Fino al 18 giugno a Palazzo Strozzi a Firenze è possibile fare un viaggio nel firmamento dell’arte contemporanea. Nata dalla collaborazione tra la Fondazione Palazzo Strozzi di Firenze e la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo per celebrare i trent’anni di una delle più famose e prestigiose collezioni italiane d’arte contemporanea, la mostra “Reaching for the Stars. Da Maurizio Cattelan a Lynette Yiadom-Boakye” espone una selezione di oltre 70 capolavori dei più importanti artisti contemporanei italiani e internazionali: Maurizio Cattelan, Paola Pivi, Lara Favaretto, Cindy Sherman, Anish Kapoor, Damien Hirst, Barbara Kruger, Katharina Fritsch, solo per citarne alcuni. Un vero e proprio viaggio tra musica, storia contemporanea, arte e cultura. Gli artisti, infatti, sono originari di oltre venti Paesi diversi in rappresentanza di cinque continenti, e ciascuno riesce a dare voce alla propria identità culturale.
Suddivise in 9 aree tematiche, le opere ricoprono come dicevamo, un raggio temporale di circa 30 anni di storia, con una forte concentrazione tra gli anni ’90 e i primi decenni del XXI secolo. Il riferimento alle stelle, espresso già nel titolo, accoglie il visitatore sin dalla prima opera in esposizione e lo accompagnerà poi lungo tutto il percorso museale. Nel cortile quattrocentesco di Palazzo Strozzi si erge infatti maestoso un mastodontico razzo spaziale, blu elettrico e argentato. L’opera, dell’artista Goshka Macuga, intitolata “Gonogo” (riferimento al processo di verifica “go/no go” che precede un lancio aerospaziale), sembra pronta a partire da un momento all’altro e con i suoi 15 metri di altezza è capace di proiettare lo sguardo dello spettatore verso il futuro, in un dualismo di emozioni tra eccitazione e paura.

Le opere si snodano poi tutte in un vero e proprio percorso di scoperta, in tutti gli spazi di Palazzo Strozzi, dal Piano Nobile alla Strozzina, muovendosi tra pitture, sculture, fotografie, video installazione e performance è possibile osservarle ad una ad una (stella per stella) o leggerle e ammirarle nel loro valore d’insieme, come si farebbe con le costellazioni. È un’esposizione che scorre naturale pur nel suo essere mutevole e ricca di sollecitazioni visive e tanti spunti di riflessione.
Composta da opere importanti, scrupolosamente selezionate e perfettamente bilanciate, distribuite in un’armoniosa composizione tra le antiche sale del palazzo che esalta il dialogo tra i capolavori contemporanei e l’architettura rinascimentale dello storico palazzo fiorentino.
Lo spettatore passerà quindi dalle note di humor noir tipiche di Damien Hirst, all’ironia pungente e mordace di Maurizo Cattelan, artista centrale della mostra e presente con diverse opere. Dallo scoiattolino suicida di “Bibidibobidiboo” (1996) che ribalta il rassicurante immaginario fiabesco in una totale perdita di speranza e la scultura/autoritratto dell’artista “La Rivoluzione siamo noi” (2000) in cui appare grazie a un sofisticato gioco di rimandi, livelli nascosti e citazioni, appeso a un attaccapanni sottoforma di manichino in completo di feltro grigio. Continuando con “Lullaby” (1994) realizzata da Maurizio Cattelan con le macerie di via Palestro, raccolte in un sacco blu, dopo l’attentato di matrice mafiosa del 27 luglio 1993.
Sempre italiane sono “Gummo V” (2012) di Lara Favaretto, che trasforma oggetti funzionali in sorprendenti opere d’arte. L’opera è infatti composta da un gruppo di spazzole rotanti per autolavaggio di varie dimensioni e colori, che un motore fa girare ciascuna in momenti diversi. In movimento, l’opera d’arte sembra un dipinto astratto, con le sue spazzole, che lasciano lo spettatore stupito e pronto a girare un video. E “Have You Seen Me Before?” (2008) di Paola Pivi, un’opera che sovverte l’idea di verosimiglianza, presentando una creatura impossibile: un orso polare rivestito di piume di pulcino in posa tenera.



Passando poi alla scena internazionale con una splendida collezione di fotografie in bianco e nero di Cindy Sherman, “Untitled Film Stills” (1977-1980), in cui l’artista e trasformista statunitense, mette in scena se stessa diventando modella, scenografa e fotografa contemporaneamente, e ci porta in un mondo di suggestioni cinematografiche, vestendo nei suoi scatti ruoli femminili degli anni ’50, in una riflessione sulla rappresentazione mediatica stereotipata della donna e sull’azione pervasiva delle immagini nella società contemporanea, in cui l’arte e la fotografia diventano così gesto rituale e strumento di lotta e affermazione.
Procedendo poi nelle sale, non si può non rimanere colpiti da sculture come “Cloud Canyons” (1988) di David Medalla, in cui l’opera-macchina guidata dalle forze intangibili di temperatura, gravità, pressione atmosferica e umidità, produce un ciclo continuo e ininterrotto di bolle di sapone: l’acqua si combina con il sapone per creare la schiuma, la schiuma sale lentamente attraverso i tubi, trasuda verso l’esterno, si forma una pozzanghera e alla fine evapora creando cosí una scultura estremamente imprevedibile e mutevole. O “Unfired Clay Torse”, (2015) di Mark Manders un’opera composta da un grande busto che sembra fatto d’argilla crepata ma che è invece realizzato con metallo dipinto. Oppure ancora “Self-portrait” (1993), di Pawel Althamer, che con una scultura che rappresenta se stesso, ma invecchiato e imbruttito, realizzata in cera, grasso, capelli e intestino animale, si espone nudo allo sguardo del visitatore per far indagare e riflettere sul tema dell’alienazione, della solitudine e della fragilità umana. E ancora Josh Kline con “Thank you for your years of services-Joann / Lawyer” e “Wrapping Things Up- Tom / Administrator (2016), due sculture iperrealistiche, realizzate con due manichini umani chiusi in sacchi di plastica trasparenti e vestiti con eleganti completi da lavoro che alludono al dramma della disoccupazione, di chi in qualche modo viene respinto dalla società e gettato via. Un messaggio volutamente provocatorio, che vuole farci interrogare sul concetto di “forza lavoro” potenzialmente a rischio con l’introduzione delle tecnologie e la conseguente cancellazione della dignità e del valore dell’essere umano.



Non si può, poi, non citare la fotografia “Faceless from Women of Allah Series” (1994) e il video “Possessed” (2001) di Shirin Neshat le cui opera esaminano le complessità delle identità delle donne in un panorama culturale in evoluzione come quello del mondo Medio Orientale, spingendo ad una forte riflessione sulla difficoltà di ottenere uno spazio di rappresentazione individuale e di libertà di espressione.





Per scendere, infine, negli spazi sotterranei della Strozzina e ammirare l’ampia rassegna di video e installazioni con performance introspettive, talvolta divertenti e spesso poetiche, che coinvolgono lo spettatore con immagini, suoni e storie mentre si muove da una stanza all’altra.



Il percorso si conclude con l’opera di Hans-Peter Feldmann, “9/12 Front Page” (2001) l’artista ha raccolto ed esposto 151 prime pagine di quotidiani, un excursus nelle fonti giornalistiche provenienti da tutto il mondo, datate 12 settembre 2001: “il giorno dopo” l’attacco alle Twin Towers di NY. Una sala completamente bianca, in cui le immagini dei giornali parlano da sole e ancora una volta riescono a fermare il tempo, sospeso in uno spazio interamente dedicato alla memoria. Attraverso quelle pagine, Feldmann osserva stili comunicativi verbali e/o visuali in un confronto che vede un diverso approccio delle fonti informative nel raccontare un evento simbolo del contemporaneo.
L’installazione mostra cosí, in maniera simultanea, tutte le implicazioni geopolitiche dell’evento storico a cui il mondo stava assistendo, ma soprattutto induce il visitatore ad analizzare il modo in cui la notizia venne data e a riflettere su questioni di carattere globale e su fronti che sarebbero rimasti a lungo contrapposti, nel tentativo di interrogarsi sul nostro rapporto tra la realtà e la sua rappresentazione.

Sarebbe davvero impossibile citare tutte le opere presenti in mostra, per questo vi invitiamo assolutamente ad andare a vedere la mostra con i vostri occhi. “Reaching for the stars. Da Maurizio Cattelan a Lynette Yiadom-Boakye offre infatti ai suoi visitatori, attraverso la complessità delle opere in mostra, moltissimi spunti di riflessione per guardare il mondo attraverso l’arte e riflettere sulla complessità del mondo di oggi, ma anche ad aprirsi ad una varietà di scenari inconsueti per un possibile futuro artistico e non solo.
Mariantonia Cambareri
Le immagini dell’articolo sono state fornite dall’Ufficio Stampa di Palazzo Strozzi