Nel cuore di Milano, presso Porta Venezia, esattamente di fronte al Parco Indro Montanelli, ha sede il MEET, Digital Culture Centre. Questa è stata la location scelta da Huawei, il 26 gennaio 2022, per il lancio del nuovo Huawei P50 Pro e Huawei P50 Pocket, all’interno della presentazione del progetto Huawei Back in Motion, una serie di scatti in movimento che mostrano come il corpo e la natura non si siano fermati anche in periodo di restrizioni e tempi sospesi. Questa campagna ha coinvolto il fotografo e visual artist Luca Locatelli, ambasciatore Leica, collaboratore del National Geographic, del New York Times, di Wired, di Stern e altri. Nel 2020, come già nel 2018, è stato il vincitore del World Press Award Ambiente con il progetto “The End of Trash”.
Lo abbiamo raggiunto dopo un itinerario all’interno dell’allestimento The Immersive Experience.

La prima domanda è la classica che riserviamo a tutti i nostri intertivistati: Luca come e quando è iniziata la tua personale storia con la fotografia?
È una domanda che ha una risposta lunga. Io nella mia vita precedente facevo l’informatico, sviluppavo software, avevo una mia società. Questa cosa era cresciuta talmente tanto che mi ha impedito di viaggiare. La mia passione per la fotografia è nata proprio durante un viaggio, in Amazzonia, durante il quale mi sono talmente innamorato sia dell’aspetto della fotografia come forma di espressione, sia dell’aspetto sociale, sia delle tematiche ambientali che sono il mio punto di riferimento. Da lì in poi è scoppiata quella cotta irrazionale per cui, a un certo punto, molli tutto senza alcun tipo di base logica e ti autodichiari fotografo. Inizi un percorso di assoluta povertà, ma, di tanta tanta libertà e passione che, fino adesso, non si è interrotto. La povertà, l’ho un po’ guarita. Non so come sia successa questa cosa, non so se ci sia una compartecipazione stellare, ma io sono davvero grato. E un mestiere, se si può definire tale, anzi è una forma di espressione, che non cambierei con nessun’altra al mondo. Non vorrei essere una rockstar. Vorrei essere un fotografo ancora più bravo. Ecco, questo mi interessa.

Il tuo focus è l’ambiente. L’ambiente, la cultura e la scienza sono per te un’interazione affascinante. Che cosa visivamente ti colpisce?
Mi interessa molto, dopo un percorso all’interno del mondo della denuncia, della denuncia ambientale, il disastro che l’uomo sta infliggendo alla terra. Ho scoperto che le mie competenze, legate al percorso di studi tecnologici che ho fatto, unite alla mia passione per la tecnologia, mi hanno sempre fatto pensare che potesse essere una possibile soluzione, se applicata nella giusta modalità, a molti dei problemi che abbiamo causato. Questi problemi sono stati provocati prevalentemente dopo la prima rivoluzione industriale con l’avvento della tecnologia, in particolare dall’elettronica in avanti. In sintesi, trovo molto interessante quando la consapevolezza ambientale dell’uomo unita all’ambiente, inteso come luogo da proteggere, e la tecnologia e la scienza riescono a triangolare in modo proficuo e bilanciato proprio per tutti quanti. Questo trovo molto interessante. Di base, nella vita, racconto soluzioni.

Hai in parte anticipato parte della domanda successiva. Dunque, qual è il senso di raccontare per immagini la tecnologia?
Raccontare per immagini la tecnologia applicata all’ambiente per me è un senso più universale. Quello che cerco di fare con il mio lavoro è ricostruire quell’anello spezzato tra speranza e futuro. Credo che, in questo momento, sia ancora molto necessario vedere il dramma, ma, credo sia altrettanto necessario cominciare a capire quali siano le prospettive future e restituire, soprattutto alle nuove generazioni, qualcosa che noi abbiamo avuto, quel sogno di fare l’astronauta, quel sogno di immaginarsi un futuro, che è, invece, un immaginario che gli abbiamo tolto e che va restituito. Quello che cerco di fare è mettere sul tavolo delle possibili soluzioni, da fotografo e non da esperto, per aprire un dibattito costruttivo che mostri queste possibili soluzioni, un dibattito che ci aiuti a decidere se ci piacciono o no, ma che, comunque, già esistono. Queste storie le produco con National Geographic e altri che mi permettono di avere gli accessi e le risorse finanziarie per poterlo fare. Raccontiamo storie che hanno una profondità giornalistica concreta. Se andiamo a raccontare quella cosa è perché quella cosa è un esempio di sostenibilità su larga scala, applicabile in vari punti del mondo. Questo è il motivo per cui lo faccio: ricreare un po’ di speranza.
Tu, allora, guardi ai giovani?
Si, assolutamente. Prima di tutto perché sono padre e non so cosa sarebbe successo se non lo fossi. Devo essere sincero, perché chiaramente penso ai miei figli, penso a quella generazione come a una generazione che potrebbe vedere accadere qualcosa di brutto. Questo pensiero mi fa stare male ed è il motore che mi aiuta ad impegnarmi sempre di più. Inoltre, la mia audience, anche su Instagram, è giovanissima, la fascia massima di punta è 18- 34. Sono quelli che oggi hanno più bisogno di credere in un possibile futuro, qualunque esso sia. Hanno una percezione molto meno conservatrice di quella che abbiamo noi per cui la tecnologia applicata ai landscapes la reputiamo brutta da vedere, invece loro la sentono bellissima. È in atto un cambiamento della percezione della realtà, così come la abbiamo immaginata noi. Per noi sono belle le colline toscane, per loro le serre automatizzate che producono pomodori in Olanda.


Riguardo la tua presenza qui, a questo evento, ti chiedo perché hai fotografato con uno strumento che non è il tuo, cosa ti offre di diverso? Cosa ti affascina?
Siamo tutti oramai abituati a usare queste device nelle nostre vite quotidiane. Affrontare un progetto, una produzione vera come Huawei Back in Motion, con in mano un telefono, ovviamente, è tutta un’altra questione. Per me stata innanzitutto una sfida e, poi, la curiosità rispetto al marchio Leica applicato all’interno del telefono. Io sono Leica Ambassador, ero molto curioso di vedere che lavoro avevano fatto nel comparto fotografico e mi ha esaltato da subito questa idea di fare un progetto con il telefono. Sono quelle cose che possono essere molto divertenti, e possono dare stimolo. In seguito è subentrata anche la paura perché io ho un meccanismo di scatto, ho dovuto, quindi, inserire un parametro differente: lo strumento che usi. Non mi ha portato nessun limite, anzi, mi ha condotto a ragionare in maniera quasi più creativa proprio perché credo che questi device abbiano superato le macchine fotografiche dal punto di vista della creatività che hanno inserito perché c’è tantissimo software, tantissima fotografia computazionale, tantissima tecnica, per esempio, penso alle micro lenti. È sorprendente pensare che un oggetto, che ti rimane in tasca in questa maniera, possa fare le foto in questo modo. Non solo, che ti possa anche offrire venti possibilità creative differenti. Vedere giorno per giorno come questo assegnato prendesse forma con delle foto che una volta tornato a casa alla sera, riguardavo scoprendole come proprio le avevo pensate. Un’esperienza assolutamente interessante e divertente.

Valeria Valli