di capire sé stessa e gli altri. Riconoscendosi, trovandosi.
Nata a Genova nel febbraio del 1924 da un’agiata famiglia borghese di origine ebraica, è stata una concertista di successo, una rifugiata in Svizzera a seguito delle leggi razziali, un’attivista, una fotografa, una seguace del maestro indiano Babaj, fonderà un ashram a Cisternino, infine, un’estimatrice della calligrafia cinese.
Tanto, o forse troppo poco è stato detto su Lisetta Carmi.
Fotografa per solo un ventennio della sua lunga vita ed è questa probabilmente la testimonianza più accessibile che ci lascia Lisetta.
Capire con naturalezza.
La stessa naturalezza che la porta a comunicare a suo padre, durante la guerra, di non voler rimanere in Svizzera, ma andare sulle montagne con i partigiani, rinuncia alla Resistenza per amore della famiglia.
Con pari spontaneità accetta l’invito dell’amico Leo Levi e parte per San Nicandro Garganico, in borsa nove rullini e una macchina fotografica. Leo Levi voleva registrare dei canti ebraici, Lisetta torna con le sue prime fotografie realizzate presso la Comunità Ebraica fondata da Donato Manduzio il quale credeva di essere l’ultimo ebreo sulla Terra e di aver ricevuto l’incarico divino di diffondere la dottrina.
Poi, le foto al porto di Genova. Dirette, immediate. Si finge cugina di un portuale e fotografa la realtà lavorativa del porto. Scopre al mondo un posto chiuso, un luogo dove i camalli imparano cos’è la vita e cosa la morte. Nasce il suo primo reportage di denuncia politica per la CGIL sulla condizione dei camalli.

Vestita di genuinità si ritrova, durante un Capodanno genovese, a fotografare i travestiti di Via del Campo. Tornerà il giorno dopo per regalare loro gli scatti del giorno precedente. Così facendo si fidano di lei, si confidano e si fanno fotografare, il lavoro di ricerca e di immagini durerà sei anni. Un’altra volta dalla parte dei reietti, degli invisibili.
Ritrae la normalità, la loro voglia di tenerezza, le loro case, la famigliarità. Non vuole scandalizzare, vuole capire. Imparerà che non esistono gli uomini e le donne, esistono gli esseri umani, di sé coglierà la sua identità. Nasce così uno dei suoi reportage più famosi “I Travestiti” edito nel 1972.
Di alcune di loro diverrà amica. Prima della pubblicazione dovette chiedere ai travestiti il permesso di pubblicare le loro fotografie. Incontrò naturalmente delle difficoltà, tra tutte, più arduo chiedere alla Gitana a cui facevano riferimento le altre; la invitò per un caffè e il patto fu: solo se mi metti in copertina. La Gitana è in copertina.
Sergio Donnabella si offre come editore, per dieci milioni di lire si stamperanno tremila copie, un’enormità per i tempi. Distribuito nelle librerie, i librai non lo esposero. In una delle sue interviste, Lisetta racconta di essere entrata in una libreria di Milano e aver chiesto al personale di mostrarle una copia, il libro era sotto un tavolo. Un unico librario di Roma, Remo Croce, lo presentò con Dacia Maraini, Dario Bellezza e Lombardi Satriani, ne comprò cento copie.
La casa editrice, narra Lisetta, la chiamò dicendole di dover mandare al macero l’invenduto, ma Barbara Alberti si propose di acquistare le copie invendute e si arredò casa. Copie sotto il letto, altre a costruire un divano poi, una ad una regalate agli amici.
Oggi il libro è introvabile.
E ancora Israele prima e dopo la Guerra dei sei giorni, con sguardo critico. Documenta l’effetto del conflitto sulle popolazioni. Visita i campi-profughi dedicando particolare attenzione ai bambini che “vivono senza speranza”. Ne uscirà turbata. Non tornerà più in Israele.
Mossa dalla voglia di capire gli esseri umani, il mondo, cosa lo muove.
Niente più delle sue stesse parole la identificano con maggiore accuratezza:
«Sono sempre stata dalla parte di chi soffre, dalla parte di chi lotta, di chi il potere lo subisce: di coloro che hanno meno possibilità di decidere del proprio destino. Non è stata una scelta, ma un‘inclinazione; forse perché, nella mia coscienza, c’è questo retaggio antichissimo di persecuzione».
Grazie Lisetta, adesso sappiamo che la libertà si può fotografare.
Per chiunque volesse vedere o rivedere le opere di Lisetta Carmi, le Gallerie d’Italia di Torino le dedicano una monografica: “Lisetta Carmi. Suonare Forte” in programma dal 22 settembre 2022 al 22 gennaio 2023.
Matteo Rinaldi