Il nome di Emmanuel Carrère ritorna spesso nelle conversazioni tra appassionati di letteratura quando si parla di talenti contemporanei ed ognuno dei partecipanti alla discussione ha il “suo” Carrère: quello che sa raccontare come pochi storie di vite ai limiti della comprensione (Limonov, L’Avversario, per certi versi anche la vita di P.K. Dick in Io sono vivo voi siete morti…), quello che non fa che trovare occasioni per parlare della propria vita nei minimi dettagli nella speranza di convergere verso un discorso universale (Yoga, Un romanzo russo, Vite che non sono la mia…), quello che si tuffa in ambiti di cui non è propriamente un esperto e ne riemerge brillantemente (Il Regno, V16…).
Il recente “Ucronia” pubblicato da Adelphi ci fa conoscere invece un Carrère un poco insolito, giovanissimo (il saggio è stato pubblicato per la prima volta nel 1986), fresco di studi (in parte il saggio proviene dalla sua tesi di laurea), ancora legato ad uno stile ed una dialettica di stampo accademico, ma già spinto a discernere e sviscerare un particolare tema per il semplice fatto che ne è “da sempre affascinato” e sempre nell’ottica di rendere universale questa sua fascinazione.
In fondo chi di noi non ha sognato almeno una volta nella vita che un particolare evento storico avesse avuto un esito differente e fantasticato su come potesse essere oggi il presente in virtù di tale ucronia? Ucronia e Utopia hanno la stessa genesi semantica, ma mentre l’Utopia, se ci si impegna, può essere portata a compimento, non esiste nessuna probabilità che il passato possa essere cambiato, quindi a che pro interrogarsi su un’ipotesi per sua natura irrealizzabile?
Carrère affronta il tema innanzitutto da un punto di vista delle opere principali che hanno segnato il genere ucronico. Tra queste spicca Napoléon apocrife di Louis-Napoléon Geoffroy-Chateau, che Carrère definisce “la prima ucronia di una certa levatura”. Il testo immagina un Napoleone che, invece di ritirarsi dopo la campagna di Russia, conquista il mondo e fonda un Impero Universale. Geoffroy dipinge un’Europa pacificata e prospera, dove la scienza, liberata da vincoli religiosi e politici, porta l’umanità verso un progresso straordinario: “macchine a tastiera trascrivono il pensiero, il vapore crea forze soprannaturali, e persino la morte può essere temporaneamente sconfitta”.
L’autore sottolinea come questo testo, seppur ingenuo, racchiuda molti dei tratti distintivi dell’ucronia: la nostalgia per un passato percepito come ingiusto, il desiderio di esorcizzarlo e una fede incrollabile nella possibilità di un “altro corso della storia”, sebbene Geoffroy spesso cada in un’idealizzazione eccessiva, trasformando Napoleone in una figura quasi divina e l’Impero Universale in un’utopia totalitaria.
Oltre a Geoffroy, Carrère cita altri esempi significativi sullo stesso tema (in fondo, si tratta pur sempre di un autore francese!): La Seconde vie de Napoléon Ier di Pierre Veber immagina un Napoleone pensionato che vive in incognito a Tolone, mentre in Seconde vie de Napoléon di Louis Millanvoy, l’imperatore fugge e riesce addirittura a diventare re dei Cafri, una tribù Bantu. Questi testi, pur sfiorando l’ucronia, non alterano significativamente il corso della storia, limitandosi a suggerire esistenze parallele.
Carrère affronta anche il confine sottile tra ucronia e romanzo storico. Opere come I tre moschettieri di Alexandre Dumas, che mescolano eventi reali a personaggi e situazioni immaginarie, si avvicinano all’ucronia, ma restano ancorate alla trama storica ufficiale. L’ucronia vera, secondo l’autore, si distingue quando “la storia diventa palesemente altra, modificata da distorsioni irreversibili”.
Non mancano citazioni di episodi di riscrittura reale della storia, come la cancellazione di Trotskij dalle fotografie ufficiali sovietiche o la falsificazione sistematica dei libri durante i regimi totalitari; sono chiamati in causa anche Simon Leys e George Orwell per evidenziare come il controllo del passato sia spesso un mezzo per legittimare il potere presente. “Chi controlla il passato controlla il futuro”, scrive Orwell, un principio che trova eco nell’ucronia come pratica letteraria e ideologica.
Allo scopo, già citato, di rendere universali le proprie personali riflessioni, l’autore si lancia anche nell’esplorazione epistemologica dell’ucronia, interrogandosi sulla possibilità che la storia, come la conosciamo, sia essa stessa una costruzione arbitraria. Cita paradossi come quello di Bertrand Russell, che ipotizzava un mondo creato un attimo fa con una memoria illusoria, o la teoria di Philip Henry Gosse, secondo cui Dio avrebbe creato la Terra già “carica” di un passato inesistente.
Eppure, proprio mentre il lettore si sta convincendo che in fondo forse valga la pena sprofondare il pensiero nell’ucronia, Carrère lo riporta alla realtà constatando che essa è un esercizio affascinante ma intrinsecamente sterile. “Non ci resta che leggerla per quello che è”, scrive, sottolineando come il suo valore risieda più nella capacità di stimolare il pensiero che nella possibilità di alterare realmente il passato. Un colpo di coda rivolto al sentimentalismo di chi vuole cullarsi nel sogno dell’ucronia a tutti i costi è espresso nell’analisi che fa Carrère del potenziale poetico e filosofico dell’ucronia, dove ci invita a riflettere su ciò che rende la storia “necessaria” e su come i nostri desideri e rimpianti influenzino la nostra percezione del tempo.
Questo saggio, pur non mostrando ancora la proverbiale carica narrativa di Emmanuel Carrère, resta uno dei pochi lavori approfonditi sul genere e lascia comunque il lettore con uno spunto di riflessione non tanto su quanto sia bello fantasticare un presente diverso in virtù di un diverso passato, ma su quanta letteratura, soprattutto in ambito fantascientifico o appunto ucronico (sono citati anche l’immancabile La Svastica sul sole di Dick e The Iron Dream di Spinrad) sia stata e sia ancora prodotta, a riprova della capacità suggestiva del sogno impossibile dell’Ucronia.
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